Cass. civ., SS.UU., sentenza 22/04/2013, n. 9687
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In sede di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato per motivi attinenti alla giurisdizione, le Sezioni unite della Corte di cassazione possono rilevare l'eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, ma il loro sindacato non può estendersi al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, in rapporto a quanto denunciato dalle parti, come nel caso di pretesa ultrapetizione, che concreta un "error in procedendo". (Così statuendo la S.C., confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto inammissibile la doglianza dei ricorrenti concernente l'avvenuto annullamento, da parte del Consiglio di Stato e per effetto di un'asserita impropria applicazione dell'istituto dell'invalidità derivata, oltre che dell'impugnato decreto dichiarativo dello stato di emergenza, di altri analoghi provvedimenti mai impugnati).
In tema di sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, laddove si assuma che quest'ultimo abbia annullato un atto di alta amministrazione perché viziato da insufficienza, e non già da contraddittorietà od illogicità della motivazione, non è configurabile l'eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nel merito riservato all'autorità amministrativa, ma un mero "error in iudicando", interno alla giurisdizione di legittimità del predetto Consiglio - per la mancata osservanza della riduzione che la valutazione del vizio di motivazione subisce nell'ipotesi di atti di alta amministrazione - che sfugge, però, al suddetto sindacato della Suprema Corte in sede di controllo dei limiti esterni della giurisdizione.
L'acquiescenza alla sentenza impugnata, con conseguente sopravvenuta carenza d'interesse della parte all'impugnazione proposta, consiste nell'accettazione della decisione, e quindi nella manifestazione di volontà del soccombente di rinunciare a tale impugnazione, la quale può avvenire in forma espressa o tacita, potendo, tuttavia, in quest'ultimo caso ritenersi sussistente solo qualora l'interessato abbia posto in essere atti dai quali emerga, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. (Nella specie, la S.C., disattendendo la corrispondente eccezione, ha ritenuto che non costituisse manifestazione univoca della volontà di rinunciare alla proposta impugnazione di una sentenza del Consiglio di Stato - che aveva annullato un decreto di stato di emergenza - un comportamento meramente negativo consistito nell'omessa emanazione, ad opera delle autorità ricorrenti, di atti diretti a prolungare lo stato medesimo).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo Presidente f.f. -
Dott. L M G - Presidente di Sez. -
Dott. S G - Presidente di Sez. -
Dott. R R - Presidente di Sez. -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. C A - rel. Consigliere -
Dott. D P S - Consigliere -
Dott. N V - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4691-2012 proposto da:
PREFETTURE - UFFICI TERRITORIALI DEL GOVERNO DI ROMA, MILANO E NAPOLI, in persona dei rispettivi Prefetti pro-tempore, DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, in persona del legale rappresentante pro- tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
- ricorrenti -
contro
EUROPEAN ROMA RIGHTS CENTRE FOUNDATION, in persona del legale rappresentante pro-tempore, S HERKULES e RAMOVIC AZRA, in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sui figli minori SULEJMANOVIC MOHAREM, SULEJMANOVIC ROBERTO, SULEJMANOVIC LAURA, SULEJMANOVIC DANIELE, SULEJMANOVIC ROBERTA, S HAGIRA, SULEJMANOVIC ADRIANA, S HABIBA, SULEJMANOVIC MOOGLI, SULEJMANOVIC RAMBO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 34, presso lo studio dell'avvocato PAOLETTI NICOLÒ, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato ALESSANDRA MARI, per delega in calce al controricorso;
- controricorrenti -
contro
ROMA CAPITALE (già COMUNE DI ROMA), in persona del Sindaco pro- tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, rappresentata e difesa dall'avvocato PATRIARCA PIER LUDOVICO, per delega a margine del ricorso incidentale adesivo;
- ricorrente incidentale adesivo -
contro
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI ROMA, in persona del Presidente pro- tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119-A, presso lo studio dell'avvocato SIENI MASSIMILIANO, che la rappresenta e difende, per delega in calce alla copia notificata del ricorso;
- resistente con procura -
e contro
CROCE ROSSA ITALIANA, REGIONE CAMPANIA, REGIONE LOMBARDIA, PROVINCIA DI MILANO, REGIONE LAZIO, PROVINCIA DI NAPOLI, COMUNE DI NAPOLI, COMUNE DI MILANO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 6050/2011 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 16/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/03/2013 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;
uditi gli avvocati FEDELI dell'Avvocatura Generale dello Stato, Pier Ludovico PATRIARCA, Alessandra MARI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo, inammissibilità del secondo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con D.P.C.M. 21 maggio 2008, emesso a norma della L. 24 febbraio 1992, n. 225, art. 5, fu dichiarato lo stato di emergenza nel
territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e Campania, in relazione all'esistenza di comunità nomadi nei rispettivi territori. Con tre ordinanze presidenziali in data 30 maggio 2008 furono date disposizioni urgenti per fronteggiare la suindicata emergenza, con contestuale nomina di altrettanti commissari straordinari all'uopo delegati.
Il decreto e le ordinanze furono impugnati in sede giurisdizionale dalla European Roma Rights Centre Foundation (E) nonché dai signori H S e A R, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sui figli minori, unitamente agli atti presupposti e connessi e a quelli consequenziali. Nel frattempo lo stato di emergenza era stato prorogato per gli anni 2010 e 2011 con due D.P.C.M. 31 dicembre 2009 e 2010, non impugnati.
2. Il T.A.R. del Lazio, investito del ricorso e dei motivi aggiunti proposti avverso gli atti indicati, li accolse in parte con sentenza 1 luglio 2009, annullando le ordinanze presidenziali nella parte in cui era prevista e autorizzata l'identificazione di tutte le persone presenti nei campi nomadi, indipendentemente dall'età e dalla condizione personale, attraverso "rilievi segnaletici";
e annullando specifiche disposizioni dei regolamenti, perché contrastanti con la libertà di circolazione garantita dall'art. 16 Cost., o con il diritto al lavoro anch'esso costituzionalmente garantito. Il T.A.R. respinse, invece, le più generali censure formulate avverso il decreto dichiarativo dello stato di emergenza e avverso gli altri atti consequenziali.
Ritenne immune da vizi di legittimità la dichiarazione dello stato di emergenza, considerata la presenza di un'oggettiva situazione di pericolo, anche e soprattutto per la stessa popolazione nomade, sotto i profili igienico-sanitario, socio-ambientale e della sicurezza pubblica, derivante dagli insediamenti di comunità nomadi, in larga misura abusivi, in aree urbane ed extraurbane. Lo stato di emergenza dichiarato in Italia era conforme agli aspetti critici rilevati in sede comunitaria (risoluzione del Parlamento europeo 31 gennaio 2008, di accoglimento delle conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo 14 dicembre 2007) di rischi sociali, ambientali e sanitari, e conformi erano le finalità perseguite dallo Stato italiano per fronteggiare questi problemi. Gli interventi, inoltre, erano destinati ai campi autorizzati o agli insediamenti abusivi in cui fossero presenti comunità nomadi, indipendentemente dalla nazionalità e da ogni altra caratterizzazione individuale delle persone presenti negli insediamenti, dovendosi perciò escludere un intento di discriminazione razziale nei confronti degli appartenenti all'etnia ROM.
3. La sentenza fu gravata di appello sia dalle amministrazioni statali e