Cass. civ., SS.UU., sentenza 05/05/2003, n. 6765

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L'avvocato che intenda impugnare con ricorso per cassazione la decisione del Consiglio nazionale forense può sottoscrivere personalmente il ricorso e partecipare alla discussione orale avanti la Corte, pur non essendo iscritto nell'apposito albo dei patrocinanti dinanzi le giurisdizioni superiori (purché, ovviamente, non sia stato sospeso, con pronuncia esecutiva, dall'esercizio della professione), in base all'art. 56, terzo comma, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, secondo cui possono proporre ricorso avverso le decisioni del Consiglio Nazionale Forense - oltre al pubblico ministero - "gli interessati", nonché agli artt. 66, terzo comma - che abilita a sottoscrivere il ricorso il "ricorrente", - e 67, terzo comma - secondo cui l'interessato è ammesso ad esporre le sue difese personalmente o per mezzo di avvocato iscritto nell'albo speciale -, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, i quali hanno carattere derogatorio rispetto al disposto dell'art. 365 cod. proc. civ.

L'art. 34 del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, prescrivendo che la domanda dell'avvocato di iscrizione nell'albo speciale di cui all'arte. 33 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sia corredata del certificato del presidente del competente Consiglio dell'ordine, avente il contenuto specificato nella norma stessa, si limita a prevedere un requisito documentale di ammissibilità della domanda, senza, pertanto, precludere al Comitato per la tenuta dell'albo speciale ed al Consiglio nazionale forense, in sede di ricorso avverso la delibera del Comitato, il potere di verificare la fondatezza del contenuto della certificazione anzidetta, dovendosi accertare se i requisiti per l'iscrizione, prescritti dalla legge, sussistano effettivamente.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 05/05/2003, n. 6765
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 6765
Data del deposito : 5 maggio 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C R - Primo Presidente f.f -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. L E - Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. N G - rel. Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P F, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELL'UNITÀ 13, presso lo studio dell'avvocato L R, rappresentato e difeso da se stesso;



- ricorrente -


contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, COMITATO PER LA TENUTA DELL'ALBO SPECIALE DEGLI AVVOCATI AMMESSI AL P;



- intimati -


avverso la decisione n. 79/02 del Consiglio nazionale forense di ROMA, depositata il 29/05/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/03 dal Consigliere Dott. G N;

udito l'Avvocato F P;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. V M che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'Avv. Franco P, iscritto all'albo speciale annesso all'albo degli Avvocati di Bari, quale dipendente della Gestione Commissarile delle Ferrovie del Sud - Est e Servizi Automobilistici, propose ricorso per Cassazione avverso la sentenza n. 79/1999, con la quale il Consiglio Nazionale Forense aveva rigettato il suo ricorso avverso la delibera negativa di iscrizione assunta nei suoi confronti in data 16 luglio 1998 dal Comitato per la tenuta dell'Albo Speciale degli Avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori. Questa Suprema Corte, con sentenza n. 1128 del 20 ottobre 2000, annullò con rinvio la decisione impugnata, avendo rilevata la nullità del procedimento svoltosi innanzi al C.N.F. per essere rimasto ad esso estraneo il suddetto Comitato.
A seguito della riassunzione del giudizio operata dall'Avv. P, con sentenza resa in data 29 maggio 2002 il C.N.F. ha rigettato il ricorso, ritenendo che non risultassero provati i requisiti richiesti per l'iscrizione del ricorrente nell'Albo dei "cassazionisti".
Premesso che in materia il compito di controllo riservato al Comitato non può limitarsi alla verifica della formale iscrizione dell'istante nell'Albo di un Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, dovendosi necessariamente estendere alla sussistenza effettiva dei requisiti di legge, il C.N.F. ha ritenuto decisiva, per considerare legittimo il provvedimento negativo adottato dal Comitato, la circostanza che la Gestione Commissionale delle Ferrovie del Sud - Est e Servizi Automobilistici fosse per legge rappresentata e difesa in giudizio dell'Avvocatura dello Stato.
All'uopo - ha precisato il C.N.F. - è necessario che l'ente da cui l'interessato dipende abbia istituito un apposito, autonomo ufficio legale, cui attribuire la trattazione delle cause e degli affari legali dell'ente e a tale ufficio l'interessato sia addetto, occupandosi, in via esclusiva, delle cause e degli affari legali dell'ente;
il che non era dato riscontrare nel caso in esame. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l'Avv. P, affidandosi a cinque motivi.
Gli intimati, Procuratore Generale presso questa Corte e Comitato per la tenuta dell'Albo Speciale degli Avvocati ammessi al patrocinio dinanzi a questa Corte ed alle altre giurisdizioni superiori, non hanno svolto attività difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va risolta la questione, postasi in limine litis, della possibilità che l'Avv. P, pur non iscritto all'Albo dei patrocinanti innanzi alle magistrature superiori, discutesse personalmente la causa.
La questione si estende all'ammissibilità stessa del ricorso, sottoscritto personalmente dal ricorrente.
Ritiene la Corte di dover dare risposta positiva all'interrogativo, condividendo il pressocché consolidato orientamento giurisprudenziale, facente capo a Cass. SS. UU., n. 9913/1990, secondo cui l'avvocato, che intenda impugnare in Cassazione la decisione del Consiglio Nazionale Forense, può sottoscrivere personalmente il ricorso e partecipare alla discussione orale avanti la corte, pur non essendo iscritto nell'albo dei patrocinanti dinanzi le giurisdizioni superiori (attestano la continuità dell'indirizzo: Cass., SS.UU., n. 5092/1993;
Cass., SS.UU., n. 11227/1994;
Cass. SS.UU., n. 557/1998). Il fondamento normativo di tale principio si rinviene: nell'art. 56, 3^ co., della c.d. legge professionale (r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578), secondo cui possono proporre ricorso avverso le decisioni del
Consiglio Nazionale Forense, oltre al pubblico ministero, "gli interessati";
nelle relative norme integrative ed attuative (r.d. 22 gennaio 1934, n. 37) che, all'art. 66, co. 3^, abilitano a
sottoscrivere il ricorso il "ricorrente" (o un procuratore munito di mandato speciale), mentre, ai sensi dell'art. 365 cod. proc. civ., il ricorso può essere sottoscritto solo da un avvocato iscritto nell'apposito albo;
nell'art. 67, co. 3^, delle stesse norme, secondo cui l'interessato è ammesso ad esporre le sue difese personalmente o per mezzo di avvocato iscritto nell'albo speciale munito di mandato speciale.
Come osservato da Cass., SS. UU., n. 9913/1990, il carattere speciale e derogatorio della disposizione di cui al 3^ comma dell'art. 66 citato è confermato dalla norma di chiusura posta dal 5^ comma dello stesso articolo, secondo cui "si osservano, per il rimanente, le disposizioni, in quanto applicabili, del procedimento davanti alla Corte di Cassazione in materia civile.
Ovviamente, il principio che qui si riafferma trova limite solo nel caso di avvocato sospeso, con pronuncia esecutiva, dall'esercizio della professione, in tal caso difettando il requisito indispensabile dello jus postulandi. Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. nonché con per annessa motivazione, adducendo che il C.N.F., abdicando alla sua funzione di giudice e violando anche norme di rango costituzionale, ha omesso di pronunciarsi sull'intero contenuto del ricorso in riassunzione proposto in data 29 luglio 1998, integrato dalla memoria del 16 novembre 1998. La censura è inammissibile, in primo luogo, perché, pur essendo fondata sulla violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., che presuppone l'omesso esame di una domanda o parte di essa ovvero di un'eccezione, non chiarisce se l'omissione che ascrive alla decisione impugnata si sostanzi propriamente nell'omissione ipotizzata dall'art. 112 cod. proc. civ. oppure nell'omesso esame di circostanze di fatto o di questioni giuridiche.
In secondo luogo, il motivo, così come prospettato, viola il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, poiché si limita a riportarsi per relationem a non specificate difese svolte nella fase di rinvio.
Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 39 r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, osservando che, poiché egli aveva allegato alla richiesta di iscrizione l'attestato in data 25 marzo 1998 rilasciato dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari, dal quale risultava l'esercizio, da parte sua, della professione forense per la durata richiesta dalla legge, doveva ritenersi soddisfatto il precetto della citata norma, che prescrive la produzione della certificazione del C.O.A., attestante l'attualità dell'iscrizione nell'albo degli avvocati, l'anzianità dell'iscrizione e l'effettivo esercizio della professione per il periodo prescritto.
Al più - precisa il ricorrente - il C.N.F., ove fossero residuati dubbi, avrebbe potuto richiedere chiarimenti al C.O. A. competente o disporre accertamenti o acquisire prova documentale. La censura è infondata.
La norma, di cui il ricorrente assume la violazione, prescrivendo che la domanda di iscrizione nell'albo speciale di cui all'art. 33 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 sia corredata del certificato del
presidente del competente consiglio dell'ordine, avente il contenuto specificato nella norma stessa, si limita a prevedere un requisito documentale di ammissibilità della domanda di iscrizione, senza, pertanto, precludere al Comitato per la tenuta dell'Albo Speciale ed al C.N.F. in sede di ricorso avverso la delibera del Comitato il potere di verificare la fondatezza del contenuto stesso della certificazione rilasciata dal presidente del C.O.A., dovendosi, come si afferma correttamente nella decisione impugnata, accertare se i requisiti richiesti per l'iscrizione dalla legge sull'ordinamento professionale sussistano effettivamente.
D'altro canto, in difetto di una specifica previsione normativa, all'attestato rilasciato dal Consiglio dell'Ordine non può attribuirsi la fede privilegiata propria dell'atto pubblico, trattandosi di una certificazione (cfr. Cass., n. 5575/1978). Col terzo motivo il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 63 r.d. n. 37/1934 nonché di omessa motivazione, rilevando che, se il C.N.F. si fosse avvalso della facoltà, prevista dalla citata norma, di disporre, anche d'ufficio, "tutte le ulteriori indagini ritenute necessarie per l'accertamento dei fatti", non solo avrebbe evitata la necessità di giudicare per "ipotesi", ma avrebbe avuta la possibilità di accertare che presso la Gestione Commissariale Governativa per le Ferrovie del Sud - Est e Servizi Automobilistici esisteva un ufficio legale autonomo, destinato alla trattazione delle cause e degli affari dell'ente e che egli era adibito a tale ufficio, occupandosi, in via esclusiva, delle cause e degli affari legali dell'ente e trattando, in tal modo, centinaia di controversie civili e. penali.
Rimarca il ricorrente che, in caso di dubbio, la facoltà prevista dall'art. 63 r.d. n. 37/1934 si converte in dovere. La censura è inammissibile, poiché il mancato esercizio di una facoltà, qual è indubbiamente quella prevista dalla norma richiamata dal ricorrente, costituendo frutto di una scelta discrezionale del giudice cui è affidato il potere di scelta, non è sindacabile in sede di legittimità.
Nè a tale conclusione si potrebbe sfuggire ipotizzando in caso di incerta risultanze processuali, la conversione della facoltà in dovere, poiché la natura di un potere processuale così nettamente definito dalla legge non può essere condizionato alle alterne vicende del procedimento ed alla valutazione delle risultanze processuali, senza trascurare il rilievo che la motivazione resa dal C.N.F., soprattutto nella parte che sottolinea l'affidamento istituzionale all'Avvocatura dello Stato del compito di rappresentare e difendere in giudizio l'Ente da cui dipende l'Avv. P, non lasciai trasparire dubbi.
Col quarto motivo, lamentando violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché omessa motivazione, il ricorrente adduce che,
dovendo porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, il C.N.F. aveva a disposizione la prova certa del possesso, da parte di esso ricorrente, dei requisiti di legge, essendo stata prodotta la certificazione resa dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari.
Peraltro, nessuna prova contraria era stata addotta dal Comitato o dal C.N.F., pur disponendo dell'ampia facoltà d'indagine loro concessa dall'art. 63 r.d. n. 37/1934. La censura non può essere condivisa per le stesse ragioni esposte nel corso dell'esame dei motivi secondo e terzo, che, da un canto, dimostrano l'insufficienza probatoria della certificazione rilasciata dal Presidente del C.O.A., dall'altro evidenziano l'insindacabilità dell'esercizio della facoltà d'indagine prevista dall'art. 63 r.d. n. 37/1934. Il rigetto e/o l'inammissibilità delle censure relative al giudizio dato dal C.N.F. sulla legittimità e fondatezza della deliberazione del Comitato assorbono la censura che col quinto motivo si svolge in ordine ai danni che da quella deliberazione sarebbero derivati al ricorrente.
Conclusivamente, il ricorso va respinto, senza, tuttavia, alcun provvedimento sulle spese del giudizio di legittimità, poiché gli intimati non hanno svolto attività difensive.

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