Cass. civ., sez. I, sentenza 14/11/2003, n. 17196

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In tema di occupazione d'urgenza e di espropriazione per pubblica utilità, il principio secondo il quale la vigenza di una norma preclusiva dell'esercizio di un diritto viziata di incostituzionalità configura un mero ostacolo di fatto all'esercizio del diritto, in quanto è ovviabile mediante l'esercizio dell'azione in giudizio che porti alla dichiarazione dell'incostituzionalità della norma, non è applicabile nel caso in cui manchino i parametri normativi alla cui introduzione le parti abbiano espressamente fatto rinvio per l'esatta identificazione dei contenuti del diritto; pertanto, qualora il soggetto espropriato abbia accettato - successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 1980 ed anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 385 del 1980 - l'indennità provvisoria di espropriazione a titolo di acconto dell'indennità definitiva, con la previsione che quest'ultima avrebbe dovuto essere quantificata in applicazione della legge da emanare a seguito di quest'ultima sentenza, siffatto diritto era inesigibile sino a quando, in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1983, sono state dichiarate illegittime le norme della legge n. 385 del 1980 (e di quelle successive, di proroga) e l'espropriato è stato posto in condizione di agire per ottenere il giusto prezzo ex art. 39, legge n. 2359 del 1865. (In applicazione di siffatto principio di diritto, la S.C. ha affermato che nella fattispecie la prescrizione del diritto all'indennità andava computata dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale da ultimo richiamata, non già dalla data del decreto di esproprio).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 14/11/2003, n. 17196
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17196
Data del deposito : 14 novembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G A - Presidente -
Dott. C G - Consigliere -
Dott. P U R - rel. Consigliere -
Dott. A M - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T M, nella qualità di Commissario Ente Morale opere pie riunite elettivamente domiciliato in ROMA VIALE T.

LABIENO

70, presso l'avvocato N, rappresentato e difeso dall'avvocato P M, giusta mandato in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
C D T, in persona del Sindaco "pro tempore" elettivamente domiciliato in

ROMA VIA BARONIO

54/A, rappresentato e difeso dall'avvocato R B, giusta mandato a margine del controricorso;



- controricorrente -


avverso la sent. n. 226/00 della Sezione distaccata di Corte d'Appello di TARANTO, depositata il 6 settembre 2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 giugno 2003 dal Consigliere Dott. U R P;

udito per il resistente l'Avvocato B che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. U D A che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del primo motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 18 marzo 1992 l'Ente Morale Opere Pie Riunite Monte dei Poveri e Conservatorio delle Verginelle, con sede in Taranto, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Taranto il Comune delle stessa città, chiedendo il pagamento delle indennità di occupazione e di espropriazione relative a mq.

7.000 di suolo edificatorio facente parte del terreno di sua proprietà, distinto in Catasto alla partita 15.653, F. 256, p.lle 83 ed 85, che era stato occupato in via d'urgenza con ordinanza sindacale del 4 luglio 1978 ed espropriato con decreto sindacale del 6 gennaio 1980. Precisava al riguardo che l'indennità provvisoria, accettata come acconto sulle somme dovute a titolo di indennità definitiva in virtù della legge da emanare a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980, era stata determinata dal sindaco e non dal presidente della Giunta Regionale e che l'indennità di occupazione e quella definitiva non erano state quantificate dalla competente Commissione provinciale.
Si costituiva il Comune di Taranto che eccepiva preliminarmente l'incompetenza funzionale del Tribunale in quanto tale competenza spettava, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 865 del 1971 alla Corte d'Appello, quale giudice in unico grado di merito. Dichiarata con sentenza da parte del Tribunale la propria incompetenza e respinto da questa Corte il regolamento di competenza proposto dall'Ente Morale, la causa veniva riassunta dallo stesso Ente avanti alla Corte d'Appello di Lecce la quale all'esito del giudizio, in cui il Comune eccepiva la prescrizione, con sentenza del 9 giugno - 6 settembre 2000 rigettava per intervenuta prescrizione la domanda, dichiarando interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.
Riteneva al riguardo la Corte di merito, in adesione al prevalente e recente orientamento della giurisprudenza, che il termine di prescrizione ordinario di dieci anni decorreva dalla data di notifica del decreto di esproprio (12 gennaio 1980) per quanto riguarda l'indennità di esproprio e dal 4 luglio 1979 e dal 3 gennaio 1980 per quanto concerne l'indennità di occupazione riferita rispettivamente al primo ed al secondo anno di occupazione, non potendo costituire la pregressa vigenza di una disposizione di legge di natura preclusiva od ostativa all'esercizio del diritto, successivamente dichiarata incostituzionale, un impedimento giuridico ma dovendosi ritenere un mero ostacolo di fatto, ovviabile attraverso la proposizione della questione di costituzionalità (così Cass. 7878/98). Disattendeva, infine, la tesi dell'Ente il quale, facendo riferimento alla sent. n. 11293/99, aveva affermato che il sistema dell'indennizzo salvo conguaglio previsto dalla legge n. 385 del 1980 era stato automaticamente sostituito dall'art. 39 della legge n. 2359 del 1865 solo dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte
Costituzionale n. 223 del 1983
, con la conseguenza che solo da tale data era stato in grado di richiedere il giusto prezzo. Sottolineava sul punto la diversità delle situazioni sia perché il provvedimento ablativo era anteriore all'entrata in vigore della legge 29 luglio 1980, n. 385 pubblicata nella G.U. il 1^ agosto 1980, e sia perché
l'Ente si era limitata ad accettare l'indennità provvisoria a titolo di acconto sulla indennità definitiva che è (cosa ben diversa dall'indennizzo salvo conguaglio, trattandosi nel primo caso di azionabilità di un diritto già riconosciuto dall'ordinamento e nel secondo di individuazione del momento di insorgenza del diritto e della determinazione del suo contenuto.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l'Ente Morale opere Pie Riunite, deducendo tre motivi di censura illustrati anche con memoria.
Resiste con controricorso il Comune di Taranto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l'Ente Morale Opere Pie Riunite denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1326 c.c., dei principi relativi all'efficacia degli atti amministrativi sottoposti a controllo nonché omessa motivazione. Sostiene che erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto che, poiché alla data della delibera n. 27 del Consiglio di Amministrazione dell'Ente (8 luglio 1990) con cui si sarebbe concluso l'accordo fra le parti, non era ancora in vigore la legge 29 luglio 1980, n. 385, tale accordo conteneva una semplice accettazione dell'indennità provvisoria e non già l'accettazione dell'indennizzo salvo conguaglio, secondo il sistema previsto dall'art. 1 della legge n. 385 del 1980. Osserva che tale delibera, a parte il fatto che è divenuta efficace solo il 25 agosto 1980 con la presa d'atto da parte del CO.RE.CO., costituisce un mero atto interno di autorizzazione alla stipula dell'atto negoziale e che l'accordo deve ritenersi quindi raggiunto solo allorché l'Ente ebbe a ricevere notizia dell'accettazione della sua proposta, vale a dire in data 22 settembre 1980.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg. nonché omessa ed insufficiente motivazione. Sostiene che dal confronto tra la delibera n. 27/80 e l'art. 1, commi 1 e 2, della legge n. 385 del 1980 emerge chiaramente che la comune intenzione delle parti era quella di ritenere l'indennità offerta dal Comune un acconto sull'indennità che sarebbe risultata dalla legge da emanare a seguito della sent. n. 5/80 della Corte Costituzionale e che comunque alle stesse conclusioni si deve pervenire anche nel caso in cui si ritenesse tale accordo un negozio a sè stante sganciato dalla legge n. 385 del 1980, con la conseguenza che il termine di prescrizione decennale
deve ritenersi decorrere dalla emanazione della nuova legge in quanto solo da tale momento sarebbe stato possibile esercitare il diritto. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l'efficacia nel tempo della legge dichiarata incostituzionale in relazione all'art. 2395 c.c. Lamenta che la Corte d'Appello non abbia tenuto conto dei principi contenuti nella sent. n. 11293/99 con cui è stato affermato che:
- la determinazione dell'indennità salvo conguaglio individua un rapporto da completare, per espressa disposizione di legge, con un intervento successivo, necessario per colmare il vuoto lasciato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 5/80;

- la decorrenza della prescrizione, pur in presenza del decreto di espropriazione, non era consentita prima dell'intervento della Corte Costituzionale con la sent. n. 223/80 in quanto tale intervento trova fondamento non già nella mera mancanza di azione in capo agli espropriati ma in ragioni di carattere sostanziale, avendo le parti nel caso in esame differito il completamento del rapporto al momento in cui sarebbe stata emanata la legge sostitutiva;

- il sistema dell'indennità salvo conguaglio è stato sostituito da quello previgente (art. 39 della legge n. 2359 del 1865) solo dalla data di pubblicazione della sent. n. 223 della Corte Costituzionale in quanto solo da tale momento gli espropriati sono stati posti in grado di pretendere la giusta indennità.
Sostiene che conseguentemente la sentenza impugnata ha violato:
- l'art. 136, comma 1, Cost. in quanto solo dalla pubblicazione della sent. n. 223 ha cessato di avere efficacia la legge 385/80 ed ha trovato applicazione, in sostituzione, l'art. 39 della legge n. 2359 del 1865;

- l'art. 2935 c.c. in quanto ha ritenuto che la prescrizione decorra anche in presenza di un credito inesigibile perché indeterminabile per la momentanea mancanza di parametri legali;

- ancora l'art. 2935 c.c. in quanto ha fatto decorrere la prescrizione senza considerare che il credito sarebbe stato determinato solo al momento in cui sarebbe stata emanata la legge sostitutiva. Lamenta infine in via subordinata che la Corte d'Appello non abbia motivato la preferenza data ad alcune sentenze di questa Corte ( 7878/98; Sez. Un. 27/99) rispetto alla sent. n. 11293/99. Le tre censure vanno esaminate congiuntamente per la loro intima connessione logica e giuridica e meritano accoglimento - al di là di alcune considerazioni giuridiche legate al momento in cui si è perfezionato l'accordo in ordine all'entità dell'indennità di espropriazione - sulla ragione di fondo costituita dalla decorrenza del termine decennale di prescrizione del diritto a detta indennità dalla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 223/83. L'assunto della Corte d'Appello, che ha affermato l'irrilevanza ai fini in esame di tale sentenza, si fonda sull'orientamento, che può dirsi ormai consolidato, che ritiene alla stregua di un mero ostacolo di fatto e non un impedimento di diritto, e come tale non rientrante nell'ipotesi di cui all'art. 2935 c.c., la pregressa vigenza di una disposizione di legge, di natura preclusiva od ostativa all'esercizio di un diritto, dichiarata successivamente incostituzionale (Sez. Un. 27/99;
Cass. 7878/98).
Non tiene conto, però, l'impugnata sentenza che tali pronunce si riferiscono a casi in cui il diritto era già sorto ma era impedito solo l'esercizio della relativa azione per la presenza di una disposizione di legge (art. 19 della legge n. 865 del 1971 per l'indennità di esproprio ed art. 20 della stessa legge per l'indennità di occupazione) che subordinava detto esercizio alla previa determinazione amministrativa delle indennità. Ed in tale contesto si è affermato che ciò non costituiva un impedimento di diritto in quanto ovviabile attraverso la proposizione dell'incidente di costituzionalità idoneo a rimuoverlo.
Ma, allorché manchino i parametri normativi, alla cui entrata in vigore le parti hanno espressamente rinviato per dare contenuto al diritto, solo astrattamente riconosciuto, deve ritenersi dei tutto fuor di luogo il richiamo alla citata giurisprudenza, non potendosi sostenere, come invece ha osservato la Corte d'Appello, che in tal caso si verta nell'ambito di un mero ostacolo all'esercizio dei diritto e non già in un'ipotesi in cui il diritto, perché sorga concretamente, necessiti di essere determinato nei suoi contenuti. Risulta, infatti, dall'impugnata sentenza che in data 8 luglio 1980 e, quindi, precedentemente alla legge 29 luglio 1980, n. 385 entrata in vigore il 1§ agosto 1980, l'Ente Morale Opere Pie Riunite accettò l'indennità provvisoria a titolo di acconto sull'indennità definitiva da determinarsi in virtù della legge da emanare a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980, anticipando così sostanzialmente quanto sarebbe stato previsto da lì a pochi giorni dall'art. 1 della richiamata legge n. 385 del 1980, nella consapevolezza, dimostrata dalle parti, della illegittimità dei criteri di determinazione di cui alla legge n. 865 del 1971 per le aree edificabili a seguito della sent. n. 5 del 1980 della Corte Costituzionale. Non v'è dubbio, quindi, che, al pari di quanto previsto da detta norma, anche nel presente caso il diritto al conguaglio o comunque all'indennità definitiva non poteva essere determinato nei suoi esatti termini prima dell'entrata in vigore della nuova legge che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto introdurre una nuova disciplina per il calcolo dell'indennità di espropriazione relativa ai suoli edificabili.
Pertanto anche qui, solo nel momento in cui sono venute meno, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 223/83, le disposizioni della legge n. 385 del 1980 e di quelle successive di proroga (legge 535/81;
legge 481/82 e legge 943/82) dichiarate costituzionalmente illegittime in quanto riproducevano, sia pure provvisoriamente, criteri indennitari già dichiarati illegittimi dalla sent. n. 5/80 e rinviavano per il conguaglio ad una legge futura non più emanata, poteva ritenersi consentita, in mancanza di una diversa disciplina, l'applicazione di quella generale dettata dall'art. 39 della legge n. 2359 del 1865 e rimasta nell'ordinamento giuridico a regolare la materia, secondo un principio (ormai da tempo consolidato dopo la rimozione delle norme dichiarate illegittime. L'inesigibilità che ha comportato una tale complessa vicenda in ordine al diritto di credito dell'espropriato, per l'impossibilità di dare ad esso contenuto in mancanza dei necessari parametri normativi cui le parti avevano fatto espresso riferimento, ha determinato certamente un impedimento di carattere giuridico al decorso della prescrizione, impedimento rimosso, come si è osservato, solo con la sent. n. 223/83 della Corte Costituzionale che ha consentito il calcolo dell'indennità sulla base del valore venale del terreno espropriato e, quindi, la sua integrazione, secondo quanto convenuto dalle stesse parti.
Nè può condividersi la tesi, prospettata dalla Corte d'Appello, della diversità della situazione in esame rispetto a quella prevista dalla legge 385/80, diversità basata sulla considerazione che, mentre nel caso in questione l'Ente si era limitato (in epoca precedente a detta legge) ad accettare la indennità provvisoria a titolo di acconto sulla indennità definitiva, l'ipotesi normativa prevedeva, invece, il sistema dell'indennità salvo conguaglio. In entrambi i casi, infatti, insorge in capo all'espropriato il diritto al conguaglio da determinarsi in virtù di una successiva legge, mai emanata, e determinabile quindi, per i motivi sopra esposti, solo a seguito della sent. n. 223/83, più volte citata. Tali principi, del resto, sono stati già affermati da questa Corte in ipotesi analoghe - sia pure regolate direttamente dalla legge n. 385 del 1980, diversamente dal caso in esame basato su un accordo
intervenuto precedentemente ma sostanzialmente di pari contenuto - non solo con la sent. n. 11293/99 citata dalla stessa Corte d'Appello, ma anche con una successiva (9492/02) la quale, peraltro, ha ricordato come la giurisprudenza (Cass. 8045/00), in relazione agli interessi sul conguaglio, abbia ritenuto che decorressero da detta sentenza della Corte Costituzionale in considerazione della precedente inesigibilità del diritto al conguaglio medesimo. L'impugnata sentenza, che ha individuato nella data di notifica del decreto di esproprio (12 gennaio 1980) quella di inizio del decorso della prescrizione decennale, deve essere pertanto cassata con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'Appello di Lecce che, nell'uniformarsi all'enunciato principio, valuterà l'eccezione di prescrizione individuando la data della decorrenza nel giorno successivo alla pubblicazione della più volte citata sent. n. 223/83.

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