Cass. civ., sez. III, sentenza 03/12/2002, n. 17167

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Massime1

L'attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, presenta natura a quest'ultima analoga, comportando, non diversamente dall'esercizio di un albergo, un'attività imprenditoriale, un'azienda ed il contatto diretto con il pubblico. (Nel fare applicazione del suindicato principio, la S.C. ha rigettato le doglianze del ricorrente, il quale, nella qualità di locatore, si doleva dei parametri di riferimento utilizzati dal giudice di merito ai fini della valutazione dell'avvenuta conoscenza - o meno - da parte dello stesso locatore, della modificazione della destinazione d'uso operata dal conduttore in un contratto avente originaria destinazione "abitativa").

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 03/12/2002, n. 17167
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17167
Data del deposito : 3 dicembre 2002

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G F - Presidente -
Dott. E L rel. - Consigliere -
Dott. M V - Consigliere -
Dott. A L - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
B D, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA CUNFIDA

20, presso lo studio dell'avvocato M B, che lo difende unitamente agli avvocati G P, M G L P, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
SOLDER G, SOLDER DEBORA, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA F MASSIMO

72, presso lo studio dell'avvocato A P, che li difende, giusta delega in atti;



- controricorrenti -


nonché contro
M W;



- intimato -


e sul 2^ ricorso n^ 13228/01 proposto da:
SOLDER G, SOLDER DEBORA, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA FABIO MASSIMO

72, presso lo studio dell'avvocato A P, che li difende, giusta delega in atti;



- ricorrenti -


nonché contro
M W, B D;



- intimati -


e sul 3^ ricorso n^ 16395/01 proposto da:
M W, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DEGLI SCIPIONI

267, presso lo studio dell'avvocato ANDREA PUGLIESE, che lo difende, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
SOLDER G, SOLDER DEBORA, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA F MASSIMO

72, presso lo studio dell'avvocato A P, che li difende, giusta delega in atti;

- controricorrenti al ricorso incidentale -
nonché contro
B D;



- intimato -


avverso la sentenza n. 3931/00 della Corte d'Appello di ROMA, sezione 4^ civile emessa il e depositata il 06/12/00;
RG.4143/1998;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/04/02 dal Consigliere Dott. Ernesto LUPO;

udito l'Avvocato LONGONI PALMIGIANO MARIA GRAZIA E BATTAGLIA MONICA;

udito l'Avvocato PUGLIESE ANDREA;

udito l'Avvocato PICCOLO ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO che ha concluso per accoglimento dei primi tre motivi ricorso principale e dei motivi del ricorso incidentale N^ 13228/01, assorbito il 4^ motivo ricorso principale e ricorso incidentale N^ 16395/01;

Svolgimento del processo.
Con atto di citazione notificato il 25 luglio 1989 Walter M conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma Gabriella e Debora S, deducendo che le convenute avevano acquistato un appartamento in Roma da Decio B;
che tale appartamento era stato condotto in locazione da Cleonice B, la quale aveva in esso svolto l'attività di affitta camere fino alla morte avvenuta nel 1988;
che egli, quale erede della B, era subentrato nel contratto a norma dell'art. 37 della legge n. 392 del 1978 ed aveva quindi diritto alla prelazione e, non avendo ricevuto comunicazione della vendita dell'immobile, al riscatto dello stesso. Le convenute, costituendosi, chiamavano in causa Decio B, per essere dal medesimo garantite. Il B si costituiva chiedendo il rigetto della domanda del M perché nel contratto era stata prevista la sola locazione per uso abitativo, con facoltà per la conduttrice di sublocare parzialmente l'immobile.
Il Tribunale adito affermava che la B aveva mutato l'uso dell'appartamento previsto nel contratto, esercitando prevalentemente l'attività di affittacamere, e che il B era a conoscenza del mutamento di destinazione;
rilevava però che la detta attività non era stata continuata dal M, che pertanto non era subentrato nel rapporto di locazione, onde l'attore, in accoglimento della domanda riconvenzionale delle convenute, era condannato al rilascio dell'immobile, detenuto senza titolo.
Proposto appello principale dal M ed appello incidentale dalle S è costituitosi il B, la Corte di appello di Roma confermava il rigetto della domanda attorea sia perché il M non esercitava, al momento della vendita dell'appartamento dal B alle S, l'attività di affittacamere, sia perché non riteneva provato che il B avesse conosciuto l'avvenuto mutamento di destinazione dell'appartamento;
in accoglimento dell'appello incidentale delle S, condannava il M al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.
Il M proponeva ricorso per cassazione, a cui sia le S che il B resistevano con controricorso. Questa Corte, con la sentenza 3 febbraio 1998 n. 1093, accoglieva il ricorso, giudicando fondate le censure formulate sulle due rationes decidendi della sentenza impugnata. La Corte riteneva priva di motivazione l'affermazione del giudice del merito che il locatore B non era a conoscenza "dell'avvenuto mutamento di destinazione dell'immobile" locato alla B;
riteneva, in diritto, irrilevante che il M non esercitasse, al momento della vendita, l'attività di affittacamere, affermando che l'art. 37 della legge n. 392/1978 subordina, in caso di morte del conduttore, la successione nel contratto di locazione alla sola titolarità astratta del diritto a continuarne l'attività, senza richiedere anche il fatto materiale della continuazione della stessa.
Riassunto il giudizio dal M e costituitisi le S ed il B, la Corte di appello di Roma, con la sentenza depositata il 6 dicembre 2000, ha ritenuto sussistente la prova che, il B "era a conoscenza dell'avvenuto mutamento di destinazione dell'immobile locato" ed ha pertanto dichiarato che il M ha legittimamente esercitato il diritto di riscatto dell'immobile venduto dal B alle S;
ha poi accolto la domanda di risarcimento del danno per evizione proposta dalle S nei confronti del B, danno da quantificarsi in separata sede, "oltre l'ammontare del prezzo di acquisto che sarà loro restituito" dal M.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma Decio B ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi in ordine all'accoglimento della domanda del M e, in via subordinata, un motivo contro l'accoglimento della domanda di garanzia proposta da Gabriella e Debora S. Queste ultime hanno proposto ricorso per cassazione contro il M, deducendo due motivi. Il M ha resistito con controricorso e ricorso incidentale. Le S hanno resistito con separati controricorsi al ricorso del B ed a quello del M. Tutte le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione.
1. - I tre ricorsi vanno riuniti perché sono diretti contro la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). 2. - Vanno esaminati i tre motivi del ricorso B che censurano l'accoglimento della domanda di riscatto proposta dal M. Con il primo motivo di ricorso il B, deducendo vizi di motivazione su alcuni punti decisivi della controversia nonché errata applicazione dell'art. 80 della legge n. 392/1978 e dell'art. 2730 c.c., formula due censure.
A) Innanzitutto deduce che il giudice di rinvio ha omesso di accertare "se, quella svolta dalla B, fosse semplice sublocazione o attività di affittacamerè". Il ricorrente sostiene che sussista la prova della prima ipotesi, essendosi la B limitata a sublocare alcune stanze dell'appartamento da lei abitato, come consentito dal contratto di locazione.
B) Secondariamente osserva che egli, comunque, non era in grado di "dare una qualificazione giuridica all'attività svolta dalla B", non potendo stabilire quale era il titolo dell'occupazione di alcune stanze dell'appartamento locato alla B, dato che la stessa continuava ad abitarvi. Al riguardo si lamenta nel ricorso che la sentenza impugnata abbia attribuito valore confessorio all'esposto del B, poiché la confessione non può avere per oggetto la qualificazione giuridica dei fatti ammessi. Nè il B poteva sapere che la B aveva chiesto l'autorizzazione a svolgere l'attività di affittacamere, senza l'indispensabile consenso del proprietario dell'appartamento ed in contrasto con il regolamento condominiale.
Con il secondo motivo il B, deducendo omessa motivazione e violazione dell'art. 80 della legge n. 3392/78, osserva che comunque l'immobile era prevalentemente adibito ad uso abitativo, onde andava applicato il regime giuridico relativo a tale uso, e lamenta che la Corte di appello non abbia affrontato detta questione. Con il terzo motivo il B, deducendo omessa motivazione su un punto decisivo con riferimento agli artt. 41 e 35 della legge n. 392/78, sostiene che l'attività svolta dalla B non comportava
comunque contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, onde non era applicabile la prelazione, e lamenta l'omessa motivazione su tale punto.
3. - Strettamente connesse sono le censure contenute nei due motivi del ricorso proposto dalle S.
Con il primo motivo le ricorrenti deducono vizi di motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c., sostenendo che esse hanno sempre contestato che la B abbia esercitato attività imprenditoriale di affittacamere, ed hanno sostenuto che ella subaffittava alcune camere dell'appartamento da lei abitato, come consentitole da specifica clausola contrattuale. Nè si è formato il giudicato sul mutamento di destinazione di uso perché tale fatto non è stato accertato dai giudici del merito e perché esso era comunque devoluto al giudice di rinvio a seguito della cassazione della precedente sentenza, non essendo precluso dal fatto che non era stato proposto ricorso incidentale per cassazione, dato che tutte le statuizioni della sentenza impugnata dal M erano favorevoli alle sorelle S ed al B. La sentenza impugnata non ha chiarito se il punto era o meno coperto dal giudicato, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato.
Il secondo motivo, con cui si deducono vizi di motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 39 e 80 della legge n. 392/78, è articolato in tre punti.
A) Il subaffitto ovvero l'attività di affittacamere non costituiva l'uso prevalente dell'appartamento, perché concerneva soltanto due delle sei camere di cui esso era composto. Il prevalente uso di abitazione rende inapplicabile la prelazione. Tale punto non è stato esaminato dalla sentenza impugnata.
B) La B non svolgeva un'attività imprenditoriale, non essendo neppure titolare di partita I.V.A., ne' sussisteva un'azienda, non esistendo nell'appartamento alcuna indicazione di un uso diverso da quello abitativo (insegna o simili). Anche su tale punto vi è assenza di motivazione nella sentenza impugnata.
C) Insufficiente è la motivazione della sentenza impugnata sulla conoscenza, da parte del B del mutamento di destinazione dell'immobile, poiché la Corte di appello non ha proceduto alla comparazione delle diverse deposizioni testimoniali e si è fondata su un esposto del B, con cui si protestava contro il "via-vaì" di persone nell'alloggio senza qualificare l'attività della B, considerate "anche le oggettive difficoltà di distinguere un subaffittuario da un affittacamere".
4. - All'esame dei motivi di ricorso sopra riassunti va premesso il richiamo della costante giurisprudenza di questa Corte (v., di recente, la sentenza 19 novembre 1998 n. 11614) secondo cui nel giudizio di rinvio resta precluso l'esame di ogni questione logicamente pregiudiziale ed incompatibile con la decisione della Cassazione, non rilevata dalla Corte o perché non investita da un motivo di ricorso o anche perché la questione, pur in ipotesi rilevabile di ufficio, non lo è stata. Ed invero il giudizio di rinvio costituisce una prosecuzione del giudizio di cassazione, onde sono precluse le questioni che costituiscono il presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronunzia di annullamento, onde la soluzione delle stesse questioni deve ritenersi definitiva quale premessa logico-giuridica della pronunzia di cassazione.
Alla luce di tale principio sui limiti del giudizio di rinvio devono ritenersi inammissibili perché precluse dalla precedente sentenza di questa Corte 3 febbraio 1998 n. 1093 diverse delle censure formulate nei due ricorsi del B e delle sorelle S.
Come si è detto in narrativa, la citata sentenza di questa Corte ha ritenuto viziata "la motivazione della Corte di merito sul punto della conoscenza da parte del locatore dell'avvenuto mutamento di destinazione dell'immobile", punto ritenuto dalla Corte "decisivo per risolvere la controversia", perché "la conoscenza o meno da parte del proprietario del mutamento di destinazione dell'immobile determina, a norma dell'art. 80 della legge n. 392 del 1978, l'applicazione della disciplina degli immobili adibiti uso diverso da quello di abitazione, con conseguente operatività degli artt. 37 e ss. dell'indicata legge".
L'oggetto del giudizio di rinvio è soltanto la conoscenza, da parte del B, del mutamento di destinazione dell'appartamento locato alla B. È, quindi, preclusa ogni contestazione sull'esistenza del mutamento di destinazione di detto appartamento, dall'uso abitativo inizialmente pattuito a quello di affittacamere. Il richiamo contenuto nella precedente sentenza della Cassazione all'art. 80 della legge n. 392 del 1978, al fine di esplicitare la decisività del punto su cui si è ritenuto che la sentenza cassata fosse viziata ex art. 360 n. 5 c.p.c., presuppone necessariamente la sussistenza della situazione contemplata dallo stesso art. 80, e cioè il fatto che il conduttore abbia adibito l'immobile ad un uso diverso da quello pattuito. La conoscenza da parte del locatore di tale situazione di fatto, non seguita dalla domanda di risoluzione del contratto nei tre mesi successivi, determina l'applicazione al contratto del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile.
La contestazione che la B avesse adibito ad attività di affittacamere l'appartamento locatole ad uso abitativo avrebbe dovuto formare oggetto di ricorso incidentale (condizionato) avverso la precedente sentenza della Corte di appello che aveva ritenuto insussistente la conoscenza, da parte del locatore B, dell'avvenuto mutamento di destinazione dell'appartamento, pronunzia che presuppone accertato, appunto, il verificatosi mutamento di destinazione da parte del conduttore. Nè la proposizione del ricorso incidentale (da parte del B e delle S) avverso la sentenza poi cassata da questa Corte era preclusa dal fatto che la domanda dei M era stata rigettata, onde le dette parti non erano soccombenti rispetto all'esito finale della controversia. Il meccanismo del ricorso incidentale condizionato consente alla parte vittoriosa di censurare la soluzione di una questione preliminare di merito che, esplicitamente o implicitamente, sia stata alla stessa sfavorevole. E, nel caso di specie, l'accertamento del giudice del merito, sull'avvenuto mutamento di destinazione dell'appartamento locato (che si accertava appunto per avvenuto nel momento in cui si negava che del mutamento il locatore avesse avuto conoscenza), risolveva in senso sfavorevole al locatore (che aveva sostenuto l'inesistenza dell'attività di affittacamere) una questione preliminare di merito alla decisione che gli aveva dato ragione, con statuizione però censurata dal ricorso principale della controparte. Preclusa nel giudizio di rinvio è anche la contestazione sulla prevalenza dell'uso di affittacamere rispetto a quello abitativo. Secondo l'ultima parte del secondo comma del citato art. 80, "qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente". Poiché la sentenza della Cassazione n. 1093 del 1998 ha ritenuto decisiva la conoscenza, nel locatore, del mutamento di destinazione al fine dell'applicazione della disciplina delle locazioni ad uso non abitativo (artt. 37 e seguenti della legge n. 392 del 1978), tale pronunzia comporta l'accertamento della
prevalenza dell'uso non abitativo;
altrimenti, la conoscenza del locatore di tale uso parziale, ma non prevalente, non avrebbe mai potuto determinare, per la regola giuridica sopra trascritta, l'applicazione dei citati articoli 37 e seguenti.
Per le ragioni qui esposte, sono inammissibili, perché pongono questioni precluse dalla precedente sentenza di questa Corte, le censure contenute nel primo motivo (limitatamente a quella in precedenza indicata sub lettera A) e nel secondo motivo del ricorso B, nonché nel primo e nel secondo motivo (limitatamente a quella indicata sub lettera A) del ricorso S.
Ovviamente, è irrilevante che la valutazione di inammissibilità delle dette questioni non sia stata esplicitamente compiuta dalla sentenza impugnata. I limiti del giudizio di rinvio, e l'estensione del giudicato interno formatosi a seguito della sentenza della Cassazione sono punti di diritto, sui quali non assume rilievo la motivazione della sentenza impugnata, i cui vizi deducibili ex art. 360 n. 5 c.p.c. concernono i soli accertamenti di fatto.
5. - Per quanto attiene alle altre censure contenute nei ricorsi proposti da B e dalle S, sono infondate quelle che si indirizzano contro la parte della sentenza impugnata che ha ritenuto sussistente la conoscenza, da parte del locatore B, del mutamento di destinazione dell'immobile locato alla B (primo motivo, censura sub B, del ricorso B e secondo motivo, censura sub C, del ricorso S).
L'accertamento compiuto dalla Corte di appello è stato desunto da diversi elementi di fatto, così indicati nella motivazione della sentenza impugnata: a) la lunga durata dell'attività di affittacamere svolta dalla B, che si è prolungata dal 1964 al 1988;
b) l'ufficialità amministrativa della stessa attività;
c) l'essersi il B più volte recato nell'appartamento locato alla B;
d) l'avere il B, il 23 novembre 1988, presentato un esposto alla P.S., in cui egli "affermò che la B svolgeva attività di affittacamere".
Sussiste, ed è sufficiente e corretta, la motivazione della sentenza impugnata.
In relazione alle censure prospettate nei ricorsi, va osservato che lo svolgimento nell'appartamento locato dell'attività di affittacamere costituisce un fatto obiettivo, e non la qualificazione di un rapporto giuridico, esistendo differenze di fatto tra detta attività e la sublocazione parziale di alcune stanze dell'appartamento (la quale non comporta, di per sè, un "via-vai" di persone nell'alloggio). D'altro canto il giudice del merito non si è limitato a porre a fondamento del proprio accertamento la confessione stragiudiziale resa ad un terzo dal B, ma, come si è visto, l'ha suffragata con diversi altri elementi probatori, alcuni dei quali (come quelli indicati nelle lettere a-b) non sono contestati dai ricorrenti.
I ricorrenti lamentano una errata interpretazione del detto esposto presentato alla polizia dal B, ma non ne riportano il contenuto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Identica osservazione va mossa alla doglianza del ricorso S, secondo cui le "deposizioni assunte hanno tutt'altro tenore e valenza di quello ipotizzato dalla Corte di appello", doglianza che non è suffragata dalla trascrizione delle testimonianze che la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretate, ne' è comunque in alcun modo specificata.
La motivazione della sentenza impugnata sulla conoscenza, da parte del B, dell'avvenuto mutamento di destinazione dell'immobile locato resiste, quindi, alle censure contenute nei due ricorsi. 6.- Per quanto attiene alla pronunzia che ha accolto la domanda del M rimangono da esaminare il terzo motivo del ricorso B (denunzia di omessa motivazione sul contatto diretto con il pubblico richiesto dall'art. 35 della legge n. 3392/1978) e la censura sub lettera B del secondo motivo del ricorso S (omessa motivazione sui presupposti del diritto di prelazione costituiti dallo svolgimento, da parte della B, di un'attività imprenditoriale e dall'esistenza di un'azienda).
Le censure in esame sono infondate.
Questa Corte ha più volte affermato (Cass. 18 maggio 1993 n. 5632;

13 luglio 1982 n. 4124) che l'attività di affittacamere ha natura analoga a quella alberghiera perché, sia pure con proporzioni ridotte, presenta caratteristiche imprenditoriali simili. Quindi essa comporta, non diversamente dall'esercizio di un albergo, un'attività imprenditoriale, un'azienda ed il contatto diretto con il pubblico. Consegue che è irrilevante l'assenza di motivazione della sentenza impugnata su tali punti, che conseguono di diritto alla destinazione dell'appartamento locato all'attività di affittacamere implicita nella precedente sentenza della Cassazione.
La contestazione della sussistenza, nell'attività della B, di tutte le caratteristiche di fatto necessarie per qualificare l'attività da lei svolta come quella di affittacamere (secondo la disciplina contenuta nella legge 16 giugno 1939 n. 1111) è preclusa nel presente giudizio di o, limitato, come si è detto, all'accertamento sulla conoscenza, da parte del locatore, dell'avvenuta destinazione dell'appartamento all'esercizio di attività di affittacamere.
7. - Con un quarto motivo, proposto in via subordinata al rigetto dei primi tre, il B censura la sentenza impugnata nella parte in cui l'ha condannato a risarcire i danni subiti dalle sorelle S a seguito dell'esercizio del diritto di riscatto da parte del M. Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1483 c.c. nonché omessa motivazione su un punto decisivo, osservando che
le sorelle S accettarono il rischio dell'evizione che era loro noto quando fu stipulato il preliminare di vendita, in cui si previde la possibilità per le stesse di risolvere il contratto in relazione all'esito della controversia con il M;
ma tale facoltà è venuta a cessare con la stipula del contratto definitivo di vendita. Il ricorrente lamenta che tale eccezione non sia stata presa in esame dalla sentenza impugnata.
Il motivo di ricorso è infondato perché l'omessa motivazione denunziata dal ricorrente non concerne un punto decisivo della controversia tra il B e le S.
L'art. 1487, secondo comma, c.c. prevede che "quantunque sia pattuita la esclusione della garanzia, il venditore è sempre tenuto per l'evizione derivante da un fatto suo proprio. È nullo ogni patto contrario". La mancata effettuazione della comunicazione al conduttore dell'intenzione del locatore di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, prevista dall'art. 38 della legge n. 392/1978 ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione,
costituisce un fatto proprio del venditore che determina l'esercizio, da parte del conduttore, del diritto di riscatto dell'appartamento venduto e quindi l'evizione in danno dell'acquirente. È perciò corretta la sentenza impugnata che, una volta riconosciuto legittimo l'esercizio del diritto di riscatto da parte del M, ne ha fatto derivare l'accoglimento della domanda di risarcimento per evizione proposta dalle acquirenti S contro il venditore B, poiché l'evizione è la conseguenza di un fatto proprio del B, onde sono giuridicamente irrilevanti le eccezioni opposte da quest'ultima parte e di cui si lamenta il mancato esame da parte della sentenza impugnata.
8. - Con l'unico motivo del ricorso incidentale il M deduce che il giudice di rinvio ha omesso di pronunziare sulle domande da lui proposte di condanna delle signore S al rilascio dell'appartamento in proprio favore, nonché di emanazione dell'ordine di trascrizione della sentenza sul riscatto alla conservatoria dei pubblici registri immobiliari.
Il motivo di ricorso è fondato perché la sentenza impugnata non ha pronunziato su tali due domande proposte dal M, onde va rilevata la violazione dell'art. 112 c.p.c.. Su queste domande dovrà pronunziare il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte, di appello di Roma.
9. - In conclusione, ì ricorsi dei B e delle S vanno rigettati. Il ricorso del M va accolto, onde la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata limitatamente alla mancata pronunzia sulle domande del ricorrente qui indicate nel p.

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