Cass. civ., SS.UU., sentenza 10/02/2014, n. 2910

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Massime1

Le norme che disciplinano il risarcimento del danno da atti illegittimi della P.A. non si applicano, né possono venire in applicazione, in via immediata, in sede di sindacato sulla giurisdizione e sulla effettività della tutela giurisdizionale, esercitato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione ai sensi dell'art. 111, ottavo comma, Cost. Ne consegue che difetta di rilevanza la richiesta, avanzata in tale sede, di sollevare rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea (ai sensi dell'art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea), relativamente al mancato assoggettamento al sindacato della Corte di cassazione delle decisioni rese dal giudice amministrativo in applicazione delle norme suddette.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 10/02/2014, n. 2910
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 2910
Data del deposito : 10 febbraio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R L A - Primo Presidente f.f. -
Dott. B G M - Presidente di Sez. -
Dott. R R - Presidente di Sez. -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. M L - rel. Consigliere -
Dott. D A S - Consigliere -
Dott. A G - Consigliere -
Dott. N V - Consigliere -
Dott. G A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 9832-2013 proposto da:
SOA NAZIONALE COSTRUTTORI ORGANISMO DI ATTESTAZIONE S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CIPRO

4H, presso lo studio dell'avvocato C S, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI SERVIZI E FORNITURE, in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 630/2013 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 01/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/01/2014 dal Consigliere Dott. LUIGI MACIOCE;

udito l'Avvocato Sergio CAMMARERI;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.

APICE

Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) il 30.11.2000 rilasciò l'autorizzazione a svolgere attività di attestazione alla SOA s.p.a. ma con atto del 20.06.2006 ebbe a revocare
l'autorizzazione stessa. SOA impugnò innanzi al giudice amministrativo tale revoca ed il Consiglio di Stato con sentenza 4363 del 2008, in riforma della decisione di primo giudice, annullò il provvedimento per violazioni di legge ed eccesso di potere. SOA adì quindi il TAR il 15.4.2010 per ottenere il risarcimento dei danni, a carico di AVCP, quali conseguenze dell'atto illegittimo adottato. Il TAR per il Lazio adito - innanzi al quale peraltro SOA aveva posto dubbi sulla effettività e completezza della pur invocata giurisdizione amministrativa - con sentenza 6717 del 2011 respinse l'impugnazione sul rilievo che l'illegittimità, peraltro solo formale, dell'atto non comportasse in via automatica l'obbligazione risarcitoria occorrendo la prova, che nella specie non era stata data, della violazione delle regole di correttezza, imparzialità e buona fede della AVCP nell'adottare l'atto stesso e pertanto permanendo l'ipotesi si fondatezza sostanziale della revoca fondata sui rapporti della GdF e della DDA di Napoli. SOA propose quindi appello lamentando in primo luogo la omessa pronunzia sulla questione di giurisdizione (e sulla prospettata illegittimità costituzionale della devoluzione al giudice amministrativo delle controversie risarcitorie da atti e provvedimenti) e reiterando nel merito le proprie tesi sulla esistenza dell'illecito.
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 630 in data 1.2.2013 dopo aver rilevato, in primo luogo, la carenza di interesse a dedurre assenza di potestas judicandi nel giudice da essa parte adito, ha osservato che le questioni di costituzionalità - afferenti le ridotte garanzie di una completa ed effettiva tutela dei diritti soggettivi da parte del giudice amministrativo offerte dal vigente C.P.A. - da un canto si sarebbero dovute porre innanzi al giudice ordinario, ove sollevata la questione di giurisdizione, e dall'altro canto si palesavano come affatto infondate stante la piena idoneità del giudizio innanzi al giudice amministrativo ad assicurare la piena ed effettiva tutela dei diritti (come peraltro risultante dalle sentenze della Corte Costituzionale 204/2004 e 191/2006). Ha quindi rigettato con ampie argomentazioni le censure di merito rivolte da SOA alla decisione del TAR: la sentenza al proposito ha rammentato che la decisione di annullamento della revoca era stata adottata dal Consiglio di Stato sia per tardiva comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento sia per difetto nella instaurazione del contraddittorio ma che essa decisione aveva espressamente fatto salvo il potere dell'AVCP di sottoporre a nuova verifica, una volta riammesso il richiedente alla ripresa dell'attività di certificazione, dei requisiti di cui al D.P.R. n. 34 del 2000, che nondimeno all'esito di altre indagini era emersa una situazione deficitaria e di non chiara appartenenza azionaria tali da determinare nuova revoca con Delib. n. 231 del 2011 della stessa AVCP (a sua volta impugnata innanzi al TAR), che il quadro originario e rinnovato dei fatti afferenti la originaria revoca evidenziava l'assenza di elementi e profili di colpa in capo a AVCP stante la formalità della revoca e la presenza di un grave quadro di carenza di trasparenza e correttezza della società SOA, che neanche potevasi considerare formato un giudicato con la decisione di annullamento 4363 del 2008 stante il carattere limitato e formale di detta pronunzia demolitoria.
Con ricorso ex art. 362 c.p.c., comma 1 del 18.4.2013 SOA ha articolato due motivi nella prospettiva dimostrativa della carenza di "legittimazione costituzionale" della giurisdizione amministrativa sui danni: non potendo ravvisarsi un problema di riparto, stante la chiarezza delle norme e le ripetute pronunzie della Corte Costituzionale, il ricorso affronta infatti la questione della carenza di garanzie intrinseca ed estrinseca della predetta giurisdizione, articolando due motivi. L'AVCP ha resistito con controricorso del 28.05.2013
SOA ha depositato memoria finale ed il suo difensore ha discusso oralmente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che il complesso di proposte interpretative e di stimoli ad iniziative di rimessione sottese ai due motivi di censura formulati dalla ricorrente SOA, non possa, per quanto meritevole di attenta considerazione, essere da queste Sezioni Unite condiviso. Il primo motivo, dopo aver contestato la valutazione di carenza di interesse posta dal Consiglio di Stato a sollevare la questione di giurisdizione, all'uopo non scorgendosi alcun problema di interesse una volta rammentato che nessuna preclusione si era formata, reitera ed illustra la propria proposta di incostituzionalità, o di contrasto con i canoni comunitari, della predetta riserva al giudice amministrativo della cognizione sui danni da atto illegittimo. Delinea al proposito un quadro di minorata tutela, sia quanto a strumenti processuali sia quanto a regola sostanziale applicabile, della parte nel processo innanzi al giudice amministrativo, quadro aggravato dalla assenza della funzione nomofilattica della Cassazione. Sottolinea conseguentemente come tale funzione sarebbe necessaria per eliminare od appianare le divergenze tra i due ordini in materia di lettura dell'art. 2043 c.c., quanto ai profili dell'elemento soggettivo dell'autore dell'illecito, e dell'art. 115 c.p.c., quanto al momento nel quale può ritenersi avverata la non
contestazione dei fatti allegati a parte actoris.
Conclusivamente propone di comprendere nel sindacato sulla effettività della giurisdizione resa dal giudice amministrativo anche la cognizione delle proposte domande risarcitorie, sottoponendole alla piena cognizione del giudice di legittimità e previa disapplicazione diretta delle norme del vigente CPA ovvero previa la dovuta rimessione della pregiudiziale di interpretazione ex art. 267 del TFUE (già art. 234 del Trattato CE).
Il secondo motivo auspica una rilettura dell'art. 111 Cost., comma 8 che consenta, al fine di elidere la limitativa interpretazione delle appena dette norme sul risarcimento e sulla prova, di riespandere il sindacato sulle violazioni di legge della Corte di legittimità le volte in cui sia resa pronunzia dal giudice amministrativo sui diritti soggettivi. Nella specie la interpretazione resa dal Consiglio di Stato sull'ambito della colpa della P.A. nella vicenda di danno, individuandola solo nella colpa grave e con riguardo al momento, ben successivo al fatto della adozione di altro provvedimento di revoca a carico della SOA, nonché la interpretazione dello stesso CPA in termini di autorizzazione alla contestazione successiva dei fatti allegati dal ricorrente, sarebbero elementi emblematici sia della minorata tutela della parte sia della grave disparità di trattamento riservato dalle due giurisdizioni. L'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici ha nel proprio controricorso, dopo aver denunziato la carenza di interesse correlata al divieto di abuso del diritto, ampiamente difeso la costituzionalità del riparto ed ha ricordato - a chiusura - la pronunzia di SU 11075 del 2012. Sotto il primo profilo della difesa dell'AVCP, quello della preclusione a conoscere della questione sottoposta per effetto di una "consumazione" del potere di denunziarla connesso alla diversa scelta di giurisdizione fatta dalla SOA, il Collegio intende negare ancora una volta che, a rendere non conoscibile la questione di giurisdizione, sia predicabile - accanto al sistema della preclusione per mancata deduzione con appello (anche incidentale) - l'operatività di una clausola di divieto di "abuso" ostativa alla denunzia per chi abbia adito il giudice la cui giurisdizione vorrebbe poi contestare. Queste Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato che sia proponibile la questione di (difetto di) giurisdizione (del giudice amministrativo) - sollevata in sede di impugnazione della decisione del TAR - anche da parte chi abbia invocato la giurisdizione di quel giudice amministrativo e poi sia risultato, nel merito, soccombente in esito a quel giudizio, posto che l'unica preclusione configurabile alla stregua del vigente quadro normativo, ed esplicitata nell'art. 9 del vigente C.P.A., è quella derivante dalla formazione del giudicato implicito nella non impugnata decisione di merito (in tal senso si ricordano le decisioni n. 1006 del 2014, n. 7097 del 2011 e n. 26129 del 2010). Sotto il secondo profilo della difesa di AVCP, appare di interesse richiamare proprio l'invocata decisione del 2012 di queste Sezioni Unite, trascrivendone un passaggio:
"La effettiva portata della censura è del resto assai efficacemente illustrata (....) là dove si afferma essere richiesto alle Sezioni Unite di pronunziarsi per la prima volta sulla loro potestà di procedere al controllo diretto della completezza della tutela dei diritti soggettivi assicurata dal giudice amministrativo in giurisdizione esclusiva, al fine di assicurare ai diritti soggettivi lo stesso tipo di tutela che essi avrebbero ricevuto davanti al giudice ordinario in assenza di devoluzione al giudice amministrativo (....) e nella ipotesi in cui - ravvisata nella specie - al diritto soggettivo sia stato indebitamente riservato il trattamento dell'interesse legittimo. In tal modo a ben vedere viene messa in discussione la pretesa necessaria contrazione della funzione nomofilattica della Cassazione, necessariamente dando forte enfasi al dato costituzionale che, secondo una dottrina, comporterebbe la ineludibilità del sindacato per violazione di legge le volte in cui il giudice, qualunque giudice, abbia deciso su diritti soggettivi e quindi, ed in particolare, sulle decisioni emesse in giurisdizione esclusiva. La strada percorsa per assicurare tale espansione del sindacato di legittimità sarebbe quella di ritenere operante la limitazione di cui all'art. 111 Cost., comma 8 nei soli casi di decisioni emesse su interessi legittimi, per la tutela dei diritti operando - di contro ed in via generale - la previsione di cui all'art. 111, comma 7. La risposta delle Sezioni Unite sin dalla decisione 2078 del 1973 (successivamente si rammentano tra le tante le nn. 9558 del 2002 e 13176 del 2006) è stata notoriamente negativa, essendosi negli ultimi anni l'attenzione di questo organo regolatore applicata ben più che su di una - non consentita - lettura estensiva del sindacato alle aree di decisione della giurisdizione esclusiva, sulla necessità che ciascuna giurisdizione assicuri la effettiva tutela dei diritti che l'ordinamento chiede di somministrare. Ed è esattamente quel che è occorso nella nota vicenda della "pregiudiziale amministrativa", dalla pronunzia n. 13659 del 2006 alla decisione n. 30254 del 2008 sopra richiamata. Il Collegio condivide e fa proprio tale orientamento consolidato e pertanto disattende la proposta di ampliamento del proprio sindacato...".
Orbene, al richiamo a tal statuizione del 2012 fatto dalla difesa di AVCP la SOA non oppone in memoria un espresso dissenso ma solo reitera la propria convinta proposta di contestuale lettura aperta dell'art. 111 Cost., comma 8 e di sospetto di incostituzionalità, e/o di conflitto con la cogenza delle norme dell'Unione, di disposizioni (gli artt. 7, 30 e 110 e art. 133, comma 1, lett. L del C.P.A.) imputate di essere fonte di una minorata tutela dei diritti soggettivi lesi dall'illecito agire della P.A..
Il Collegio ritiene di ribadire quanto sin qui affermato in una linea di continuità giunta all'assai recente pronunziato n. 1013 del 2014, una linea che induce ad escludere la prospettiva di una lettura "ampliativa" dell'art. 111 Cost., comma 8 e contestualmente a ribadire la piena inerenza al sindacato da tal norma previsto del controllo di effettività della tutela somministrata dal giudice amministrativo, attraverso la possibilità di accoglimento delle denunzie di rifiuto dell'esercizio della potestà giurisdizionale, "rifiuto", beninteso, rilevante solo quando il rigetto della richiesta della tutela passi attraverso l'aprioristica affermazione della impossibilità di assicurarla per ragioni "di sistema attributivo" e non attraverso errori nell'applicazione o interpretazione di norme sostanziali o processuali (e si ricordano tra le ultime le decisioni nn. 17933, 24468 e 26583 del 2013 nonché, da ultimo, n. 771 del 2014).
Può quindi venirsi all'esame del diverso profilo attraverso il quale SOA sollecita l'intervento di queste Sezioni Unite, quello imposto dalla asserita differenza di tutela - in materia di diritti originati dalla disciplina del D.Lgs. n. 163 del 2006 e quindi nel cd. cono d'ombra del diritto comunitario - del diritto al risarcimento del danno ove esso sia cagionato da atto amministrativo illegittimo, e quindi sottoposto alla giurisdizione del giudice amministrativo, rispetto al ristoro di piena intensità, processuale e sostanziale e sotto la finale garanzia di uniformità del sindacato della Corte di Cassazione, che sarebbe stato offerto dalla cognizione del giudice ordinario ove detta cognizione fosse stata estesa alla stessa vicenda di illecito. Di qui, e come dianzi riferito, la sollecitazione ad una diretta disapplicazione delle ostative previsioni del codice del processo amministrativo, o, comunque, alla formulazione di questione pregiudiziale di interpretazione innanzi alla Corte di Giustizia con riguardo alle norme dell'Unione che osterebbero alla applicazione delle disposizioni del C.P.A. (D.Lgs. n. 204 del 2010, artt. 7 e 30) preclusive del risultato della pari ed effettiva tutela. E di qui anche la implicita richiesta di cassare la sentenza impugnata per non avere quel giudice amministrativo colto la tensione tra le norme in applicazione e quelle del Trattato volte ad assicurare una ben superiore ed uniforme tutela.
È da rammentare che queste Sezioni Unite hanno considerato inammissibile la doglianza di superamento dei limiti della giurisdizione appuntata contro una sentenza del Consiglio di Stato per non avere dato corso alla richiesta di investire la Corte di Giustizia della questione relativa alla interpretazione di una norma del Trattato di cui era stata chiesta l'applicazione. Infatti, se è vero che nell'esercizio del sollecitato potere interpretativo la Corte europea non interviene come giudice del caso concreto, ma solo per esternare l'interpretazione esatta delle disposizioni che il giudice nazionale ha ritenuto rilevanti ai fini del decidere, ne discende che in capo a tale giudice nazionale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale, il cui esercizio era stato richiesto con l'atto introduttivo del giudizio ed il cui esercizio conforme a diritto europeo resta pertanto ad esso assegnato. E ne consegue che gli errori commissivi od omissivi, quand'anche commessi dal giudice di ultima istanza della giustizia amministrativa nell'aver omesso di interpellare la Corte di Giustizia ai sensi del Trattato, rimangono esclusi dal sindacato delle Sezioni Unite (come assai di recente rammentato nella decisione di questa Corte 16886 del 2013 e nella già citata 1013 del 2014). È poi da valutare che, tra gli argomenti del ricorso, oltre alla richiesta di una statuizione repressiva del mancato rinvio pregiudiziale da parte del giudice amministrativo, e sulla cui inammissibilità si è appena detto, viene da SOA invocata una diretta iniziativa di rimessione da parte di queste Sezioni Unite, sull'assunto implicito che questo Collegio sia giudice di ultima istanza tenuto - nel dubbio interpretativo - al rinvio pregiudiziale di cui all'art. 267 TfUE (già art. 234 TCE).
La ricorrente SOA indica le norme comunitarie (o quelle internazionali richiamate) negli artt. 19 del T.U.E. (statuente l'obbligo di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione), nell'art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (2012/C- 326/02), statuente il diritto del cittadino ad una giustizia equa, pubblica, celere, imparziale, nell'art. 81, comma 2, lett. E) - f) del TfUE e negli artt. 6 e 13 della CEDU. Reputa poi la SOA che tali statuizioni renderebbero ictu oculi con esse incompatibili le previsioni del CPA che avrebbero autorizzato il giudice amministrativo a conformare uno "statuto" del danno da provvedimento amministrativo illegittimo ed un complesso di regulae juris sulla sua valutazione affatto estranei, in particolare per la particolare enfasi data al profilo della "colpa" nel fatto produttivo del danno, dal complesso di principii sostanziali e di regole processuali applicative dell'art. 2043 c.c. al fatto illecito comune quali delineate ed assicurate erga omnes dalla funzione di nomofilachia della Corte di Cassazione. Ad avviso del Collegio la questione di interpretazione in tal modo posta, oggetto del sollecitato rinvio pregiudiziale, non è rilevante innanzi a queste Sezioni Unite.
Sulla consistenza della valutazione di rilevanza giova richiamare il chiaro indirizzo della Corte Costituzionale che, in due pronunziati (nn. 103 del 2008 e 207 del 2013), nella veste di giudice di ultima istanza, ha avuto modo di chiarire che la questione pregiudiziale posta alla Corte di giustizia è rilevante nel giudizio di legittimità costituzionale, poiché l'interpretazione richiesta a detta Corte appare necessaria a definire l'esatto significato della normativa comunitaria al fine del successivo giudizio di legittimità che (la) Corte dovrà compiere rispetto al parametro costituzionale integrato dalla suddetta normativa comunitaria. Ebbene, i termini della questione evocati da SOA sono:
- una norma nazionale che, nella interpretazione stabilmente resa dal giudice competente a conoscere della sua applicazione, sarebbe collidente con l'interpretazione della stessa norma resa in altro plesso giurisdizionale;

- un complesso di norme comunitarie che parrebbero divietare tale conflitto, imponendo, nelle materie disciplinate dal Trattato, l'uniforme erogazione di garanzie;

- l'obbligo del giudice di ultima istanza della controversia di sollecitare la chiarificazione del divieto sopra citato per poter assicurare l'applicazione della norma "conformata". Ritiene il Collegio che difetti innanzi a queste Sezioni Unite la rilevanza della questione quale appena sintetizzata posto che le norme nazionali (e si intendono le disposizioni del CPA che autorizzerebbero la formazione di un statuto del risarcimento del danno da provvedimento illegittimo) non vengono ne' possono venire in applicazione immediata in sede di sindacato sul riparto e sulla effettività della tutela. A ben vedere, infatti, la assenza nella giurisdizione amministrativa della garanzia di uniforme interpretazione delle norme, assegnata alla Corte di Cassazione, viene nel ricorso SOA utilizzata come dato sintomatico e "di chiusura" della disomogeneità di tutele sostanziali e processuali ma non viene essa stessa inserita in rapporto di contrasto con il diritto comunitario, evidentemente nella consapevolezza che la norma nazionale imputabile di essere causa prima del "deficit di garanzia" (l'art. 110 C.P.A.) è totalmente riproduttiva dell'art. 111 Cost., comma 8. E sulla implausibilità di una lettura ampliativa della
disposizione costituzionale si è detto dianzi.
E pertanto, e conclusivamente, non scorgendosi profili del pur attentamente argomentato ricorso che valgano a condurre a conclusioni diverse da quelle ripetutamente raggiunte da questa Corte sulla tematica rappresentata, ne' a sollecitare plausibili iniziative di rimessione, si rigetta l'impugnazione.
La importanza delle questioni proposte con la riferita ampiezza di profili inducono il Collegio a disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
Si da atto che sussistono le condizioni previste per l'applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater aggiunto dalla L. n. 228 del 2012.

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