Cass. civ., sez. V trib., sentenza 27/01/2023, n. 02593
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Testo completo
PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 29463/2015 R.G. proposto da: V V srl, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. G N di Roma, ivi presso il suo studio el.domiciliato in Via Claudio Monteverdi 16, come da procura in atti;-parte ricorrente - contro Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex legedomiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n.12;-parte controricorrente – e nei confronti di G srl in persona del legale rappresentante pro tempore;- parte intimata - Ricorso avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale Lazio n. 2747/22/15 del 13.5.2015;Udita la relazione svolta dal Consigliere G M S;udito il Procuratore Generale che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbite le altre censure. Uditi i difensori delle partipresenti all’udienza dell’11 gennaio 2023;Fatti rilevanti e ragioni della decisione. § 1. V V srl propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, riuniti gli appelli proposti dalle parti contraenti, ha ritenuto legittimo, nel limite di 1.000.000 di euro, l’avviso di accertamento alla società notificato per maggiore imposta di registro ed ipocatastale sull’atto notarile 18.12.2008 (registrato l’8.1.2009);atto con il quale la società ricorrente aveva venduto alla G srl un terreno agricolo di mq.15.000 al valore dichiarato di euro 307.000, rettificato con l’avviso in questione in euro 1.700.000. Gli appelli riuniti erano stati proposti sia dall’ Agenzia delle Entrate avverso le sentenze Commissione Tributaria Provinciale Roma nn. 515 e 517/33/13 (di identico contenuto) che avevano annullato in toto l’avviso reputando congruo il valore dichiarato in atto, sia dall’acquirente G srl avverso la sentenza Commissione Tributaria Provinciale Roma n. 8303/10/14 che aveva invece ritenuto legittimo lo stesso avviso, seppure nel suddetto limite di 1.000.000 di euro. La commissione tributaria regionale, nella sentenza qui impugnata, ha osservato che: - il terreno in questione, sebbene ancora qualificato come agricolo dal CDU al momento dell’atto, fruiva in questo momento di una concreta potenzialità edificatoria, non solo perché già oggetto di un permesso per costruire un impianto di distribuzione di carburante, ma anche e soprattutto perché fatto poco dopo (gennaio 2009) oggetto, su impulso dell'acquirente per conto di Eurospin spa, di autorizzazione a variante per la costruzione di due fabbricati della superficie di 1.119,30 m², destinati a supermercato;- infatti il 2 febbraio 2009 l'acquirente G srl aveva venduto lo stesso terreno ad Eurospin spa al prezzo di euro 1.700.000 (lo stesso poi posto dall’Agenzia delle Entrate, in esito a sopralluogo e stima UTE, a base dell’avviso);- ciò rendeva eviden te che già al momento dell'atto tassato il terreno doveva essere apprezzato per le sue concrete prospettive edificatorie suscettibili di formazione progressiva, e questa circostanza doveva essere ben nota alle parti anche visto l'ambiente ristretto (Guidonia Montecelio) nel quale l'operazione era stata realizzata;- purtuttavia andava confermato il valore mediano di un milione di euro, così come stabilito nella citata sentenza Commissione Tributaria Provinciale Roma n. 8303/10/14. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, mentre nessuna attività difensiva è stata posta in essere in questa sede dalla, pure intimata, G srl. § 2.1 Con il primo motivodi ricorso V V srl lamenta – ex art.360, co. 1^ n.4, cod.proc.civ. –nullità della sentenza per violazione degli articoli 31, 29 e 61 d.lgs. 546/92, nonché 113 e seguenti cod.proc.civ.. Per avere la Commissione Tributaria Regionale: - indebitamente provveduto alla riunione di tutti gli appelli, in modo tale che la società si era vista così costretta “a subire il peso di un contenuto di sentenza sfavorevole che non conosceva, relativo ad un procedimento al quale non aveva partecipato, sentenza peraltro fondata sulla rilevante considerazione della mancata redazione di una perizia di stima di parte da contrapporre a quella dell'agenzia delle entrate, redazione di perizia di stima di parte che la V V non ha avuto occasione di far redigere per mancata conoscenza della sentenza emessa nei confronti della G” (ric. pag. 9);- deciso la causa all'udienza del 25 febbraio 2015, di cui V V aveva avuto notizia solo con avviso di trattazione del 3 febbraio 2015, dunque in violazione del termine di 30 giorni liberi di cui all'articolo 31, primo co. d.lgs.346/90;- deciso se condo equità, in assenza dei presupposti, sul valore mediano da attribuirsi al terreno. § 2.2Con il secondo motivo di ricorso la società deduce – ex art.360, co. 1^ n.3, cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 51, terzo co. e 57, quarto co. d.P.R. 131/86. Atteso che la Commissione Tributaria Regionale aveva stabilito il valore del terreno sulla base di elementi estimativi non presenti al momento della compravendita perché ad essa sopravvenuti (quali la successiva vendita da G ad Eurospin ed il rilascio di autorizzazione all’edificazione del supermercato), là dove, al momento dell’atto, il terreno andava stimato come agricolo. § 3. Con ordinanza in esito all’udienza pubblica dell’8.1.2020, questa Corte disponeva il rinvio a nuovo ruolo del processo per acquisire il fascicolo d’ufficio, e così accertare la partecipazione di V V all’udienza di trattazione del 25.2.2015, tardivamente comunicata. Espletato l’incombente, la causa è stata nuovamente assegnata alla decisione che segue. § 4.1Il primo motivo è infondato in tutte le sue articolazioni. Per quanto concerne la lamentata riunione degli appelli proposti contro diverse sentenze della Commissione Tributaria Provinciale sul medesimo avviso di accertamento, rileva il costante indirizzo di legittimità secondo cui si verte di provvedimento non decisorio di natura discrezionale e, come tale, insuscettibile di impugnazione in sede di legittimità. E questa conclusione non viene qui sovvertita dalla riportata osservazione della società ricorrente secondo cui, per asserito effetto della riunione, essa sarebbe stata pregiudicata a causa della mancata produzione in giudizio di una stima di parte, mancanza che sarebbe stata ritenuta decisiva dalla Commissione Tributaria Regionale in relazione alla posizione dell'acquirente G. Si tratta infatti di argomento che non tiene conto del fatto che la mancata allegazione della stima non discende di per sé dalla riunione in quanto tale (qui disposta in ragione dell’unitarietà dell’azione accertativa nei riguardi delle varie parti negoziali e dell’esigenza di prevenire decisioni discordanti su medesime questioni) bensì da una libera scelta processuale della parte e che, per altro verso, individua esso stesso, nel provvedimento di riunione, un mero antefatto processuale, per poi attingere direttamente ad una doglianza di legittimità (sui criteri di stima del terreno) che investe esclusivamente il sostrato non ordinatorio, ma decisorio, del giudizio così da essere – questo solo –impugnabile per cassazione. Si è in proposito affermato (con riguardo alla separazione di cause, ma con ragionamento di certo valevole anche per la riunione) che (Cass.n.8446/19): “L'impugnabilità dei provvedimenti giudiziali concerne soltanto quelli aventi contenuto decisorio e non anche quelli a carattere ordinatorio, per i quali la legge ammette, salvo eccezioni, la revocabilità. A tale ultima categoria appartiene il provvedimento di separazione delle cause riunite, ancorché contenuto in sentenza, il quale non è suscettibile di impugnazione davanti al giudice superiore, stante il suo carattere meramente ordinatorio e la mancanza in esso di ogni pronunzia di natura decisoria, anche implicita, su eventuali questioni pregiudiziali. Pertanto l'esercizio, in senso positivo o negativo, del potere discrezionale di cui tale provvedimento è espressione non è censurabile in sede di legittimità”. Ed in coerenza con questo assunto si è, ancora recentemente, stabilito che (Cass.n. 28539/22): “In tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione e di separazione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità.” § 4.2Per quanto concerne il mancato rispetto di trenta giorni liberi nella comunicazione dell’udienza di trattazione, è costante l’indirizzo di questa Corte secondo cui (Cass.n.27837/18 con ulteriori richiami): “Nel processo tributario, la comunicazione della data di udienza, ai sensi dell'art. 31 del d.lgs n. 546 del 1992, applicabile anche ai giudizi di appello in relazione al richiamo operato dell'art. 61 del medesimo decreto, adempie ad un'essenziale funzione di garanzia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, sicché l'omessa comunicazione alle parti, almeno trenta giorni prima, dell'avviso di fissazione dell'udienza di discussione, determina la nullità della decisione comunque pronunciata (Cass.n. 1786/2016;Cass. n.13319 del 2017;Cass. n. 18279/2018).” Questo pur condivisibile indirizzo (da ultimo confermato da Cass.n.13007/22) non sembra però attagliarsi al caso concreto, reso peculiare dal fatto che –ferma l’inosservanza del termine ex art.31 cit. – la parte ha comunque attivamente partecipato all’udienza così fissata (come anche confermato dal difensore all’odierna udienza), prendendo conclusioni di merito e senza nulla eccepire in ordine a tale inosservanza, né richiedere termine ‘pieno’ a difesa. Ora, si osserva – da un lato – che il su riportato indirizzo di legittimità concerne ipotesi diverse, nelle quali la violazione del termine in questione veniva eccepita ad opera di parti che non avevano partecipato all’udienza, e –dall’altro – che neppure quanto stabilito da Cass.SSUU n. 36596 del 25/11/2021 sembra in realtà riferirsi alla peculiarità del presente caso. Hanno statuito le Sezioni Unite che: “La parte che proponga l'impugnazione della sentenza d'appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia;invero, la violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo”. Sennonchè - fermi tanto questo principio, quanto l’effettiva e più volte ribadita causa di nullità ravvisabile nell’inosservanza del termine ex art.31 cit. – rileva come la partecipazione all’udienza della parte e la mancata deduzione in essa di alcuna contestazione in proposito, con discussione della lite nel merito, non possano che fungere da causa di sanatoria di tale nullità per raggiungimento dello scopo ex art.156 cod.proc.civ.. E questo non perché la parte non abbia assolto l’onere (la cui configurabilità è stata esclusa dalle Sezioni Unite cit.) di indicare un concreto pregiudizio causalmente ricollegabile alla violazione del termine, ovvero di allegare quali argomenti difensivi essa avrebbe potuto più proficuamente svolgere qualora il termine fosse stato rispettato, ma perché la parte stessa – con il suo comportamento sia attivo (partecipazione all’udienza) sia omissivo (mancata eccezione ovvero richiesta di termine a difesa) – ha in tal modo complessivamente e positivamente escluso che vi possa essere stata, in concreto, lesione del diritto di difesa e del contraddittorio, pur assunto nella sua indubbia valenza costituzionale. A rimarcare l’oggettiva distanza della presente fattispecie rispetto a quanto stabilito dalle Sezioni Unite rileva l’osservazione di queste ultime in ordine alle ragioni di non-invocabilità, in quel contesto, della causa di sanatoria generale costituita dal raggiungimento dello scopo ex art.156 cod.proc.civ.: “In secondo luogo -ed essenzialmente - perché il richiamo all'art. 156 secondo comma, è inconcludente di per sé. La realizzazione dello scopo, al quale la norma allude, richiede un altro fatto, successivo all'atto nullo, che consente a quell'atto di raggiungere la finalità che il legislatore si proponeva di conseguire mediante la regola elusa. Pertanto, ove manchi un evento successivo all'atto nullo non può (per un'altrimenti ovvia intima contraddizione) attribuirsi all'atto medesimo l'idoneità di produrre gli effetti dell'atto valido;né può escludersi la nullità in sé e per sé, visto che il conseguimento dello scopo, per il tramite di un altro fatto, non incide sulla qualificazione in termini di nullità ma semplicemente sulla possibilità di sanatoria.” Si tratta di affermazione del tutto armonica con la fattispecie là esaminata, caratterizzata dalla deliberazione della sentenza prima dello spirare dei termini per il deposito delle comparse e note conclusive;mentre nel caso qui in esame nella consecuzione tra l’adozione dell’atto nullo (l’avviso di trattazione non rispettoso del termine di legge) e la sentenza è invece intervenuto, proprio come richiesto dalle Sezioni Unite, quell’ “altro fatto, successivo all'atto nullo, che consente a quell'atto di raggiungere la finalità che il legislatore si proponeva di conseguire mediante la regola elusa”;fatto (inconcepibile nella fase ex art.190 cod.proc.civ.) insito nella materiale partecipazione all’udienza e nello svolgimento in essa di (sole) difese di merito, del tutto avulse ed incompatibili con una richiesta di reintegrazione nel termine legale violato. Ed è fin troppo evidente che l’effetto sanante, una volta realizzatosi in forza di una determinata ed univoca opzione difensiva, non potrebbe poi venir meno a seconda dell’esito della lite, tra l’altro ostandovi altri principi di ordine generale, quanto a lealtà processuale, a non regressione, ad economia e ragionevole durata del processo. Né mancano positive affermazioni di tale effetto sanante, nell’ambito del processo tributario, in situazioni nelle quali alla violazione del termine aveva comunque fatto seguito, non la partecipazione all’udienza, ma anche soltanto il deposito di una memoria della parte contribuente (Cass.n. 28843/17). § 4.3 Per quanto concerne l’asseritamente arbitraria decisione ‘secondo equità’, basta osservare come la Commissione Tributaria Regionale, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, non abbia affatto deciso la causa in via equitativa in assenza dei requisiti di legge (art.114 cod.proc.civ.), ma abbia invece formato il proprio convincimento recependo e confermando la valutazione offerta dal primo giudice nella citata sentenza n. 8303/10/14. Dunque si è trattato non di decisione equitativa, ma di decisione basata su una motivazione per relationemalla suddetta statuizione, e ciò nell’ambito di un procedimento avente, come quello tributario, tipica valenza di impugnazione-merito. Sicchè la finale valutazione di un milione di euro deve ritenersi essere stata adottata dal giudice di appello sulla scorta degli elementi estimativi (non equitativi ma obiettivamente rilevabili) già dal primo giudice considerati, ed in realtà richiamati anche dalla stessa Commissione Tributaria Regionale con riguardo agli indicati indici di ‘suscettibilità edificatoria’ del terreno (anche se ancora formalmente qualificato come agricolo nel certificato di destinazione urbanistica) già rinvenibili al momento del suo trasferimento alla G. § 5.Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso. L'articolo 51, 3^ co., d.P.R. 131/86 stabilisce che, per atti che abbiano ad oggetto beni immobili, il controllo di valore debba essere effettuato, oltre che con riguardo ad atti similari di trasferimento (criterio comparativo) ovvero alreddito netto capitalizzato ritraibile dagli immobili stessi (criterio reddituale), anche ad "ogni altro elemento di valutazione". Dunque, l'ufficio provvede alla rettifica, e alla conseguente liquidazione, se ritiene che gli immobili ceduti abbiano un valore venale superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, ed, a tal fine, ha "riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell'atto o a quella in cui se ne produce l'effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni" (art. 51 comma 3 del d.p.r. n. 131/86). E questa Corte ha più volte affermato che i plurimi criteri così individuati dal TUR, ai fini del controllo del valore dichiarato dalle parti per i trasferimenti immobiliari, sono tra loro "pari-ordinati" e non gerarchicamente o preferenzialmente stabiliti, così che l'Amministrazione finanziaria può seguire uno qualsiasi dei predetti criteri, laddove lo ritenga maggiormente idoneo per determinare in sede di accertamento il più congruo valore del bene trasferito (cfr. Cass. n. 4221/06;Cass. n. 15876/2020;Cass. n. 30189/2018;Cass.n.18103/21). Nel caso di specie, il giudice del merito ha stabilito il valore venale in comune commercio attribuibile al terreno ‘esattamente’ al momento del trasferimento di cui all'atto tassato, anche se questo valore è stato desunto (anche) da circostanze successive all'atto, quali la richiesta di autorizzazione edilizia in variante;l'edificazione del supermercato rilevata in sede di sopralluogo dell'agenzia delle entrate;la quasi coeva rivendita alla Eurospin spa ad un prezzo di quasi sei volte superiore. Sicchè gli ‘altri elementi’ considerati nella stima, seppure cronologicamente successivi all'atto di trasferimento in questione, erano in realtà idonei - secondo quanto stabilito dal giudice di merito - a far emergere il reale valore di mercato del bene proprio al momento del trasferimento oggetto dell'avviso di accertamento;il che è del resto chiaramente esplicitato dalla sentenza qui impugnata, dove si fa ripetuto richiamo all'indice costituito dalla ‘suscettibilita’ ovvero ‘potenzialità’ edificatoria già in itinere (nell'ambito di una fattispecie che il giudice di appello ha definito ‘a formazione progressiva’) al momento della prima vendita(v.SSUU n. 25506/06). Dunque non si è verificata la paventata violazione normativa mentre, nella parte in cui vorrebbe suscitare in questa sede una diversa valutazione, la doglianza in esame risulta finanche inammissibile in relazione alla natura del presente giudizio di legittimità. § 6. Ne segue quindi il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrentealla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
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