Cass. pen., sez. III, sentenza 04/05/2023, n. 18535

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 04/05/2023, n. 18535
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18535
Data del deposito : 4 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CONTANGELO VITO nato a MONTESCAGLIOSO il 19/03/1970 avverso la sentenza del 13/05/2022 della CORTE APPELLO di POTENZAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore S T Il Proc. Gen. conclude per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata udito il difensore l'avvocato N F chiede l'accoglimento del ricorso e dichiararsi la prescrizione in riferimento all'anno d'imposta 2011. DEPOSITATA IN CANCEL - 4 MAb 2023 Io

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 13 maggio 2022 la Corte di appello di Potenza, in parziale riforma di quella del Tribunale di Matera del 19 marzo 2019, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di V C per il reato ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 relativo all'anno di imposta 2010 e ha confermato nel resto la sentenza di condanna di primo grado, rideterminando la pena in dieci mesi di reclusione. V C è stato condannato per il reato ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 perché, in qualità di titolare della ditta individuale Contangelo Vito, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, omise di presentare le dichiarazioni annuali Iva e Irpef relative agli anni di imposta 2011, per un importo pari a C 200.163,00 a fini Irpef ed C 88.839,00 a fini Iva, e 2012, per un importo pari a C 137.386,00 a fini Irpef ed C 58.399,00 a fini Iva.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato.

2.1. Con l'unico motivo si deducono i vizi di violazione dell'art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 e di manifesta illogicità della motivazione sulla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: l'ammontare delle imposte evase sarebbe inferiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge. Il capo di imputazione, in cui vengono indicati gli importi delle imposte evase, sarebbe stato redatto sulla scorta degli accertamenti della Guardia di Finanza e dall'Agenzia delle Entrate di Matera, riassunti nel processo verbale di constatazione, contestati dalla difesa in primo grado ed in appello. Sul punto, la motivazione dalla sentenza sarebbe manifestamente illogica perché avrebbe desunto la natura commerciale - e non agricola - dell'impresa di cui l'imputato è titolare unicamente dagli importi delle fatture e dalla quantità di materie prime utilizzate;
la Corte di appello non avrebbe valutato che la ditta individuale del ricorrente è iscritta nella sezione della Camera di Commercio di Matera come impresa agricola che esercita l'attività di «allevamento bovini» dal 5 novembre 1996. L'attività commerciale o agricola dell'impresa avrebbe dovuto essere desunta dall'attività in concreto svolta e non dal suo giro di affari, come evidenziato anche dal consulente tecnico della difesa, sulle cui conclusioni la sentenza ometterebbe di motivare. Inoltre, non sarebbero stati acquisiti elementi idonei a provare la natura commerciale dell'impresa dell'imputato. La sentenza si limiterebbe a constatare la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi, senza tener conto che, affinché tale condotta assuma rilevanza penale, è necessario che l'importo dell'imposta evasa superi la soglia di punibilità di C 50.000;
nel caso in esame, il valore complessivo dei redditi risulterebbe essere pari ad C 3.483,81, la cui tassazione Irpef sarebbe inferiore a quanto rilevato dalla Guardia di Finanza;
l'Iva accertata dal consulente tecnico della difesa come dovuta per l'anno di imposta 2011 sarebbe pari a C 11.295,45 e per l'anno di imposta 2012 sarebbe pari ad C 14.066,39. Il ricorrente ha riportato la consulenza tecnica di parte nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

1.1. La definizione normativa del reddito agrario si rinviene nell'art. 32 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, approvazione del testo unico delle imposte sui redditi. Tale norma, al comma 1, afferma che «Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso». Il comma 2 dell'art. 32 precisa che «Sono considerate attività agricole: a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura;
b) l'allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l'utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste».
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