Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 24/07/2020, n. 15926

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 24/07/2020, n. 15926
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15926
Data del deposito : 24 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente ORDINANZA sul ricorso 16878-2016 proposto da: POSTEL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAllINI 134, presso lo studio dell'avvocato F L, rappresentata e difesa dallavvocato FRANCESCA B FATE;

- ricorrente -

contro 2019 B V, elettivamente domiciliata in ROMA, 2668 VIA TARO, 25, presso lo studio dell'avvocato E I, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato L M;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 4158/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 07/07/2015 r.g.n. 4158/2015. ) ad.za 10.09.19 / r.d. n. 16878-16 LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore, RTO che la Corte d'Appello di Roma con sentenza n. 4158 del 12 maggio / sette luglio 2015, in parziale riforma della gravata pronuncia -che aveva dichiarato l'esistenza tra l'attrice B V e la convenuta POSTEL S.p.a. di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, a decorrere dal 16 dicembre 2002, data del primo contratto di lavoro temporaneo, con la condanna della società al risarcimento del danno, a far luogo dalla messa in mora risalente al 27 gennaio 2009 - in luogo di tale risarcimento liquidava il solo indennizzo di cui all'art. 32 L. n. 183/2010, in ragione di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge dalla stessa sentenza, ordinando altresì il ripristino della funzionalità del rapporto, spese di lite per entrambi i gradi di giudizio compensate;
secondo la Corte capitolina, escluso il dedotto vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c. in quanto dal ricorso introduttivo del giudizio l'impugnazione di parte attrice risultava estesa ai contratti di fornitura intervenuti tra POSTEL e ALI S.p.a., correttamente era stato applicato il principio di diritto secondo il quale in caso di violazione degli artt. 1, commi da 2 a 5, della L. n. 196/1997, pur non operando l'art. 10, co. 2, della stessa, risultava comunque applicabile la legge n. 1369/1960, non abrogata, sicché ben poteva essere accertata la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra POSTEL e la BRUNO dalla data di stipula del primo contratto di lavoro temporaneo, in seguito al quale risultava poi irrilevante il successivo accordo del 26 novembre 2003, peraltro posteriore a tutti i rapporti di lavoro de quibus intercorsi tra il 16 dicembre 2002 ed il 28 giugno 2003, mentre il precedente accordo del 10 aprile 2002 era stato prodotto dall'appellante soltanto nella prima pagina del suo testo, dove per di più si richiamava "quanto previsto dall'accordo siglato in data 30.5.2000", accordo questo tuttavia non prodotto da nessuna delle parti. Pertanto, la società appellante, secondo la Corte capitolina, non aveva adempiuto al proprio onere di allegazione e prova circa le causali giustificative del ricorso al lavoro temporaneo, non avendo depositato la fonte contrattuale collettiva invocata. Per il resto, il gravame veniva accolto per quanto di ragione in base allo jus superveniens di cui all'art. 32 della L. n. 183/2010;
avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione POSTEL S.p.a., come da atto in data 30 giugno - primo luglio 2016 (in cui risulta riprodotta anche la copia del suddetto verbale di accordo sindacale 10 aprile 2002), affidato a quattro motivi, cui ha resistito la sig.ra Valentina BRUNO mediante controricorso notificato a mezzo posta elettronica certificata in data 8 agosto 2016 (in seguito depositato ed iscritto in data 24 ad.za 10.09.19 / r.q. n. 16878-16 agosto 2016). Da ultimo, in data primo luglio 2019, la società ricorrente ha depositato «/° e 20 grado dei fascicoli dei precedenti gradi» (v. in effetti la produzione sub n. 4 dell'indice in calce al ricorso per cassazione, pag. 14, «fascicoli dei pregressi gradi del giudizio»). CONSIDERATO che con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 5, e dell'art. 3, co. 3 lett. a, della L. n. 196/1997, risultando in particolare errata la motivazione offerta dalla Corte d'Appello, in quanto a norma dell'art. 1, co. 5, il contratto di fornitura di lavoro temporaneo intervenuto tra le due società doveva avere forma scritta e contenere una serie di informazioni, non essendo richiesta anche l'indicazione dei motivi di ricorso alle assunzioni di lavoratori temporanei, da esplicitarsi invece nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, nella specie stipulato dalla BRUNO con la società ALI;
con il secondo motivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. è stato denunciato l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con particolare riguardo all'accordo sindacale del 10 aprile 2002, richiamato dalla Corte d'Appello e depositato in primo grado, laddove le parti avevano convenuto di prorogare l'utilizzo del lavoro interinale fino al primo luglio 2003 e di estenderlo anche al Centro Servizi per la videocodifica di Palermo, confermando altresì, relativamente alle modalità di utilizzo del lavoro interinale in POSTEL quanto previsto dall'accordo del 30 maggio 2000. Secondo la ricorrente, quindi, la Corte distrettuale aveva omesso di esaminare uno specifico fatto storico oggetto dell'anzidetto accordo 30 maggio 2000, e cioè l'utilizzo di personale temporaneo presso il centro di video-codifica palermitano sino al primo luglio 2003, come avvenuto nel caso della sig.ra BRUNO, assegnata alla suddetta unità produttiva tra il 16 dicembre 2002 ed il 28 giugno 2003, omettendo così di esaminare la parte centrale dell'accordo e ritenendo quindi non adempiuto da parte della società l'onere di allegazione e prova, nei sensi per giunta già indicati alle pagine 2 e 3 della memoria difensiva di primo grado, nonché ribaditi alle pagine 2 e 3 dell'atto d'appello, laddove inoltre era stato richiamato pure lo specifico ad.za 10.09.19 / r.g. n. 16878-16 verbale di accordo del 21 marzo 2007 con il quale le parti avevano convenuto di ritenere superata la fase di sperimentazione in cui, per far fronte all'eccezionale carico di lavoro che aveva caratterizzato il periodo dicembre 2003 / giugno 2006, si era reso necessario il ricorso per tutto il periodo al lavoro somministrato. Dunque, la Corte territoriale era incorsa in un vizio motivazionale così radicale da comportare, in relazione alle previsioni di cui all'art. 132 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione;
con il terzo motivo, poi, è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt.115 e 116 c.p.c. nonché 2697 c.c. per la parte in cui l'impugnata sentenza aveva ritenuto non adempito l'onere di allegazione e prova da parte di essa POSTEL, in quanto, se da un lato vi era stato omesso esame del contenuto centrale dell'accordo 10-04- 2002, dall'altro si era ritenuto che la mancata produzione in giudizio dell'accordo in data 30-05-2000 avesse inciso sull'onere probatorio incombente sulla convenuta, mentre in realtà i giudici aditi, cui era devoluto il compito di accertare la sussistenza delle ragioni poste a sostegno delle assunzioni di lavoro temporaneo, avevano omesso - sottovalutando l'importanza di approfondire i fatti dedotti ed interpretando erroneamente il principio generale di ammissibilità delle prove - di ricercare e quindi eventualmente di acquisire una prova ulteriore, pure di ufficio a norma degli artt. 421 e 437 c.p.c., del cui esercizio o mancato esercizio il giudice deve dar conto con adeguata motivazione, all'uopo richiamando precedenti giurisprudenziali. Pertanto, secondo la ricorrente, era evidente che l'erronea valutazione della documentazione allegata alla memoria aveva determinato la decisione impugnata;
con il quarto motivo, poi, formulato ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 253, 420 e 421 c.p.c., perché, trattandosi dell'eventuale integrazione del quadro probatorio tempestivamente delineato, anche attraverso l'uso dell'ampio potere istruttorio esercitabile dal giudice del lavoro, la Corte territoriale non si era minimamente peritata né di esaminare, né conseguentemente di motivare in ordine ai capitoli di prova articolati da essa società;ad.za 10.09.19 / r.a. n. 16878-16 tanto premesso, le anzidette doglianze vanno disattese in forza delle seguenti ragioni;
invero, quanto al primo motivo, la censura non è articolata in modo autosufficiente, poiché non riporta esaurienti indicazioni, idonee ai sensi dell'art. 366 n. 6 c.p.c., dell'atto introduttivo del giudizio e del successivo ricorso d'appello. La doglianza, inoltre, appare inconferente, siccome non pertinente alla ratio decidendi della pronuncia impugnata, che ha fatto riferimento alla lamentata mancanza delle esigenze e non tanto alla loro mancata indicazione, poiché l'attrice con il ricorso introduttivo del giudizio si era doluta della inesistenza delle esigenze sottese al contratto, con conseguente violazione dell'art. 1, comma 2, della L. n. 196/97, laddove con il primo motivo d'appello POSTEL aveva dedotto la violazione dell'art. 112 c.p.c. per aver il primo giudicante pronunciato su di una causa petendi diversa da quella enunciata a sostegno della iniziale domanda. Inoltre, la Corte d'Appello evidenziava come l'attrice avesse lamentato che le ipotesi tassative di possibile ricorso a lavoro temporaneo non fossero giammai state richiamate dalle società resistenti nei contratti tra loro intercorsi, sicché il vizio denunciato si estendeva evidentemente ai contratti di fornitura, tali essendo soltanto quelli conclusi tra le società, cui si riferiva l'atto d'appello. Non risulta, pertanto, debitamente e compiutamente confutata la complessa e articolata argomentazione (derivante dal collegamento tra le sentenze di primo e secondo grado), in base alla quale, conformemente, in effetti gli aditi giudici di merito hanno ritenuto che l'assoluta genericità della causale del primo contratto di fornitura comportava l'onere probatorio a carico dell'impresa utilizzatrice dei motivi tali da poter consentire il ricorso al lavoro temporaneo, onere quindi rimasto insoddisfatto (Cass. lav. n. 5232 del 9/4/2001, secondo cui, in particolare, dall'art. 10, comma primo, della legge n. 196 del 1997 si desume che la legge stessa - e, in particolare gli artt.1 - 11 di essa in materia di lavoro interinale - non hanno abolito il divieto di interposizione fittizia di manodopera previsto dalla legge n. 1369 del 1960. L'espressa previsione -"continua a trovare applicazione la legge 23 ottobre 1960, n. 1369"- altro non significa, infatti, se non che il suddetto ad.za 10.09.19 / r.q. n. 16878-16 divieto continua a trovare applicazione nei confronti dell'impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli cui all'art. 2 della stessa legge n. 196 del 1997 ovvero che violi le disposizioni di cui al precedente art.1, commi secondo, terzo, quarto e quinto, che stabiliscono i casi in cui è consentita o vietata la fornitura di lavoro temporaneo e dettano la disciplina rispettivamente applicabile al contratto di fornitura di lavoro temporaneo - intercorrente tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice - e al contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, intercorrente fra l'impresa fornitrice e il lavoratore. Conforme Cass. lav. n. 17982 del 16/12/2002. Cfr. inoltre Cass. lav. n. 13960 del 24/06/2011, secondo cui in materia di rapporto di lavoro interinale, la mancanza o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l'impresa fornitrice ed il singolo lavoratore, dei casi in cui è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell'impresa utilizzatrice, spezza l'unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell'offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore e far venir meno quella presunzione di legittimità del contratto interinale, che il legislatore fa discendere dall'indicazione nel contratto di fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere concluso. Pertanto, trova applicazione il disposto di cui all'art.10 della legge 24 giugno 1997, n.196 e dunque quanto previsto dall'art.1 della legge 23 ottobre 1960, n.1369, per cui il contratto di lavoro col fornitore "interposto" si considera a tutti gli effetti instaurato con l'utilizzatore "interponente". Parimenti, secondo Cass. lav. n. 232 del 12/01/2012, in materia di rapporto di lavoro interinale, la mancanza o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l'impresa fornitrice e il singolo lavoratore, dei casi in cui - e dunque delle esigenze per le quali - è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell'impresa utilizzatrice, ovvero l'insussistenza in concreto delle suddette ipotesi, spezza l'unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la ad.za 10.09.19 i r.g. n. 16878-16 flessibilità dell'offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti del lavoratore, e fa venir meno la presunzione di legittimità del contratto interinale stesso. Ne consegue che, per escludere che il contratto di lavoro con il fornitore interposto si consideri instaurato con l'utilizzatore interponente a tempo indeterminato, non è sufficiente arrestarsi alla verifica del dato formale del rispetto della contrattazione collettiva quanto al numero delle proroghe consentite, senza verificare l'effettiva persistenza delle esigenze di carattere temporaneo, in modo tanto più penetrante quanto più durevole e ripetuto sia il ricorso a tale fattispecie contrattuale. V. inoltre Cass. lav. n. 21837 del 5/12/2012: la violazione delle disposizioni della legge n. 196 del 1997, ed in particolare dell'art. 1, comma 2, lett. a), comporta la sostituzione della parte datoriale e, salvo che non ricorrono specifiche ragioni che consentano l'apposizione di un termine, l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'utilizzatore interponente, senza che assuma rilievo che al rapporto con l'interposto fosse a termine, atteso che la medesima sanzione è prevista per la meno grave violazione dell'obbligo di stipulare il contratto con forma scritta e che, sul piano sistematico, una diversa conclusione, porterebbe alla inammissibile situazione per cui la violazione del divieto di interposizione di manodopera consentirebbe all'interponente di beneficiare di una prestazione a termine altrimenti preclusa. Cass. lav. n. 7702 del 28/03/2018: in materia di rapporto di lavoro interinale, tanto ai sensi della I. n. 196 del 1997 quanto del d.lgs. n. 276 del 2003, anche in assenza di un espresso divieto di reiterazione dei contratti di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo conclusi con lo stesso lavoratore avviato presso la medesima impresa, e sempre possibile una valutazione della relativa vicenda nei termini di cui all'art. 1344 c.c., quando essa costituisca il mezzo per eludere la regola della temporaneità dell'occasione di lavoro che connota tale disciplina;
tale finalità fraudolenta può essere desunta anche dalla reiterazione di assunzioni per un prolungato periodo di tempo, indipendentemente dal rispetto, per ciascuno dei singoli contratti, delle indicazioni ad.za 10.09.19 / r.d. n. 16878-16 relative alla sussistenza di esigenze tecniche, produttive e organizzative. In senso conforme Cass. n. 23684 del 2010. Cfr. ancora Cass. lav. n. 1148 del 17/01/2013, secondo cui l'art. 1, secondo comma, della legge n. 196 del 1997 consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate dalla norma, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa;
ne consegue che, ove la clausola sia indicata in termini generici, inidonei ad essere ricondotti ad una delle causali previste dal legislatore, il contratto è illegittimo, e, in applicazione del disposto di cui all'art. 10 della legge n. 196 del 1997, il rapporto si considera a tutti gli effetti instaurato con l'utilizzatore interponente. Conformi Cass. VI civ. - L n. 10486 del 27/04/2017 e IV civ. lav. n. 6869 - 8/3/2019);
il secondo motivo di ricorso, poi, non integra il vizio di cui al vigente art. 360 n. 5 c.p.c., nella specie ratione temporis applicabile, poiché da un lato difetta il requisito della decisività in punto di diritto, alla luce dei principi operanti in materia secondo la succitata giurisprudenza di questa S.C., mentre, d'altro canto, il fatto storico, ossia in particolare l'accordo sindacale 10-04-2002, risulta comunque oggettivamente esaminato dalla Corte capitolina, laddove ciò che si contesta da parte ricorrente è l'errata o manchevole lettura di tale documento da parte dei giudici di merito, che non ne avrebbero compreso la più ampia e completa portata, nel senso che le parti collettive avevano convenuto di prorogare l'utilizzo del lavoro interinale fino al primo luglio 2003 e di estenderlo anche al Centro Servizi di Videocodifica di Palermo, cui era stata assegnata in servizio la lavoratrice. Di conseguenza, o si tratta di una errata interpretazione dell'accordo, con conseguente possibile vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c. (però così non denunciato nella specie), ovvero è ipotizzabile soltanto un errore revocatorio dovuto ad una viziata percezione di quanto ivi scritto, perciò rilevante ad.za 10.09.19 / r.g. n. 16878-16 esclusivamente ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., non sussumibile quindi nell'ambito del vizio denunciato ex art. 360 n.
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