Cass. civ., sez. I, sentenza 25/09/2003, n. 14234
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La rinuncia del fideiussore di secondo grado alla sussidiarietà prevista dall'art. 1948 cod. civ. determina soltanto l'assoggettamento pattizio della fideiussione di secondo grado ad una disciplina del rapporto fideiussorio diversa da quella legale tipica, senza comportare in alcun modo una assimilazione della fideiussione della fideiussione (o approvazione) alla diversa figura della confideiussione.
In tema di cause di nullità del negozio giuridico, per aversi contrarietà a norme penali ai sensi dell'art. 1418 cod. civ., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto un comportamento materiale delle parti e, meno che mai, di una sola di esse.(Fattispecie in tema di fideiussione, di cui il fideiussore ricorrente assumeva la nullità per avere la banca garantita erogato il credito al debitore principale nonostante la richiesta di finanziamento da parte di quest'ultimo asseritamente integrasse gli estremi del reato di ricorso abusivo al credito).
In tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l'estratto di saldaconto (che consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un'attestazione di verità e liquidità del credito), dall'ordinario estratto conto, che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall'ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca. Mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall'istituto, l'estratto conto, trascorso il debito periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente.
Nel rapporto di conto corrente, gli estratti conto non contestati dal correntista costituiscono piena prova del credito della banca anche nei confronti del fideiussore, ove questi non li assoggetti ad alcuna specifica contestazione.
Con riguardo all'accoglimento parziale dell'opposizione a decreto ingiuntivo, nel concetto di atti di esecuzione (già compiuti in base al decreto), dei quali l'art. 653, secondo comma, cod. proc. civ. prevede la conservazione degli effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta, rientrano non soltanto gli atti del processo di esecuzione, ma tutti i possibili effetti dell'esecutività del decreto, e, dunque, anche l'ipoteca iscritta sulla base dell'esecutività del decreto stesso, attesa la "ratio" della disposizione citata, tesa a mantenere integra, nei limiti del credito ridotto, la posizione e la protezione del creditore.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L G - Presidente -
Dott. P V - Consigliere -
Dott. L M G - Consigliere -
Dott. M G V A - Consigliere -
Dott. R V - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SNTENZA
sul ricorso proposto da:
B O, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE FORNACI 38, presso l'avvocato R A, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato F R, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
BANCA POPOLARE EMILIA ROMAGNA SCARL, COSTA MARINO, MONTINI GIAN MICHELE;
- intimati -
e sul 2^ ricorso n. 01/01/6166 proposto da:
BANCA POPOLARE EMILIA ROMAGNA SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ASIAGO 8, presso l'avvocato S A, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato B I, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
B O, MONTINI GIAN MICHELE, COSTA MARINO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1252/99 della Corte d'Appello di BOLOGNA, depositata il 01/12/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/04/2003 dal Consigliere Dott. Vittorio RAGONESI;
udito per il resistente l'Avvocato AURELI, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento di quello incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Orazio FRAZZINI che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Banca Popolare di Cesena Soc. Coop. a r.l. otteneva, in data 16.02.1985, dal Presidente del Tribunale di Forlì, decreto ingiuntivo, per il pagamento della somma capitale di L. 16.194, 396 oltre accessori nei confronti di Osvaldo B, Marino C e Gian Michele M, quale residuo dovuto, in veste di fideiussori della GIZ s.r.l., a sua volta costituitasi fideiussore della S.C.A.F. s.r.L, per saldo debitore sul rapporto di conto corrente da quest'ultima intrattenuto con la Banca creditrice. Gli ingiunti proponevano distinte opposizioni che il Tribunale, riunite le rispettive cause, respingeva con sentenza n. 692 del 18.07.1988, condannando gli opponenti alla rifusione delle spese del giudizio. I primi Giudici disattendevano le eccezioni di nullità della fideiussione per indeterminatezza del suo oggetto, sia nella prospettazione della nullità delle ed. fideiussioni omnibus, sia sotto il profilo della carente individuazione del debitore principale per i cui debiti (anche futuri) la GIZ s.r.l. aveva prestato fideiussione;quindi, qualificati gli opponenti quali fideiussori di secondo grado in rapporto all'obbligazione garantita (della S.C.A.F. s.r.l.), pur rilevando l'inefficacia della clausola di deroga al principio fissato dall'art. 1948 ex., inserita nei contratti di fideiussione da essi sottoscritti, per la ritenuta inderogabilità di tale norma, respingevano la relativa eccezione di inefficacia del contratto sulla scorta del rilievo in fatto che sia il debitore principale (S.C.A.F.) che il suo diretto fideiussore (GIZ) erano pacificamente insolventi, per essere stata la prima sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, e la seconda dichiarata fallita;
donde l'insolvenza del debitore e di tutti i suoi fideiussori. Respingevano inoltre le eccezioni, formulate dal B, ex art. 956 c.c., siccome non provate, e quella di inefficacia di alcune
clausole della fideiussione prestata dalla GIZ perché infondata;
nonché infine l'eccezione di pretesa liberazione del B da parte del creditore e quella di preclusione a seguito di giudicato verso tutti gli opponenti derivante da diverso decreto ingiuntivo, già pagato.
Su appello principale proposto dal B e su quelli incidentali adesivi del C e del M, la Corte d'Appello di Bologna, con sentenza n. 972 del 21.07.1993, revocava il decreto ingiuntivo condannando la Banca alla rifusione delle spese di entrambi i gradi. La Corte confermava la statuizione del Tribunale in ordine alla validità della fideiussione omnibus ed alla non necessità dell'individuazione nominativa del terzo garantito in relazione ad obbligazioni future;riteneva quindi fondata l'eccezione di inescutibilità dei fideiussori di secondo grado ex art. 948 c.c. sulla scorta dei medesimo iter argomentativo di principio del Tribunale, tuttavia rilevando che la banca creditrice non aveva fornito prova della sopravvenuta insolvenza di altri sei fideiussori del debitore principale, indicati nei contratto 21.11.1983. La Corte respingeva inoltre le domande del B dirette alla condanna della Banca al risarcimento danni ex art. 96 c.p.c. ed alla cancellazione dell'ipoteca giudiziale iscritta nei suoi confronti per la mancata produzione della relativa nota di iscrizione. La Banca Popolare dell'Emilia Romagna Soc. Coop. r.l. (dalla quale la Banca Pop.re di Cesena era stata incorporata) proponeva ricorso principale per cassazione della sentenza impugnata, avverso la quale, a sua volta, proponeva ricorso incidentale il B;tutti i fideiussori resistevano poi al ricorso principale con controricorso. Questa Corte di Cassazione, con sentenza 20.02.1996 n. 1323, sui ricorsi riuniti, in accoglimento del primo motivo di ricorso della banca dichiarava inammissibile l'appello incidentale proposto da Gian Michele M siccome tardivo, cassando in relazione alla sua posizione la sentenza d'appello senza rinvio e, in accoglimento del secondo motivo di gravame principale (assorbito il terzo), dichiarava valida ed efficace la clausola di deroga all'art. 1948 c.c. contenuta nelle fideiussioni sottoscritte dagli ingiunti, siccome lecita espressione dell'autonomia contrattuale delle parti rispetto ad una norma di tutela non già di interessi pubblici, bensì a presidio della posizione individuale del fideiussore e quindi di un diritto da costui pienamente disponibile. Cassava, quindi, la sentenza d'appello sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna, infine questa Corte respingeva il primo motivo di ricorso incidentale proposto dal B in ordine alla pretesa invalidità della fideiussione per la mancata individuazione nominativa del(i) terzo(i) garantito(i) dal primo fideiussore;dichiarando assorbiti gli altri motivi "in quanto concernenti statuizioni consequenziali alla pronuncia di accoglimento dell'opposizione......come sopra cassata.
Con atto di citazione notificato in date 24-30.01.1997, la Banca Popolare dell'Emilia Romagna s.r.l. riassumeva il giudizio innanzi alla Corte d'Appello di Bologna, convenendo tutti i fideiussori e chiedeva la reiezione delle domande tutte proposte dall'appellante B, la reiezione integrale dell'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal C e dal B, nonché la conseguente condanna alle spese dei vari gradi di giudizio.
Si costituiva il solo B, riproponendo alcune eccezioni già svolte nelle precedenti fasi di merito del giudizio. La Corte d'appello di Bologna, in parziale accoglimento dell'appello, revocava il decreto ingiuntivo opposto emesso dal presidente del tribunale di Forlì e condannava il B ed il C a pagare alla banca popolare dell'Emilia Romagna la somma capitale di lire 16.194.796 oltre interessi al saggio legale dall' 1.1.84 al saldo. Ricorre per cassazione il B sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la Banca popolare dell' Emilia che ha proposto altresì ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo, il B lamenta la violazione e falsa applicazione di legge nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ovvero reiezione implicita delle argomentazioni difensive circa punti decisivi della controversia laddove la sentenza impugnata ha escluso la nullità della fideiussione in data 21.11.83.
Con il secondo mezzo di impugnazione il ricorrente lamenta sempre la violazione o falsa applicazione di legge ovvero l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ovvero per reiezione implicita delle tesi difensive, laddove la sentenza impugnata ha escluso l'inescutibilità della fideiussione in esame. Con il terzo motivo di impugnazione censura la sentenza impugnata per avere escluso che la liberazione della fideiussione diretta fatta da esso ricorrente alla Scaf srl abbia comportato anche l'automatica remissione della fideiussione indiretta.
Con il quarto motivo di ricorso si duole che la sentenza impugnata sia incorsa in errore nella determinazione dell'ammontare del credito della banca in relazione alla capitalizzazione degli interessi nonché in ordine alla decorrenza di questi ultimi ed abbia altresì ritenuto irripetibili le spese di registro del secondo decreto ingiuntivo nonché rigettato implicitamente l'istanza di cancellazione dell'ipoteca.
Con il ricorso incidentale la Banca popolare dell' Emilia censura la sentenza della Corte d'appello di Bologna per avere questa ritenuto ammissibili nel giudizio di rinvio alcune questioni già sollevate dal B con l'atto di appello ma non riproposte con il ricorso incidentale avanti la Corte di cassazione per cui secondo il ricorrente incidentale, le stesse non potevano essere nuovamente dedotte nel giudizio di rinvio. I due ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. È il ricorso incidentale che deve essere esaminato per primo stante il suo carattere pregiudiziale.
Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha in più riprese affermato che la parte totalmente vittoriosa in appello (o nell'unico grado di merito) è legittimata a proporre ricorso incidentale solo nella ipotesi in cui intenda riproporre in cassazione l'eccezione del giudicato interno, mentre in tutti gli altri casi è priva di interesse processuale al ricorso. Essa può, peraltro, con riferimento alle domande od eccezioni espressamente non accolte dal giudice di merito, proporre ricorso incidentale condizionato all'accoglimento, almeno parziale, del ricorso principale, giacché in tale ipotesi, per effetto della cassazione della sentenza impugnata, viene meno la sua posizione di parte del tutto vittoriosa, sorgendo, in tal modo, l'interesse all'impugnazione. Invece, per le domande o eccezioni non esaminate, o ritenute assorbite dal giudice di merito, non all'ammissibile neppure il ricorso incidentale condizionato, in quanto sul punto non è stata pronunciata alcuna decisione, sicché l'eventuale accoglimento del ricorso principale comporta pur sempre la possibilità di riesame nel giudizio di rinvio di dette domande o eccezioni. (Cass. 3341/01;Cass. 4954/99). Nel caso di specie poiché le questioni riproposte nel giudizio di rinvio non avevano costituito oggetto di esame nel primo giudizio di appello, del tutto correttamente la Corte territoriale le ha ritenute ammissibili. I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente in quanto gli stessi propongono i medesimi profili di censura sia pure rivolti, per quanto riguarda il primo motivo, a far accertare la nullità della fideiussione e, per quanto riguarda il secondo, a farne dichiarare l'inapplicabilità.
I motivi di ricorso in esame presentano una serie articolata di profili di censura.
Il ricorrente lamenta, in primo luogo, che la Corte d'Appello di Bologna non avrebbe ritenuto sussistenti, in quanto non provate, le sue deduzioni in ordine alla responsabilità della Banca popolare dell'Emilia per concessione abusiva del credito e per altri comportamenti illegittimi e si duole del fatto che "il Giudice a quo nel ricostruire i fatti abbia escluso per motivi di diritto e per presunta mancanza di prova la palese illiceità della condotta della banca e degli amministratori della GIZ e non l'abbia legata al momento genetico dell' ultima fideiussione".
In particolare il ricorrente assume che il giudice di merito avrebbe escluso la sussistenza della prova dello stato di insolvenza di entrambe le società e la conoscenza di siffatto stato da parte della banca non rilevando che l'abusiva concessione di credito avrebbe comportato vuoi la nullità della fideiussione, vuoi l'inapplicabilità di quest'ultima. Entrambi i motivi sono infondati sotto diversi profili. Ai fini di meglio comprendere la fattispecie occorre ricostruire brevemente le vicende concernenti il rilascio delle diverse fideiussioni che costituiscono oggetto della controversia rammentando che: 1) il 20/10/80 B Osvaldo rilasciava una fideiussione per la GIZ s.r.l. a favore della Banca Popolare dell'Emilia;2) il 30/3/81 il B rilasciava un'altra fideiussione per garantire la SCAF srl. a favore della stessa Banca;
3) il 11/1983, il medesimo recedeva dalla fideiussione nei confronti della Scaf srl;4) dopo qualche giorno, il 21/11/8, la GIF srl rilasciava fideiussione per la SCAF srl in favore della stessa Banca, per cui in virtù della fideiussione omnibus rilasciata dal Bragagn) alla GEF srl lo stesso era divenuto anche fideiussore di secondo grado, in quanto garante dell'adempimento eventuale della fideiussione della GIF srl nei confronti della Scaf srl;5) successivamente la Scaf srl veniva posta in liquidazione coatta amministrativa (6.11.84) e la Gif srl veniva dichiarata fallita. Fatte queste premesse, va rilevato che la sentenza impugnata, dopo aver rilevato che il B aveva prospettato che l'incauta concessione del credito aveva, per un verso, determinato fa nullità del contratto di fideiussione e, per altro, la liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c., ha osservato che, sotto il profilo della nullità, questa doveva considerarsi insussistente poiché l'eventuale concessione del credito operata in mala fede dalla banca sarebbe stata successiva al sorgere dell' obbligatone fideiussoria e pertanto non avrebbe potuto influire sul momento genetico dell' obbligazione, mentre l'eventuale violazione di norme pubblicistiche di gestione patrimoniale avrebbe potuto dar luogo a sanzioni dell'ordinamento bancario senza peraltro costituire parametro per accertare la liceità del comportamento della banca. La sentenza impugnata ha ribadito inoltre il principio enunciato anche in ordine alle dedotte violazioni delle regole di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. in quanto entrambi tali regole afferiscono al momento esecutivo del contratto e non anche a quello genetico.
Tale motivazione si integra e si coordina con quella ulteriore fornita dalla Corte territoriale per escludere l'applicazione dell'articolo 1956 c.c. in base alla quale, premesso che il contratto di fideiussione firmato dal B conteneva una clausola di deroga per la banca dall'obbligo di informare i fideiussori delle concessioni di ulteriori crediti al debitore garantito, fra rilevato che, in ogni caso, il B avrebbe dovuto provare che la banca fosse a conoscenza delle più difficili condizioni patrimoniali in cui era venuto a trovarsi il debitore principale e che ciononostante gli avesse fatto ulteriore credito;circostanze queste che la Corte territoriale ha affermato non essere state provate. Da tale articolata motivazione, che abbraccia sia la dedotta nullità del contratto di fideiussione che quella di inapplicabilità della garanzia, si evince che la sussistenza di entrambi questi profili è stata esclusa per la ragione fondamentale che, in ogni caso, non vi era prova dello stato d'insolvenza della Gif srl e della Scaf srl riferito all'epoca del rilascio della fideiussione e della relativa conoscenza di esso da parte della banca. A tale ragione se ne deve aggiungere l'ulteriore, anch'essa decisiva, della mancanza della prova della erogazione del credito da parte della Banca a favore della Scaf srl che avrebbe, secondo la tesi del B costituito, per un verso, un comportamento illecito in violazione di norme atto a rendere nulla la fideiussione e, per altro, un comportamento in violazione dell'art. 1956 c.c. idoneo a rendere inoperante la fideiussione stessa.
La motivazione in esame fornita dalla Corte territoriale appare ineccepibile e prive di consistenza si rivelano le censure mosse dal ricorrente contro di essa.
L'aspetto risolutivo si rinviene nella infondatezza dell'assunto del ricorrente secondo il quale la concessione della fideiussione da parte della Gif srl alla Scaf srl dovrebbe considerarsi optate erogazione di un nuovo credito. Non si vede, infatti come la concessione di una fideiussione alla Banca da parte della Gif srl a garanzia di un debito, della Scaf srl possa equipararsi ad una concessione di credito a favore;di quest'ultima quando, da un lato, le garanzie vengono normalmente richieste per debiti già scaduti o contestualmente creati e, dall'altro, la concessione di credito, comporta l'erogazione o la messa a disposizione di somme di denaro in favore del cliente da parte della banca, circostanza quest'ultima ben distinta dalla prima.
Nel caso di specie, anche a volere in via ipotetica ritenere che il rilascio della fideiussione fosse stato fatto per consentire l'erogazione di un credito, tale ultima circostanza avrebbe dovuto essere adeguatamente provata. In mancanza di tale prova, ogni illecito comportamento da parte della banca deve ritenersi escluso in radice onde non può validamente accamparsi alcuna nullità ne' può assumersi la non applicabilità della fideiussione. Per quanto concerne in particolare quest'ultima questione, si rammenta che questa Corte ha già in ripetute occasioni affermato che in tema di fideiussione "omnibus" in favore di un istituto di credito la clausola di rinuncia preventiva del fideiussore ad avvalersi della liberazione nell'ipotesi di credito concesso al debitore principale senza la preventiva autorizzazione di cui all'art. 1956 cod. civ. (e nonostante l'aggravamento della situazione patrimoniale del debitore stesso) non si pone in contrasto con il disposto degli artt. 1175, 1325, 1346, 1375, 1938 cod. civ., ed è, pertanto, valida ed efficace, a condizione che l'istituto bancario tenga, nel corso del rapporto, un comportamento improntato ai principi di buona fede e correttezza, la prova della mancanza dei quali grava, peraltro, sul fideiussore che ne assuma la violazione (Cass. 5481/97;Cass. 6414/98;Cass. 8176/99;Cass. 11772/02). Nel caso di specie,
pertanto, del tutto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto, in presenza della citata clausola ed in assenza di ogni prova da parte del B di un comportamento contrario ai principi di buona fede da parte della banca, che la garanzia fideiussoria fosse pienamente applicabile.
In relazione a tale ultima circostanza la doglianza del ricorrente che appare ad essa riferibile, e che si riferisce al fatto che la banca avrebbe sfondato il tetto del fido, appare inammissibile. La stessa infatti, oltre ad investire valutazioni di merito ed essere tutto generica, si basa non solo sulla richiesta di verifica di dati contenuti in documenti processuali, che, come è noto, non possono essere esaminati in sede di legittimità, ma addirittura fa riferimento a documenti non contenuti nel fascicolo processuale quale quello che sarebbe stato prodotto dalla banca nel fascicolo del procedimento monitorio.
Come si è già rilevato, la mancata prova dell'intervenuta erogazione del credito da parte della banca alla Scaf spa esclude di per sè l'illiceità del comportamento della banca stessa in quanto non avrebbe in alcun caso dato luogo ad un aumento della esposizione garantita con ciò escludendo ogni violazione sia di legge che del dovere di correttezza. A tale proposito si osserva, per completezza di esposizione, che anche l'altra doglianza connessa, ed anzi logicamente preliminare, rispetto a quella esaminata, che concerne la sussistenza dello stato d'insolvenza da parte della Giz srl e della Scaf srl al momento del rilascio della fideiussione e la relativa conoscenza da parte della banca, si rivela inammissibile. A sostegno di tale tesi il ricorrente elenca una serie di documenti prodotti in giudizio (sentenza dichiarativa di fallimento della Giz, dichiarazione d'insolvenza della Scaf con i bilanci della società, documentazione contabile, relazione del liquidatore etc.) da cui risulterebbe che lo stato d'insolvenza delle società era anteriore di almeno un anno rispetto alla data di rilascio della fideiussione ed in base ai quali assume che, se la Banca popolare se avesse usato la diligenza del "bonus argentarius", non avrebbe potuto ignorare la sussistenza del predetto stato.
Anche in questo caso però la doglianza si rivela generica poiché, per un verso, tende a far valere una diversa valutazione circa il merito degli elementi probatori acquisiti in giudizio mentre, per altro verso, non riporta in modo dettagliato ed integrale i documenti cui intende far riferimento per cui il motivo è privo di autosufficienza non mettendo questa Corte in condizione di prendere contezza dei documenti cui si fa riferimento che, come già rilevato, non possono costituire oggetto di visione diretta dal fascicolo del giudizio di merito.
Deve quindi concludersi che siffatta doglianza è inammissibile. Per completezza di argomentazione resta da esaminare la questione della dedotta illiceità del comportamento della banca sotto il profilo della violazione dell'art. 35 della legge bancaria nonché dell'art. 47 cost che darebbe luogo ad un ricorso abusivo al credito ai sensi dell'art. 218 l.f. nonché alla violazione degli artt. 216 e 217 l.f. con conseguente nullità della fideiussione in quanto posta in essere in violazione di una norma imperativa.
L'esame di tale doglianza appare invero superfluo in ragione di quanto in precedenza detto perché non risultando provata l'erogazione del credito viene meno la possibilità di ipotizzare i reati sovraindicati con la violazione conseguente di norme imperative.
A ben vedere peraltro, nella fattispecie in esame non vi sarebbe comunque la sussistenza del reato di cui all'art. 218 l.f. perché il ricorso abusivo al credito è un reato proprio dell'imprenditore fallito che, dissimulando lo stato d'insolvenza, ottiene del credito, per cui non è ipotizzarle in siffatto reato il concorso del finanziatore il quale, per definizione, deve ignorare lo stato d'insolvenza essendo la dissimulazione un elemento essenziale per integrare il reato.
Occorre del resto rilevare che, per aversi violazione di norme penali ai sensi dell'art. 1418 c.c., il contratto deve essere vietato direttamente dalla norma penale nel senso che la sua stipulazione integri reato, non rilevando il divieto che colpisce soltanto un comportamento materiale delle parti e meno che mai di una sola di esse.
Stesso discorso deve farsi per ciò che concerne le ipotizzate violazioni degli artt. 216 n. 2 l.f. e 217 nn. 3 e 4 l.f., senza tenere conto di una ulteriore circostanza che investe la assoluta genericità della censura che si limita ad affermare la violazione delle predette norme senza neppure specificare in virtù di quali comportamenti specifici delle parti e di quali conseguenze sul patrimonio del debitore fallito ciò sia avvenuto.
Neppure poi a volere, in via di pura ipotesi, ritenere che la concessione della fideiussione sia stata posta in essere di comune accordo tra le parti per frodare i terzi sarebbe possibile ipotizzare una nullità del negozio perché il nostro ordinamento non contiene una norma che sancisce in via generale con l'invalidità un siffatto negozio.(Cass. 10603/93). Da quanto fin qui detto emerge la superfluità di ogni analisi circa la dedotta condotta illecita e contraria alla correttezza del "bonus argentarius" da parte dei dirigenti della banca resistente perché manca la sussistenza dei presupposti di fatto (prova dello stato d'insolvenza delle società e prova della concessione dell'erogazione di denaro alla Scaf) cui rapportare qualunque illiceità comportamentale.
Inammissibile per mancanza di specificità si rivela, infine, nell'ambito delle questioni di nullità sollevate dal ricorrente, quella della rinuncia effettuata dal B alla clausola a far valere la nullità perché violatrice dell'art. 1462 c.c.. Tale censura si limita infatti ad una mera affermazione di principio senza fornire alcuna argomentazione in via di fatto e di diritto per cui tale rinuncia sarebbe nulla.
Quanto al terzo motivo di ricorso lo stesso si rivela infondato per la parte con cui sostiene che la rinuncia alla sussidiarietà da parte del B abbia comportato la trasformazione della fideiussione di secondo grado in favore della Giz srl in cofideiussione con obbligazione diretta verso il debitore principale Scaf srl con la conseguenza che, avendo la banca liberato in data 6.11.84 il ricorrente dalla obbligazione fideiussoria diretta nei confronti della predetta Scaf srl, la garanzia in esame non poteva più essere fatta valere.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che "la fideiussione della fideiussione (o fideiussione di secondo grado) è una figura contrattuale - espressamente prevista dall'art. 1940 Cod. civ. - della quale sono parti un creditore il cui diritto verso un
debitore sia già garantito da un primo fideiussore, ed un secondo fideiussore;e, nella quale, il secondo fideiussore garantisce personalmente l'adempimento dell'obbligazione fideiussoria del primo garante. Secondo il regime legale dettato dall'art. 1948 Cod., civ., l'obbligazione del fideiussione di secondo grado presuppone che il debitore principale e tutti i fideiussori di questo siano insolventi o siano liberati perché incapaci. "Di contro, si ha confideiussione quando una pluralità di fideiussori garantisca personalmente l'adempimento di un medesimo debito e, nel contempo, tra le obbligazioni dei singoli fideiussori esista un collegamento nel senso che costoro, mossi da un interesse comune, garantiscono congiuntamente (anche se non contestualmente) il medesimo debito ed il medesimo debitore".
"Come è palese, le due figure contrattuali hanno oggetto essenzialmente diverso e si differenziano tra loro unicamente per questo elemento".
"La fideiussione della fideiussione ha quale oggetto l'adempimento, nell'immediato, della prestazione fideiussoria alla quale si era obbligato il fideiussore di primo grado e, solo, indirettamente, e quale risultato pratico dell'adempimento in luogo del fideiussore di primo grado, del debito principale".
"La confideiussione ha quale oggetto immediato l'adempimento del debito principale congiuntamente e, cumulativamente, agli altri cofideiussori collegati".
"Di conseguenza, il cofideiussore è obbligato, oltre che con gli altri fideiussori con il debitore principale. Di contro, il fideiussore di secondo grado è obbligato con il fideiussore di primo grado, ma non con il debitore principale, il che, tra l'altro, comporta che, pur rimanendo inadempiuto il debito principale, il fideiussore di secondo grado rimane liberato in conseguenza degli eventi giuridici che, per una qualsiasi ragione, rendano improduttiva di effetti, nei confronti del creditore principale, la fideiussione di primo grado".
"Ora, rinserimento in un contratto - tra un creditore ed un secondo fideiussore il quale garantisca l'adempimento dell'obbligazione fideiussoria di altro fideiussore per il debitore principale - della regola della non sussidiarietà della fideiussione oggetto del contratto (la seconda) non è dato sufficiente a giustificare la conclusione che, in questa ipotesi, il negozio è una confideiussione invece che una approbazione". "Difatti, manca pur sempre l'elemento tipicizzante la confideiussione, costituto dalla garanzia dell'adempimento del debito principale, ed è presente quello essenziale della fideiussione di secondo grado, dato dalla garanzia dell'obbligazione fideiussoria di primo grado". "Nè, d'altra parte, si potrebbe sostenere che l'eliminazione della regola della sussidiarietà determinerebbe l'assoluta parità di regime giuridico tra le figure della fideiussione della fideiussione e della confideiussione, sicché la stessa eliminazione comporterebbe, di fatto, l'assimilazione della prima figura alla seconda. Per vero, pur eliminando la regola, rimarrebbero pur sempre rilevanti diversità di effetti direttamente connessi alla diversità dell'oggetto della garanzia, come si è già sottolineato. In definitiva, l'introduzione della regola della non sussidiarietà determina soltanto l'assoggettamento pattizio della fideiussione di secondo grado ad una disciplina diversa da quella legale prevista dall'art. 1948 Cod. civ." (Cass. 9363/91;conf. Cass. 1323/96;Cass. 6587/97;Cass. 6613/00).
In conclusione, contrariamente a quanto assume il ricorrente la rinuncia alla sussidiarieta, non attiene all'oggetto della fideiussione od alla sua estensione, ma soltanto alla disciplina del rapporto fideiussorio, sicché il patto che la prevede deve considerarsi clausola contrattuale in senso stretto. Ne deriva che la Corte territoriale non e, incorsa in violazione o falsa applicazione di legge allorché, dopo essersi uniformata, al principio stabilito dalla sentenza di rinvio di questa Corte n. 1323/96, che aveva ritenuto legittima la clausola di rinuncia della sussidiarietà da parte del B, ha continuato a qualificare il contratto come fideiussione di secondo grado individuando implicitamente nel patto di deroga al regime dell'art. 1948 Cod. civ. in esso contenuto, la natura e la portata di clausola. Il terzo motivo si rivela poi inammissibile per la parte in cui si duole che la sentenza impugnata ha escluso che la liberazione del B da parte della Banca popolare dalla fideiussione nei confronti della Scaf srl abbia comportato anche la liberazione dalla fideiussione di secondo grado. Sul punto la corte territoriale ha fornito ampia motivazione precisando che il B aveva prestato due fideiussioni, una nel 1980 per i debiti della Giz srl ed un' altra nel 1981 per i debiti della Scaf srl, e che solo da quest'ultima era stato liberato nel 1984 dalla Banca popolare dell'Emilia e che tale dichiarazione liberatoria non poteva estendersi anche all'altra fideiussione in favore della Gif pattandosi di rapporti di garanzia del tutto distinti facenti capo a soggetti diversi.
Tale motivazione si rivela ineccepibile sotto il profilo logico- giuridico e le censure ad essa mosse tendono a fornire una diversa vantazione degli elementi documentali acquisiti in atti ed una diversa ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti, costituendo per questo aspetto una censura sotto il profilo del merito della decisione del giudice di secondo grado non proponibile in questa sede di legittimità, mentre sotto un diverso profilo la censura, per poter essere esaminata, presuppone la visione da parte di questa Corte dei documenti acquisiti al processo che, come già in precedenza ricordato, non è consentita. Anche il quarto motivo di ricorso è infondato.
Per quanto concerne la doglianza che la prova del credito sarebbe stata fondata sull'estratto conto dell'ultimo trimestre va ricordato che questa Corte ha in più occasioni affermato che in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario va distinto l'estratto di saldaconto - dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un'attestazione di verità e liquidità del credito - dall'ordinario estrattoconto che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall'ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticata dalla banca.
Il saldaconto infatti, riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall'istituto, mentre l'estratto - conto, trascorso il debito periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente(Cass. 2751/02). Inoltre gli estratti conto non contestati dal correntista costituiscono piena prova del credito della banca anche nei confronti del fideiussore, ove questi non li assoggetti ad alcuna specifica contestazione. (Cass. 6258/02). In applicazione dei predetti principi ed a prescindere da quanto si dirà in seguito circa il fatto che il documento preso in esame dalla Corte territoriale e dalla stessa definito "riepilogo del conto" non sembra costituire un estratto limitato all'ultimo trimestre, osserva la Corte che poiché non è stato in alcun modo dedotto che l'estratto conto prodotto dalla banca sia stato contestato dal correntista, lo stesso riferendosi alla fase finale del rapporto fa piena prova anche nei confronti del B senza che sia necessaria la produzione di un estratto relativo all'intero rapporto. Per quanto concerne poi la censura che riguarda il mancato ricalcolo degli interessi sul conto corrente Scaf in particolare senza tenere conto della capitalizzazione trimestrale, la Corte territoriale ha rilevato che la fideiussione prevedeva come tetto massimo la somma di lire cento milioni per capitale oltre gli interessi e che già con precedente decreto ingiuntivo non opposto i fideiussori avevano pagato la somma di lire 3 milioni circa per capitale oltre tredici milioni per interessi per cui la somma richiesta nel presente giudizio di lire 16 milioni circa arrivava fino alla concorrenza del precisato tetto di lire 100 milioni onde non aveva senso distinguere tra la parte afferente al capitale e quella relativa agli interessi, tenuto altresì conto che il B non aveva fornito alcuna indicazione che nella somma capitale erano entrati a far parte somme relative ad interessi e che non era possibile procedere, per intervenuto giudicato, al ricalcolo degli interessi già corrisposti dal precedente decreto ingiuntivo in ordine al credito in linea capitale mentre il meccanismo di capitalizzazione non avrebbe comunque trasformato il debito di interessi in capitale. L'elemento che appare decisivo è costituito dal fatto che la Corte territoriale ha rilevato che incombeva al B fornire la prova di una diversa imputazione degli interessi ai fini di un loro ricalcolo. Una volta infatti che la banca popolare aveva fornito tramite la produzione dell'estratto conto la prova dell'ammontare del proprio credito ritenuto in conto capitale era onere del resistente dimostrare che una parte della somma era costituita da interessi. A tale proposito va osservato che la sentenza da atto che nel corso del giudizio è stato prodotto il "riepilogo del conto" che, in base al significato letterale della espressione, deve intendersi un rendiconto comprendente la ricostruzione delle vicende del contratto bancario con l'indicazione delle diverse poste attive e passive, come è dimostrato dal fatto che la Corte territoriale espressamente chiarisce che il ricorrente non ha indicato alcuna posta che potesse considerarsi a titolo di interessi che sia confluita nel capitale. La doglianza che il B avanza nei confronti di questa motivazione, e, cioè, che il documento prodotto in atti si riferiva solo al periodo 1 marzo 1984 - 28 marzo 1984, appare per del tutto generica e priva di autosufficenza poiché, stante l'impossibilità per questa Corte di prendere visione dei documenti riversati in atti, avrebbe dovuto analiticamente riportare il contenuto dell'estratto conto in questione al fine di consentire una valutazione dello stesso.
A ciò deve aggiungersi che qualora si dovesse interpretare la censura sotto il profilo di una errore di fatto risultante dagli atti e documenti, sotto il profilo di avere ritenuto un riepilogo a carattere generale del conto quello che invece era soltanto un estratto limitato ad un breve periodo, in tal caso la parte avrebbe dovuto proporre ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c. risultando così anche per tale ipotizzabile aspetto l'attuale ricorso inammissibile.
Per quanto riguarda l'ulteriore questione della decorrenza degli interessi, la stessa non è stata proposta con l'appello per cui la stessa non può essere per la prima volta dedotta in sede di legittimità.
Infondata è poi l'ulteriore doglianza relativa al mancato riconoscimento della ripetibilità delle spese di registro del secondo decreto dal momento che la corte territoriale ha esattamente rilevato che l'attore non è obbligato a chiedere il pagamento dell'intero credito con un'unica azione, potendo verificarsi la necessità, per le più disparate ragioni, di dover esperire diverse iniziative processuali limitatamente ad una parte di esso che comportano in ogni caso il diritto a ripetere le spese effettuate. Le censure mosse a tale argomentazione si rivelano inammissibili in quanto si basano su circostanze di fatto (momento di manifestarsi dell'insolvenza, mancata preventiva richiesta di pagamento prima di emanare il decreto ingiuntivo etc.) che, investendo questioni di merito, non sono proponibili in questa sede di legittimità. La censura relativa al rigetto della istanza di cancellazione dell'ipoteca è infine infondata. Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che con riguardo all'accoglimento parziale dell'opposizione a decreto ingiuntivo, nel concetto di atti di esecuzione, (già compiuti in base al decreto), dei quali l'art. 653, secondo comma, prevede la conservazione degli effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta, rientrano non soltanto gli atti del processo di esecuzione, ma tutti i possibili effetti dell'esecutività del decreto, e, dunque, anche l'ipoteca iscritta sulla base dell'esecutività del decreto stesso, attesa la ratio della disposizione citata, tesa a mantenere integra, nei limiti del credito ridotto, la posizione e la protezione del creditore.(Cass. 10945/91 Cass. 5007/97).
Del tutto correttamente quindi la Corte territoriale ha rigettato l'istanza di cancellazione proposta dal B.
In conclusione dunque il ricorso principale va rigettato così come quello incidentale. Il B va condannato al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessivi euro 1600,00 di cui euro 1500,00 per onorari oltre le spese generali e gli accessori come per legge.