Cass. civ., sez. VI, sentenza 07/05/2013, n. 10580

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Massime1

Qualora venga dedotta la nullità della citazione come motivo d'appello, in applicazione del principio della conversione delle nullità in motivo di gravame, gli effetti della sua rilevazione da parte del giudice sono regolati in conformità all'art. 294 cod. proc. civ., equivalendo la proposizione dell'appello a costituzione tardiva nel processo, di talché il convenuto contumace, pur avendo diritto alla rinnovazione dell'attività di primo grado da parte del giudice di appello (ai sensi dell'art. 354, quarto comma, cod. proc. civ.), intanto potrà essere ammesso a compiere le attività che sono colpite dalle preclusioni verificatesi nel giudizio di primo grado, in quanto dimostri che la nullità della citazione gli abbia impedito di conoscere il processo e, quindi, di difendersi, se non con la proposizione del gravame: situazione che, peraltro, può verificarsi solo in ipotesi di nullità per omessa o assolutamente incerta indicazione del giudice adìto in primo grado, occorrendo, in ogni altra ipotesi, la dimostrazione (del tutto residuale) che le circostanze del caso concreto abbiano determinato anche la mancata conoscenza della pendenza del processo. (Nella specie, era stato concesso un termine a comparire minore di quello previsto dall'art. 415, comma quinto, cod. proc. civ., in relazione all'art. 447 bis cod. proc. civ., situazione ritenuta dunque inidonea a consentire la proposizione tardiva in appello di una domanda riconvenzionale.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. VI, sentenza 07/05/2013, n. 10580
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10580
Data del deposito : 7 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F M - Presidente -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. V R - Consigliere -
Dott. F R - rel. Consigliere -
Dott. S L A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SZA
sul ricorso 6220/2011 proposto da:
GEBHARD REINHARD GBHRHR46C21Z112H (in proprio) e GABRIELLI PATRIZIA GBRPRZ46B64F205V, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 29, presso lo studio dell'avvocato P B G, rappresentata e difesa dall'avvocato G R, giusta procura speciale in calce al ricorso;

- ricorrenti -

contro
M P MRCPLA45C43L682Y, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MIRABELLO 18, presso lo studio dell'avvocato R U, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato B P, giusta procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 76/2010 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE del 21.1.2010, depositata l'8/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2013 dal Consigliere Relatore Dott. R F;

udito per la ricorrente l'Avvocato R G che si riporta agli scritti, insistendo per l'accoglimento del ricorso;

udito per la controricorrente Maria Luisa Jaus Richiello (per delega avv. Umberto Richiello) che si riporta agli scritti, insistendo per il rigetto del ricorso.
È presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.

1. Con ricorso depositato presso il Tribunale di Grosseto la sig.ra Paola M chiedeva ai coniugi R G e Patrizia G la restituzione (già intimata in data 20 settembre 2004) di una parte di terreno di sua proprietà concesso in comodato a tempo indeterminato ai convenuti, chiedendo altresì il risarcimento dei danni derivanti dalla loro occupazione senza titolo del predetto terreno, nella misura da determinarsi in un separato giudizio. Il ricorso e il decreto che fissava l'udienza per il 17 settembre 2007 venivano notificati il 12 luglio 2007, senza rispettare quindi il termine di cui all'art. 415 c.p.c., comma 5, in reazione all'art. 447-bis c.p.c.. I convenuti non si costituivano nel giudizio di primo grado che si concludeva, senza che fosse rilevato il mancato rispetto del termine di cui sopra, con la loro condanna.
p.

2. I sigg. G e G proponevano appello avverso tale sentenza davanti alla Corte d'appello di Firenze, chiedendo anzitutto di dichiarare la nullità della sentenza del Tribunale di Grosseto, in conseguenza della nullità dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, con pronuncia di mero rito o, in via subordinata, con rimessione al primo giudice, o, in via gradatamente subordinata, provvedendo alla rinnovazione dell'atto introduttivo nullo nonché del decreto di fissazione dell'udienza al fine di consentire agli appellanti di costituirsi in giudizio ex art. 416 c.p.c. e di esercitare tutte le attività che essi avrebbero potuto
svolgere in primo grado, comprese eventuali domande riconvenzionali, o, in via ulteriormente subordinata ed in via riconvenzionale, di accertare lo stato dei luoghi e i reali confini tra il fondo di proprietà degli appellanti e quello di proprietà dell'appellata, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 950 c.c.. p.

2.1. Si costituiva in giudizio la sig.ra M, chiedendo alla Corte, previa dichiarazione di nullità della sentenza del Tribunale ed ammissione delle prove richieste in primo grado, di accogliere la sua domanda originaria.
p.

3. La Corte d'appello con sentenza dell'8 febbraio 2010 dichiarava la nullità del giudizio di primo grado e della relativa sentenza, accoglieva la domanda della M rinnovando il giudizio sudi essa, dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale di accertamento dei confini proposta dagli appellanti, dichiarava integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di secondo grado e non ripetibili per la sig.ra M le spese del giudizio di primo grado.
p.

4. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione i signori G e G. Ha resistito con controricorso la signora M.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.

1. Con l'unico motivo di ricorso i ricorrenti deducono "violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c.". A loro parere la motivazione con ci la Corte territoriale, dopo avere rilevato che in relazione alla notifica del ricorso e del decreto senza il rispetto del termine di cui all'art. 415 c.p.c., trovava applicazione, in forza di Cass. sez. un. n. 12 del 2001 la disciplina della nullità della citazione e, quindi, erra esclusa la rimessione del giudizio in primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c., avrebbe erroneamente ritenuto, anziché consentire nell'ambito della rinnovazione del giudizio di primo grado in appello, la proposizione della domanda riconvenzionale di regolamento dei confini. Con ampie argomentazioni, sostengono i ricorrenti - senza contestare che correttamente si sia esclusa la rimessione al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.c., in relazione al vizio verificatosi - che, se non si vuole far discendere dalla nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado la rimessione al primo giudice, si deve però consentire all'appellante, che, rimasto contumace in primo grado, fa valere tale nullità con l'atto di appello, di svolgere nel secondo grado di giudizio tutte le attività che non poteva svolgere in primo grado, compresa la possibilità di proporre domande riconvenzionali. Questa, sempre secondo i ricorrenti, sarebbe l'unica interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 345 c.p.c., dovendo altrimenti lo stesso considerarsi incostituzionale, "nella parte in cui non prevede la possibilità per il convenuto rimasto contumace nel giudizio di primo grado a fronte della nullità della vocatio in ius non rilevata d'ufficio, di proporre in sede di gravame la domanda che avrebbe potuto proporre in via riconvenzionale ai sensi dell'art. 36 c.p.c., nell'ambito del giudizio di primo grado qualora detta nullità non vi fosse stata".
Quest'ultima è la questione di incostituzionalità che viene sollevata in via incidentale nel ricorso, per l'ipotesi in cui questa Corte non dovesse seguire l'interpretazione dell'art. 345 c.p.c., nello stesso prospettata.
Dall'accoglimento del ricorso discenderebbe poi, secondo i ricorrenti, la caducazione ai sensi dell'art. 336 c.p.c., comma 1, della parte della sentenza d'appello favorevole alla M. p.

2. Il motivo, al di là del'erronea invocazione della norma dell'art. 345 c.p.c., anziché di quella dell'art. 437 c.p.c., comma 2, non può portare alla cassazione della sentenza impugnata,
ricorrendo soltanto le condizioni, sulla base dell'individuazione dell'esatto diritto applicabile in relazione alla questione da esso posta, per una correzione della motivazione della sentenza stessa, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., u.c., essendo il suo dispositivo, là dove ha ritenuto di non poter esaminare la domanda riconvenzionale dei ricorrenti, conforme al diritto.
Queste le ragioni, la cui esposizione deve prendere le mosse dalla norma dell'art. 164 c.p.c., posto che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che tale norma costituisca, come affermato da Cass. sez. un. n. 122 del 2001, il modello di riferimento per lenulità dell'atto introduttivo di rito del lavoro.

2.1. L'art. 164 c.p.c., nel testo introdotto dalla riforma di cui alla L. n. 353 del 1990, disciplina, com'è noto, il fenomeno della nullità della citazione introduttiva del giudizio ordinario con regole che, al contrario di quanto faceva la norma previgente, distinguono, conforme ad elementari regole logiche, i vizi della citazione sotto il profilo della c.d. vocatio injus (disciplinandoli nei primi tre commi) e quelli relativi alla c.d. editio actionis (disciplinandoli nei successivi tre commi).
I primi sono vizi concernenti quelle attività che, con riferimento alla citazione quale atto processuale, servono per raggiungere lo scopo di individuare il processo dal punto di vista del convenuto sul piano formale, cioè della stessa forma della citazione, in modo da assicurare l'esercizio del diritto di difesa e ciò, con riguardo alle parti (art. 163 c.p.c., n. 2), al giudice (art. 163 c.p.c., n.1) ed alla data dell'udienza per cui è rivolta la citazione (art.163 c.p.c., n. 7), nonché di assicurare, sempre in base a quanto
risulta dal contenuto formale della citazione, con riguardo al tempo ritenuto necessario per l'utile esercizio della difesa da parte del convenuto (in relazione all'art. 163 bis c.p.c.) ed al modo in cui esso dev'essere sollecitato a svolgerla, per il che è necessario un avviso al convenuto circa le conseguenze in cui incorrerà se non si costituirà nel termine in relazione agli artt. 38 e 167 c.p.c.. I vizi concernenti la c.d. editio actionis concernono, invece, la stessa individuazione dell'oggetto della domanda e, quindi, della situazione giuridica di cui si vuole discutere e della tutela che riguardo ad essa si postula.
Alla realizzazione della conoscenza della citazione, invece, è deputata l'attività di notificazione dello stessa, che il legislatore, con scelta diversa da quella del Codice del 1865, che la considerava requisito della stessa domanda giudiziale, ha disciplinato in modo distinto, regolandone l'invalidità con una norma apposita, l'art. 291 c.p.c.. È noto (ed ha avuto modo di rilevarlo la citata sentenza delle SS.UU.) che le previsioni dell'art. 164 c.p.c., sono ritenute estensibili anche agli atti di introduzione del giudizio regolate in forma diversa dalla citazione, salvo gli opportuni adattamenti, derivanti dalla circostanza che, di norma, talune delle attività in cui consta la vocatio injus, possono - come nella forma del ricorso depositato prima della notificazione nella cancelleria del giudice - essere affidate ad un atto del giudice, il decreto di fissazione dell'udienza.
p.

2.2. L'art. 164 c.p.c., disciplina il rilievo della nullità della citazione, ma lo fa - com' noto - con riferimento al momento iniziale del processo, cioè

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