Cass. pen., sez. IV, sentenza 29/03/2023, n. 13064

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. IV, sentenza 29/03/2023, n. 13064
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13064
Data del deposito : 29 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PO GI nato a [...] il [...] avverso l'ordinanza del 04/10/2021 della CORTE APPELLO di CATANZAROudita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;
lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 4 ottobre 2021 la Corte d'appello di Catanzaro ha rigettato la domanda formulata da UI LL per la liquidazione dell'equa riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura cautelare della custodia in carcere subita per anni tre e mesi cinque a far data dal 19 giugno 2013. La misura era stata disposta per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. (capo 1 dell'imputazione) e per quello cui agli artt. 390 cod. pen. e 7 decreto-legge 13 maggio 1991 n. 152 convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (capo 3 dell'imputazione). All'esito del giudizio di primo grado, LL fu ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., in esso assorbito quello di procurata inosservanza di pena di cui al capo 3). In grado di appello egli fu assolto dal delitto associativo per non aver commesso il fatto e condannato ad anni quattro di reclusione per il delitto di cui all'art. 390 cod. pen. Questa condanna fu annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione con sentenza del 6 dicembre 2017 e LL fu prosciolto per non aver commesso il fatto anche dal reato di procurata inosservanza di pena. L'istanza volta ad ottenere l'equa riparazione per la custodia cautelare subita è stata ritualmente proposta in data 6 luglio 2018. 2. L'ordinanza ha ritenuto sussistente la colpa grave dell'interessato ai sensi dell'art. 314, comma 1, cod. proc. pen. osservando che la sentenza di assoluzione ha escluso che la condotta ascritta a LL, potesse integrare gli estremi del reato di cui all'art. 390 cod. pen. perché non era «funzionalmente ed oggettivamente» volta a far sì che OR AL si sottraesse all'esecuzione della pena, ma non ha escluso che quella condotta, consistita nel curare gli interessi personali di AL durante la latitanza, sia stata posta in essere. Secondo la Corte territoriale si trattò di una condotta gravemente negligente e imprudente, tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell'autorità giudiziaria.

3. Per mezzo del proprio difensore, munito di procura speciale, LL ha proposto ricorso contro l'ordinanza di rigetto lamentando erronea applicazione dell'art. 314 cod. proc. pen. e vizi di motivazione. Il difensore osserva che, annullando senza rinvio la condanna per violazione dell'art. 390 cod. pen., la Corte di cassazione ha escluso che LL abbia curato gli interessi di AL perché contiguo alla cosca cui questi era affiliato e ha affermato che tra LO e la famiglia AL vi erano esclusivamente rapporti «di tipo personale e familiare» estranei ad «affari criminali riconducibili alla consorteria mafiosa». Secondo il ricorrente, tali rapporti, risalenti nel tempo e non illeciti (come riconosciuto dal proscioglimento con formula piena) non possono essere considerati causalmente rilevanti rispetto all'applicazione della misura cautelare e al suo protrarsi e neppure gravemente colposi.

4. Nei termini di legge il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Va premesso che, per giurisprudenza consolidata, il giudizio per la riparazione dell'ingiusta detenzione è connotato da totale autonomia rispetto al giudizio penale, perché ha lo scopo di valutare se l'imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia colposamente indotto in inganno il giudice in relazione alla sussistenza dei presupposti per l'adozione di una misura cautelare. Ai fini dell'esistenza del diritto all'indennizzo, peraltro, può anche prescindersi dalla sussistenza di un "errore giudiziario", venendo in considerazione soltanto l'antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra durata della custodia ed eventuale misura della pena;
con la conseguenza che, in tanto la privazione della

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