Cass. pen., sez. I, sentenza 04/09/2020, n. 25099

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 04/09/2020, n. 25099
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 25099
Data del deposito : 4 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DI S VO nato a PESCARA il 25/10/1971 avverso l'ordinanza del 12/09/2019 della CORTE APPELLO di L'AQUILAudita la relazione svolta dal Consigliere A C;
lette/sentite le conclusioni del

PG

Letta la requisitoria della dott.ssa P Z, sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Suprema Corte di cassazione, con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte d'appello dell'Aquila, in funzione di giudice dell'esecuzione, con ordinanza in data 12/9/2019, respingeva la richiesta di rideterminazione della pena inflitta a D S V con sentenza dell'Autorità giudiziaria armena, del distretto amministrativo di Maltia-Sebasta, in data 17 luglio 2014, sentenza riconosciuta ai fini dell'esecuzione della pena nel territorio dello Stato dalla Corte d'appello anzidetta il 26/4/2017, con delibazione irrevocabile il 20/3/2018. 2. Ricorre per cassazione D S V, con il ministero del suo difensore di fiducia, e deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando la violazione della pronuncia di incostituzionalità (sentenza nr. 40/2019) relativa al trattamento sanzionatorio dell'art. 73 del d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, con riguardo agli artt. 2 comma 4 cod. pen. e 7 paragrafo 1 CEDU. Si sarebbe imposta, afferma il ricorrente, la rinnovazione della valutazione sanzionatoria, in funzione della lesività in concreto della condotta, ad opera del giudice dell'esecuzione, rispetto a quella che era stata effettuata in occasione dell'intervenuta delibazione della sentenza penale straniera. Ciò alla luce della sopravvenuta illegalità dei parametri edittali, all'indomani dell'anzidetta pronuncia d'incostituzionalità. Faceva difetto, in punto di motivazione, l'esplicitazione delle ragioni che avevano indotto il Giudice del riconoscimento a ritenere astrattamente irrogabile in Italia la pena inflitta, per quel tipo di reato.

3. Il ricorso è manifestamente infondato. La Corte di appePo dell'Aquila, con la sentenza indicata, riconosceva, ai fini dell'esecuzione nello Stato italiano, ai sensi della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, sul trasferimento delle persone condannate, la decisione emessa dal Tribunale armeno con la quale Valeriano D Simone (cittadino italiano) era stato condannato alla pena di 12 anni di reclusione per il reato di traffico di circa tre Kg. di cocaina, fatto commesso in Armenia il 23 febbraio 2014. 3.1. La Convenzione di Strasburgo prevede che gli Stati aderenti possano optare, in fase di riconoscimento per l'esecuzione delle sentenze penali straniere, per uno dei due diversi regimi, indicati nell'art. 9 della stessa Convenzione.Si tratta della "conversione" della condanna, che implica una autonoma sostituzione (sia pur con alcuni limiti indicati all'art. 11) della sanzione inflitta con altra pena prevista dalle Stato di esecuzione per lo stesso reato. In alternativa si contempla un meccanismo di cd. "continuazione" della condanna. In questa eventualità lo Stato d'esecuzione è vincolato (salve le eccezioni indicate all'art. 10) alla natura e alla durata della sanzione che risultano dalla sentenza straniera. Lo Stato italiano, ha ratificato la Convenzione, applicando il secondo dei regimi descritti. L'art. 3 della L. 3 luglio 1989, n. 257 -di esecuzione della suddetta Convenzione- prevede, invero, che, "nel determinare la pena, la corte di appello applica i criteri previsti nell'articolo 10 della convenzione" e che solo nel caso in cui l'entità della pena non s,a stabilita nella sentenza straniera, "la corte la determina sulla base dei criteri indicati negli articoli 133, 133-bis e 133-ter del codice penale". Si apprezza, così, la differenza con quanto dispone il codice di rito all'art.735 cod. proc. pen. La sua applicazione è, infatti, collegata, ex art. 696, comma 3, cod. proc. pen., al presupposto che manchino o non dispongano diversamente le Convenzioni in vigore per io Stato. Da ciò discende che, in ragione dello strumento pattizio di Strasburgo, così come ratificato dal nostro Paese, il Giudice non debba "convertire" la pena inflitta dal giudice straniero, ma sia tenuto semplicemente a recepirla, con i limiti indicati dall'art. 10 della citata Convenzione che possono giustificare un circoscritto "adattamento" della sanzione stessa (Sez. 6, n. 21955 del 04/05/2006, F, Rv. 234739;
Sez. 5, n. 3597 del 15/11/1993, D Carlo, Rv. 197022;
Sez. 6, n. 14505 del 20/03/2018, Rv. 272480 - 01).
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