Cass. civ., sez. V trib., sentenza 01/02/2023, n. 02964
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Testo completo
onunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 27696/2020R.G. proposto da T M, rappresentatoe difeso, per procura in calce al ricorso, dall’Avv. PAOLO DE’ CAPITANI DI VIMERCATE, presso il quale ha eletto domicilio in ROMA, VIA NAZIONALE, N. 200 –ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentatae difesa dall’Avv ocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI
12 –controricorrente – DINIEGO RIMBORSO IRPEFavverso la sentenza del la Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1690 / 2 1 / 202 0 , depositata i l 2 2 luglio 2020 e notificata il 29 luglio 2020;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. G L, che ha chiesto il rigettodel ricorso;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 dicembre 2022dal consigliere dott. F C.
FATTI DI CAUSA
1. M T presentò richiesta di accesso alla procedura di voluntary disclosure di cui alla l. 15 dicembre 2014, n. 186, portando a conoscenza dell’Erarioi redditi che egli deteneva sotto forma di attività finanziarie in essere presso l’istituto di credito svizzero USB – in violazione delle disposizioni in materia di monitoraggio fiscale e dei corrispondenti obblighi di dichiarazione –per i quali aveva ricevuto quattro inviti a comparire riferiti al le annualità comprese fra il 2010 e il 2013. Dopo la definizione della procedura, il contribuente inviò all’Amministrazione un’istanza di rimborso delle cd. Euroritenute subite dall’agente pagatore svizzero , osservando di aver versato, nell’ambito della procedura di collaborazione, l’imposta sostitutiva anche in relazione agli interessi già assoggettati a ritenuta, senza vedersi accordato neppure un credito d’imposta di pari importo e, per tali ragioni,lamentando di aver subito una doppia imposizione.
2. Il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione fu impugnato dal contribuente innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Varese, che respinse il ricorso.Il successivo appello, proposto dal medesimo innanzi alla Commissione tributaria r egionale della Lombardia, subì identica sorte.I giudici regionali, in particolare, ritennero corretta l’applicazione dell’euroritenuta, sul rilievo del fatto che l’art. 10 del d.lgs. 18 aprile 2005, n. 84, di recepimento della Direttiva 2003/48/CE del 3 g iugno 2003 del Consiglio , evidenzia in effetti l’esigenza del riconoscimento di un credito d’imposta volto ad evitare che dalla ritenuta derivi una doppia imposizione, ma a condizione che sia applicabile l’art. 165, comma ottavo, del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 917 (d’innanzi: t.u.i.r.), a mente del quale la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o di omessa indicazione di redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata. Siffatta ultima evenienza, adavviso della C.T.R., ricorre va nel caso di specie, perché il contribuente non aveva evidenziato il capitale detenuto presso l’istituto di credito svizzero nella dichiarazione dei redditi prodotta in Italia, né autorizzato l’agente pagatore a comunicare al fisco italiano l’ammontare del capitale detenuto in Svizzera, sì da assoggettarlo ad imposizione evitando la ritenuta;
e ciò allo scopo di perfezionare la procedura di definizione agevolata onde ottenere un trattamento sanzionatorio di favore a seguito del rimpatrio dei capitali detenuti all’estero. La C.T.R.ritenne, pertanto, di parificare la voluntary disclosure a tutte le procedure di definizione agevolata la cui accettazione comporta necessariamente la contestuale rinunzia a far valere eventuali benefici comunque collegati alla statuizione illegittima;
evidenziò, in tal senso, le analogie sussistenti fra detta procedura e quella disciplinata dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, il cui art. 2 prevede che l’accertamento definito con adesione non possa essere assoggettato ad impugnazione, integrazione o modifica. Osservò, infine, che non era condivisibile il richiamo del Tosi all’esistenza di un principio generale - desumibile dal d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, conv. in l. n. 225/2016, in materia di dichiarazione integrativa - in base al quale sarebbe consentito al contribuente in sede di ravvedimento di presentare al fisco istanze di rimborso 3. Avverso detta sentenza il contribuenteha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste l’amministrazione intimata con controricorso. Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 32, commi 2 e 3, e dell’art. 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, criticando la sentenza impugnata nella parte in cui, esponendo le premesse in fatto, ha dato atto dei rilievi svolti dall’Ufficio in sede di controdeduzioni, pur a fronte della propria eccezione di tardività della costituzione. Osserva, infatti, di aver rilevato innanzi alla C.T.R. che l’Agenzia delle entrate si era costituita solo tre giorni prima della data fissata per la camera di consiglio, depositando controdeduzioni, ciò che non gli aveva consentito di svolgere adeguatamente le proprie difese.
2. Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 9 e 14 della Direttiva 2003/48/CE, dell’art. 10 d.lgs. n. 84/2005 e dell’art. 53 della Costituzione, nonché falsa applicazione dell’art. 165, comma ottavo, t.u.i.r. Il ricorrente censura la ricostruzione normativa operata dalla sentenza d’appello, che assume erronea con particolare riferimento all’interpretazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 84/2005;di tale ultima disposizione, infatti, assume che la C.T.R. non avrebbe adeguatamente valorizzato lo scopo, che è quello di eliminare la doppia imposizione che deriva dall’applicare l’Euroritenuta sugli interessi percepiti dal beneficiario effettivo. Osserva, infatti, che la norma in questione accorda al beneficiarioun credito d’imposta pari all’importo dell’Euroritenuta, sostituibile con un rimborso, richiamando il disposto di cui all’art. 165 t.u.i.r. per il casoin cui i redditi prodotti all’estero concorrano a formare il reddito complessivo tassabile in Italia ai fini Irpef;
specifica tuttavia, con riguardo alla vicenda che lo occupa, che i redditi prodotti all’estero sono redditi di capitale, ai quali in Italia si applica l’imposta sostitutiva dell’Irpef per espressa previsione dell’art. 18 t.u.i.r., e pertanto non possono concorrerea formare il suo reddito complessivo, restando così sottratti anche all’applicazione del meccanismo di cui all’art. 165 t.u.i.r.
3. Il terzo mezzo denunzia violazione degli artt. 9 e 14 della Direttiva 2003/48/CE, dell’art. 163 t.u.i.r. e dell’art. 53 della Costituzione. Il contribuente critica la decisione impugnata nella parte in cui assume che il perfezionamento della procedura di voluntary disclosure avrebbe reso irretrattabile la vertenza, con conseguente rinunzia a far valere il diritto al rimborso dell’euroritenuta.
4. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente denunzia violazione del principio che vieta la doppia imposizione (art. 163 t.u.i.r.), dell’art. 3 della
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentatae difesa dall’Avv ocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI
12 –controricorrente – DINIEGO RIMBORSO IRPEFavverso la sentenza del la Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1690 / 2 1 / 202 0 , depositata i l 2 2 luglio 2020 e notificata il 29 luglio 2020;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. G L, che ha chiesto il rigettodel ricorso;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 dicembre 2022dal consigliere dott. F C.
FATTI DI CAUSA
1. M T presentò richiesta di accesso alla procedura di voluntary disclosure di cui alla l. 15 dicembre 2014, n. 186, portando a conoscenza dell’Erarioi redditi che egli deteneva sotto forma di attività finanziarie in essere presso l’istituto di credito svizzero USB – in violazione delle disposizioni in materia di monitoraggio fiscale e dei corrispondenti obblighi di dichiarazione –per i quali aveva ricevuto quattro inviti a comparire riferiti al le annualità comprese fra il 2010 e il 2013. Dopo la definizione della procedura, il contribuente inviò all’Amministrazione un’istanza di rimborso delle cd. Euroritenute subite dall’agente pagatore svizzero , osservando di aver versato, nell’ambito della procedura di collaborazione, l’imposta sostitutiva anche in relazione agli interessi già assoggettati a ritenuta, senza vedersi accordato neppure un credito d’imposta di pari importo e, per tali ragioni,lamentando di aver subito una doppia imposizione.
2. Il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione fu impugnato dal contribuente innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Varese, che respinse il ricorso.Il successivo appello, proposto dal medesimo innanzi alla Commissione tributaria r egionale della Lombardia, subì identica sorte.I giudici regionali, in particolare, ritennero corretta l’applicazione dell’euroritenuta, sul rilievo del fatto che l’art. 10 del d.lgs. 18 aprile 2005, n. 84, di recepimento della Direttiva 2003/48/CE del 3 g iugno 2003 del Consiglio , evidenzia in effetti l’esigenza del riconoscimento di un credito d’imposta volto ad evitare che dalla ritenuta derivi una doppia imposizione, ma a condizione che sia applicabile l’art. 165, comma ottavo, del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 917 (d’innanzi: t.u.i.r.), a mente del quale la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o di omessa indicazione di redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata. Siffatta ultima evenienza, adavviso della C.T.R., ricorre va nel caso di specie, perché il contribuente non aveva evidenziato il capitale detenuto presso l’istituto di credito svizzero nella dichiarazione dei redditi prodotta in Italia, né autorizzato l’agente pagatore a comunicare al fisco italiano l’ammontare del capitale detenuto in Svizzera, sì da assoggettarlo ad imposizione evitando la ritenuta;
e ciò allo scopo di perfezionare la procedura di definizione agevolata onde ottenere un trattamento sanzionatorio di favore a seguito del rimpatrio dei capitali detenuti all’estero. La C.T.R.ritenne, pertanto, di parificare la voluntary disclosure a tutte le procedure di definizione agevolata la cui accettazione comporta necessariamente la contestuale rinunzia a far valere eventuali benefici comunque collegati alla statuizione illegittima;
evidenziò, in tal senso, le analogie sussistenti fra detta procedura e quella disciplinata dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, il cui art. 2 prevede che l’accertamento definito con adesione non possa essere assoggettato ad impugnazione, integrazione o modifica. Osservò, infine, che non era condivisibile il richiamo del Tosi all’esistenza di un principio generale - desumibile dal d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, conv. in l. n. 225/2016, in materia di dichiarazione integrativa - in base al quale sarebbe consentito al contribuente in sede di ravvedimento di presentare al fisco istanze di rimborso 3. Avverso detta sentenza il contribuenteha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste l’amministrazione intimata con controricorso. Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 32, commi 2 e 3, e dell’art. 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, criticando la sentenza impugnata nella parte in cui, esponendo le premesse in fatto, ha dato atto dei rilievi svolti dall’Ufficio in sede di controdeduzioni, pur a fronte della propria eccezione di tardività della costituzione. Osserva, infatti, di aver rilevato innanzi alla C.T.R. che l’Agenzia delle entrate si era costituita solo tre giorni prima della data fissata per la camera di consiglio, depositando controdeduzioni, ciò che non gli aveva consentito di svolgere adeguatamente le proprie difese.
2. Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 9 e 14 della Direttiva 2003/48/CE, dell’art. 10 d.lgs. n. 84/2005 e dell’art. 53 della Costituzione, nonché falsa applicazione dell’art. 165, comma ottavo, t.u.i.r. Il ricorrente censura la ricostruzione normativa operata dalla sentenza d’appello, che assume erronea con particolare riferimento all’interpretazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 84/2005;di tale ultima disposizione, infatti, assume che la C.T.R. non avrebbe adeguatamente valorizzato lo scopo, che è quello di eliminare la doppia imposizione che deriva dall’applicare l’Euroritenuta sugli interessi percepiti dal beneficiario effettivo. Osserva, infatti, che la norma in questione accorda al beneficiarioun credito d’imposta pari all’importo dell’Euroritenuta, sostituibile con un rimborso, richiamando il disposto di cui all’art. 165 t.u.i.r. per il casoin cui i redditi prodotti all’estero concorrano a formare il reddito complessivo tassabile in Italia ai fini Irpef;
specifica tuttavia, con riguardo alla vicenda che lo occupa, che i redditi prodotti all’estero sono redditi di capitale, ai quali in Italia si applica l’imposta sostitutiva dell’Irpef per espressa previsione dell’art. 18 t.u.i.r., e pertanto non possono concorrerea formare il suo reddito complessivo, restando così sottratti anche all’applicazione del meccanismo di cui all’art. 165 t.u.i.r.
3. Il terzo mezzo denunzia violazione degli artt. 9 e 14 della Direttiva 2003/48/CE, dell’art. 163 t.u.i.r. e dell’art. 53 della Costituzione. Il contribuente critica la decisione impugnata nella parte in cui assume che il perfezionamento della procedura di voluntary disclosure avrebbe reso irretrattabile la vertenza, con conseguente rinunzia a far valere il diritto al rimborso dell’euroritenuta.
4. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente denunzia violazione del principio che vieta la doppia imposizione (art. 163 t.u.i.r.), dell’art. 3 della
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