Cass. civ., sez. VI, ordinanza 18/05/2021, n. 13386

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. VI, ordinanza 18/05/2021, n. 13386
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13386
Data del deposito : 18 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente ORDINANZA sul ricorso 31175-2019 proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. 063663391001), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis ;

- ricorrente -

contro

PARADISE SAS DI ZANONI ALESSANDRA & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA NIZZA

59, presso lo studio dell'avvocato A A, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato R P;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 544/5/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell'EMILIA ROMAGNA, depositata il 18/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. L DLLI PRISCOLI.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che: la parte contribuente proponeva ricorso avverso avvisi di accertamento per IVA relativo al periodo di imposta 2009 e 2010;
la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente;
la Commissione Tributaria Regionale rigettava l'appello dell'Agenzia delle entrate affermando che «l'appello non merita di essere accolto atteso che, come provato dalla sentenza di assoluzione in ordine all'emissione di fatture ritenute inesístenti sotto l'aspetto soggettivo ed oggettivo, la società Paradise non ha emesso fatture per prestazioni inesistenti atteso che la Planet Forest s.a.s. ha effettivamente posto in essere i lavori documentati»;
l'Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un motivo di impugnazione mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso e in prossimità dell'udienza depositava memoria insistendo per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che: con il motivo d'impugnazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, l'Agenzia delle entrate denuncia Ric. 2019 n. 31175 sez. MT - ud. 10-03-2021 -2- violazione e falsa applicazione degli artt. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, 19 e 21, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché 2697, 2727, 2729 c.c. in quanto la sentenza di assoluzione in sede penale non ha valenza dirimente ai fini della illegittimità degli avvisi di accertamento;

ritenuto che

il motivo è fondato in quanto, secondo questa Corte: nel processo tributario, l'efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992) e, dall'altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l'evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio (nella specie, la Cassazione ha ritenuto corretto l'operato del giudice tributario che, nonostante il giudicato penale di assoluzione, ha dato conto che nell'accertamento della indeducibilità dei costi afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, opposti elementi indiziari Ric. 2019 n. 31175 sez. MT - ud. 10-03-2021 -3- permettevano altresì di negare la stessa esistenza oggettiva di tali operazioni, come le risultanze del processo verbale di constatazione, le informative attestanti la non operatività della società straniera destinataria degli esborsi, l'irregolare tenuta della contabilità della contribuente, l'assenza di contratti scritti per prestazioni professionali di terzi e la non autenticità delle relative sottoscrizioni apposte su documenti: Cass. n. 19786 del 2011);
in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall'art. 7, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. n. 8129 del 2012;
Cass. n. 16262 del 2017);
in caso di operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell'inserimento dell'operazione in un'evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell'esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze Ric. 2019 n. 31175 sez. MT - ud. 10-03-2021 -4- sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l'autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione (Cass. n. 27814 del 2020);
in tema di imposte sui redditi, la disposizione di cui all'art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. dalla I. n. 44 del 2012, secondo cui non sono ammessi in deduzione costi e spese di beni o prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, è invocabile soltanto in caso di operazioni soggettivamente inesistenti e non anche in caso di operazioni oggettivamente inesistenti (Cass. n. 33195 del 2019);
in tema di imposte sui redditi, giusta l'art. 14, comma 4- bis, della I. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 44 del 2012, l'acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti anche nell'ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti (così statuendo, la Cassazione ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva affermato la deducibilità dei costi di frodi carosello, caratterizzate da una catena di passaggi, con fatturazioni per operazioni sia soggettivamente che oggettivamente inesistenti: Cass. n. 25249 del 2016);
in tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, allorché contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione VIVA, Ric. 2019 n. 31175 sez. MT - ud. 10-03-2021 -5- assumendo l'esistenza di una fatturazione relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l'onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva, o avrebbe dovuto sapere, secondo l'ordinaria diligenza, di partecipare ad una operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti. Ne consegue che, nel caso di cosiddetta "frode carosello", l'Amministrazione finanziaria, che intenda negare il diritto alla detrazione dell'IVA assolta in rivalsa, deve provare sia la frode del cedente, sia la connivenza del cessionario, quest'ultima anche per presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti), che possono derivare dalle stesse risultanze di fatto attinenti al ruolo di "cartiera" del cedente, incombendo sul contribuente, a fronte di siffatte dimostrazioni, la prova contraria (Cass. n. 25778 del 2014);
ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove per un verso ha attribuito rilievo decisivo alla sussistenza di una sentenza di assoluzione in sede penale (quando invece può valere al più come elemento da valutare unitamente ad altri indizi), per un altro verso non ha dato adeguatamente conto della situazione di fatto sottoposta al suo giudizio, in particolare senza distinguere se si trattasse di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti (in quanto cambiano a seconda dell'uno o dell'altro caso gli oneri probatori in capo all'una o all'altra parte), e per un altro verso ancora non ha spiegato perché la circostanza che i lavori siano stati effettivamente svolti escluderebbe l'ipotesi di una fatturazione inesistente, dal momento che, come sembrerebbe aver ipotizzato il Fisco, i lavori ben Ric. 2019 n. 31175 sez. MT - ud. 10-03-2021 -6- potrebbero essere stati effettuati da soggetti terzi rispetto alla parte contribuente che ha emesso le fatture. Ritenuto pertanto che il motivo di impugnazione dell'Agenzia delle entrate è fondato e che dunque il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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