Cass. civ., sez. I, sentenza 11/06/2004, n. 11096
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È ammissibile l'inserimento del modus come elemento accessorio di un negozio atipico di liberalità, atteso che le specifiche disposizioni codicistiche in cui esso è disciplinato, rappresentano applicazioni - e tuttavia fonti normative utilizzabili per la regolamentazione di casi analoghi - che non esauriscono la possibile gamma negoziale in cui può estrinsecarsi l'autonomia privata negli atti di liberalità, attesa l'attitudine del modus a modificare, ampliandolo, il singolo schema negoziale, consentendo la realizzazione di singole e specifiche finalità estranee alla causa (nella specie si è ritenuto che l'obbligo, di costruire un manufatto, imposto ad un comune in un atto unilaterale di consenso del proprietario all'occupazione di un terreno, avesse la natura di disposizione modale piuttosto che di condizione), (vedi sente. Cassazione 1953 n. 2672).
La funzione giurisdizionale è necessariamente applicativa delle disposizioni vigenti (che il giudice interpreta con incondizionata autonomia, accertando e dichiarando la volontà della legge in relazione al caso concreto), per cui, se la legge muta o se, con un'ulteriore legge, viene attribuito a precedenti disposizioni un determinato significato, il giudice non può non essere vincolato dalla volontà del legislatore, anche perché le pronunce della Suprema Corte, se anche espressione della funzione nomofilattica, non possono assurgere a fonti di diritto, onde, con riguardo all'istituto dell'occupazione appropriativa, inizialmente affermatasi nell'applicazione giurisprudenziale, e successivamente regolata dalla legge, non è concettualmente configurabile un conflitto di attribuzione, per cui si debba investire la Corte costituzionale, fra potere giudiziario e potere legislativo, ne' è concepibile uno straripamento di quest'ultimo, per essere intervenuto a regolare un istituto di origine giurisprudenziale.
La corretta lettura delle sentenze rese in data 30.5.2000 dalla Corte europea dei diritti umani, avvalora la tesi secondo cui l'occupazione appropriativa, quale modo di acquisto della proprietà alla mano pubblica, non può ritenersi, oggi, allo stato attuale della legislazione e dell'evoluzione giurisprudenziale, in contrasto con i principi contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in particolare con il doveroso rispetto della proprietà, sancito dall'art. 1 del Prot. n. 1.
La diversità delle fattispecie dell'occupazione appropriativa e dell'occupazione usurpativa, comporta che l'omessa doglianza delle parti sulla qualificazione appropriativa dell'occupazione determina l'irretrattabilità della questione per il formarsi del giudicato interno sul punto, e che il ricorso per cassazione, formulato sulla contrarietà dell'istituto dell'occupazione appropriativa, configurata dal giudice di merito, alla Costituzione e alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, non può essere specificato con la memoria illustrativa per l'udienza, nel senso di interpretare la fattispecie come occupazione usurpativa e censurare la sentenza impugnata nella parte in cui non ha liquidato il risarcimento integrale.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S A - Presidente -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. A M - Consigliere -
Dott. C W - Consigliere -
Dott. B S - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B M, elettivamente domiciliata in SOMA VIA L. MANTEGAZZA 24, presso l'avvocato L G, rappresentata e difesa dall'avvocato C V, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI T;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n. 32978/02 proposto da:
comune DI T, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SAN DANASO 15, presso l'Avvocato E A che lo rappresenta e difende giunta procura a margine del controricorso a ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
B M, elettivamente domiciliata in ROMA VIA L. MANTEGAZZZA 24, presso l'avvocato L G, rappresentata e difesa dall'avvocato C V, giusta procura a margine del ricorso;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 398/02 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 24/05/02;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/02/2004 dal Consigliere Dott. Stefano BENINI;
udito per il ricorrente l'Avvocato VENTURA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale;
udito per il resistente l'Avvocato LOLLINI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 10.9.1987, B Maddalena conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Bari il Comune di Turi, chiedendo la determinazione dell'indennità per il periodo di occupazione legittima, ed il risarcimento del danno per l'occupazione appropriativa di fondi di sua proprietà, irreversibilmente trasformati e destinati alla costruzione di scuola materna e all'ampliamento di strade latistanti, senza che fosse stato emanato rituale decreto di esproprio.
Si costituiva in giudizio l'Amministrazione convenuta, contestando il fondamento della domanda, di cui chiedeva il rigetto. Avverso la sentenza di primo grado, che condannava il Comune al risarcimento del danno, liquidato in L. 545.000.000 circa, proponeva appello l'amministrazione.
Con sentenza depositata il 24.5.2002, la Corte d'Appello di Bari, in riforma della pronuncia di primo grado, condannava il Comune al risarcimento, liquidato in L. 151.040.966, oltre interessi e rivalutazione, e all'indennità di occupazione. 11 giudice di secondo grado postulava la necessità di differenziare l'esame della domanda risarcitoria con riferimento ai differenti terreni occupati dall'amministrazione, giacché riguardo ad un primo lotto, di mq. 2500, il terreno era stato occupato per la realizzazione di una scuola materna, un secondo lotto di mq. 390,15, utilizzato per l'allargamento di via Gioia Canale, ed un terzo di mq. 971,85, per l'allargamento di via Ninuccio Napolitano: questi ultimi due erano stati trasformati dall'amministrazione senza nemmeno un preventivo decreto di occupazione. Per il primo lotto doveva essere applicato il sopravvenuto comma 7 bis dell'art. 5 bis l. 8.8.1992 n. 359, come introdotto dall'art. 3, comma 65, l. 23.12.1996 n. 662, per essersi il procedimento espropriativi ritualmente svolto, salvo per la mancanza del decreto finale di esproprio la norma applicata, riconosciuta conforme alla Carta costituzionale della Consulta, non poteva neppure dirsi in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, anche alla luce della sentenza resa dalla Corte di Strasburgo nella causa C e ventura. Riguardo agli altri due lotti, per i quali sarebbe stato in teoria ravvisabile il carattere usurpativo dell'occupazione, perpetrata in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, mentre per l'appezzamento di via Gioia Canale, era da ritenere la carenza di legittimazione passiva del Comune, emergendo dagli atti la responsabilità della Provincia per l'illegittima trasformazione, per l'appezzamento di via Napolitano c'era stato il consenso della precedente proprietaria all'occupazione, e l'inadempimento all'obbligo, assunto dall'amministrazione comunale, di costruire un moretto di recinzione, non era da ritenere condizione essenziale il cui mancato avveramento incidesse sull'efficacia del negozio di cessione, bensì solo clausola di natura modale, che potava legittimare la pretesa all'esecuzione coattiva o al controvalore (ma questa domande la proprietaria non aveva proposto).
Ricorre per Cassazione B Maddalena, affidandosi a sei motivi, al cui accoglimento si oppone con controricorso il Comune di Turi, che a sua volta propone ricorso incidentale fondato su quattro motivi. La B ha altresì opposto controricorso al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente disporsi la riunione dei procedimenti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., avendo essi ad oggetto ricorsi avverso la stessa sentenza.
Con il primo motivo di ricorso, B Maddalena, denunciando violazione e falsa applicazione del principio di legalità;
violazione e falsa applicazione di legge (artt. 42 e 111 Cost. art. 1 prot. add. C.E.D.U. approvato con l. 848/55;preambolo e artt. 46, 13 e 6 C.E.D.U.;artt. 834, 922, 2043 ss. c.c.), ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, censura la sentenza impugnata per aver fatto applicazione dall'istituto dell'occupazione appropriativa, contrario alla C.E.D.U., come ai presupposti stessi dello Stato di diritto, creato dalla giurisprudenza, modificato dal legislatore per esigenze economiche con effetti sui processi in corso, costituente modo di acquisto della proprietà per fatto illecito, anche in assenza dell'indefettibile presupposto della dichiarazione di pubblica utilità. La Corte d'appello di Bari, che applicando lo ius superveniens, ha ridimensionato il risarcimento liquidato nella prima sentenza, ha in particolare disatteso le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo del 2000, che hanno condannato lo Stato italiano per essere l'istituto in contrasto con la C.E.D.U., assumendo erroneamente il trattamento migliorativo per l'occupazione appropriativa assicurato dalla legge rispetto all'indennità, e non ha tenuto conto che la giurisprudenza della Corte europea non solo ha efficacia vincolante, ma costituisce vera e propria fonte normativa direttamente applicabile e imperativa per tutte le istituzioni dell'ordinamento statale.
Con il secondo motivo di ricorso, la B, denunciando l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 bis, comma 7 bis, l. 8.8.1992, n. 359, come introdotto dall'art. 3, comma 65, l. 23.12.1996, n. 662, osserva che il nuovo testo unico
sull'espropriazione ha modificato i criteri di risarcimento del danno da occupazione appropriativi, adottando il sistema risarcitorio del valore venale, ma se al momento della decisione il nuovo sistema non fosse applicabile, vanno poste in rilievo le violazioni, insite nell'istituto dell'occupazione appropriativa, dell'art. 2 Cost., che impone il rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, e tra questi, il diritto al rispetto dei beni, il diritto ad un processo equo, il principio del legittimo affidamento e della certezza del diritto, dell'art. 10 Cost., che impone il doveroso rispetto delle norme di diritto internazionale, dell'art. 101 Cost., che sottopone il giudice alla sola legge, e non anche a principi giurisprudenziali, che gli ultimi interventi legislativi, viceversa, obbligano a condividere. Con il terzo motivo di ricorso, la B, denunciando l'illegittimità costituzionale dell'istituto dell'occupazione appropriativa, oggi regolato dall'art. 3, comma 65, l. 23.12.1996, n. 662, osserva che il recepimento in legge dell'istituto, di cui sono
state regolate le conseguenze economiche, fa venir meno le ragioni per cui, in assenza di una fonte normativa, la Corte Costituzionale (con sentenza 188/95) aveva dichiarato l'inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale, tanto più che quell'equo bilanciamento, che consentì in quella sede alla Corte di ritenere legittimo l'istituto, è venuto meno per averne, il nuovo criterio di liquidazione del danno, dimezzata la misura del risarcimento. L'illegittimità costituzionale è ora configuratane per il conseguimento di effetti positivi per l'autore di un fatto illecito;
per la configurazione dell'illecito istantaneo, e sottoposizione del risarcimento al termine breve di prescrizione;per l'effetto di acquisizione al di fuori del procedimento di espropriazione. Con il quarto motivo di ricorso, la B chiede che questa corte di Cassazione sollevi conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, assumendo l'estraneità ai principi dello Stato di diritto di un intervento legislativo che venga a sconvolgere un sistema, quello dell'occupazione appropriativa, che riposava su una consolidata prassi giurisprudenziale, nel senso che una fonte di diritto (definita da Corte Cost. 188/95 come norma che effettivamente vive nella concreta realtà dei rapporti giuridici) può essere modificata o abrogata solo da una fonte di pari rango, proveniente dallo stesso potere, e non, come in questo caso, dal potere legislativo, con l'emanazione della l. 662/96. Con il quinto motivo di ricorso, la B, denunciando violazione dei principi generali in tema di valutazione delle prove e delle dichiarazioni negoziali della parti, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo riguardante la legittimazione passiva riguardo al suolo di Gioia Canale, censura la sentenza impugnata per aver accolto l'eccezione del Comune di Turi, riguardo alla propria estraneità nell'occupazione di quel terreno, disattendendo una lettera del Sindaco, che manifestava l'intenzione di allargare la strada, e avvalorando, viceversa, il giudizio del c.t.u. circa la cenerata realizzazione dell'opera da parte della Provincia, senza tener conto che alcuni frontisti si erano impegnati a cedere i terreni al Comune, per permettere l'allargamento della strada, mentre nessuna rilevanza ha l'iniziativa nella realizzazione concreta dell'opera.
Con il sesto motivo di ricorso, la B, denunciando violazione a falsa applicazione degli artt. 1353, 647, 648, 793, 794 c.c., 99, 100, 101 c.p.c., ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo riguardante la cessione di via Napolitano, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che, in primo luogo, l'autorizzazione della propria dante causa ad occupare il suolo costituiva una cessione, e in secondo luogo, che l'inadempimento del Comune di Turi all'obbligo di costruire il moretto di recinzione, apposto come condizione del consenso ad occupare, non inficiava la cessione, essendo assimilabile ad una disposizione modale che legittimava al più una richiesta di risarcimento: la ricorrente aveva semplicemente acconsentito all'occupazione dei terreni, e l'impegno assunto dal Comune costituiva una vera e propria condizione, non un modus, ma anche a volerlo ammettere, l'attrice aveva chiesto il pagamento del controvalore delle recinzioni e dei manufatti esistenti e distrutti. Con il primo motivo del ricorso incidentale, il comune di Turi, denunciando omessa motivazione su punto decisivo della controversia, si duole della valutazione operata dalla Corte d'appello dei suoli occupati per la realizzazione della scuola materna, relativamente ai quali ha disatteso la -salutazione del c.t.u. nominato in appello, operata su dati omogenei, sostituendovi apoditticamente una propria valutazione fondata su dati disomogenei in quanto relativi a epoche diverse.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il Comune di Turi, denunciando omessa insufficiente e con-traddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, si duole della determinazione operata dalla Corte d'appello dell'indennità di occupazione, senza alcuna indicazione del criterio, ma di certo in modo non corretto e sproprorzionato, se è vero che lo stesso c.t.u., pur partendo da una base di calcolo errata, quella del valore venale, perviene ad un risultato comunque inferiore a quello attinto dal giudice. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, il Comune di Turi, denunciando violazione di legge, omessa motivazione su punto decisivo della controversia, si duole del riconoscimento della rivalutazione monetaria sia sull'indennità di occupazione, che sul risarcimento da occupazione appropriativa, di cui va ritenuta la natura di debito di valuta.
Con il quarto motivo del ricorso incidentale, il Comune di Turi, denunciando violazione di legge, illogicità ed incongruità, si duole della compensazione solo parziale delle spese, operata dalla Corte d'appello di Bari, mentre l'allungamento dei tempi processuali era unicamente ascrivibile al comportamento di controparte. Iniziando l'esame del ricorso principale, dai primi quattro motivi, che riguardano l'appezzamento di terreno utilizzato per la costruzione della scuola materna - il quinto ed il sesto motivo si riferiscono ai terreni occupati per l'allargamento, rispettivamente, di via Gioia Canale e di via Ninuccio Napolitano, e su di essi si dirà in prosieguo - è indispensabile, in via di assoluta priorità, delineare con sicurezza l'oggetto del contendere, posto che all'illegittimità del comportamento dell'amministrazione, da cui la ricorrente ha dedotto esserle derivato un danno, sono riconducibili conseguenza ben diverse, a seconda che la fattispecie venga inquadrata come occupazione appropriativa, ovvero acquisizione della proprietà alla nano pubblica a seguito del mancato perfezionamento della procedura espropriativa, o diversamente sia qualificata come occupazione usurpativa, siccome perpetrata dall'amministrazione in assoluta carenza di potere, sia ah origine, per assenza o vizio della dichiarazione di pubblica utilità, sia per sopravvenuta scadenza dei termini previsti dall'art. 13 l. 25.6.1865 n. 2359 per il compimento dei lavori.
Se la fattispecie dovesse qualificarsi come occupazione appropriativa, non vi sarebbe motivo, contrariamente all'assunto della ricorrente in via principale, per non applicare la norma (art. 5 bis, comma 7 bis, l.