Cass. pen., sez. VI, sentenza 26/10/2021, n. 38382

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 26/10/2021, n. 38382
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 38382
Data del deposito : 26 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da C L A, nato a San Severo (FG) il 22/02/1971 avverso la sentenza del 18/09/2020 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere A C;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L O, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori, avv. S M per la parte civile C F e avv. A P M per L'Altrelli Matteo, che hanno concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. C J, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Decidendo in sede di rinvio, la Corte di appello di Bari ha riformato la sentenza emessa il 9 novembre 2015 dal Tribunale di Foggia nei confronti di C L A, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine ai fatti contestati in forma di tentativo di estorsione perché estinti per prescrizione e, rideterminata la pena per le estorsioni consumate in anni 3, mesi 5 di reclusione e 700 euro di multa, ha confermato le statuizioni civili, rigettando la richiesta di provvisionale. Adeguandosi ai rilievi di questa Corte, il giudice del rinvio ha escluso la configurabilità dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza e minaccia alla persona nelle condotte dell'imputato, confermando la natura estorsiva, già ritenuta dal primo giudice, delle pretese economiche avanzate dal C nei confronti della sorella e del cognato, con i quali aveva convissuto per tre anni dopo la morte del padre, in ragione dell'assenza di un diritto alla restituzione tutelabile in sede giudiziaria, delle reiterate modalità violente e minatorie con cui erano state formulate le richieste di denaro, dell'esorbitanza delle somme richieste in restituzione rispetto al totale ammesso dalla sorella, delle minacce rivolte sia alla sorella che al cognato, sul quale non gravava alcun obbligo di mantenimento. La Corte di appello ha, quindi, respinto le richieste difensive di riqualificare il fatto ai sensi dell'art. 393 cod. pen. per inesistenza del diritto dell'imputato alla restituzione delle somme corrisposte spontaneamente e sporadicamente per contribuire alle spese di vitto e alloggio o ai sensi dell'art. 610 cod. pen. per la finalità perseguita dall'imputato, diretta a conseguire un profitto ingiusto, e ha fondato l'affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della sorella dell'imputato, ritenute credibili, lineari, non animate da astio o da intenti locupletativi e riscontrate dai messaggi minatori inviati dall'imputato anche al cognato.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che articola i seguenti motivi:

2.1 nullità della sentenza di questa Corte, che ha disposto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari, per violazione di legge, stante la mancata partecipazione all'udienza dinanzi alla Corte di cassazione del difensore dell'imputato, non essendo stato dato avviso dell'udienza né all'imputato né al difensore di fiducia, non cassazionista, né risultando la nomina di un difensore di ufficio. La nullità della sentenza di questa Corte riverbera i suoi effetti sulla sentenza impugnata, risultando violato il diritto di difesa.

2.2 nullità della sentenza per vizio di motivazione per avere i giudici di merito travisato le prove, omesso di affrontare il profilo dell'elemento soggettivo e oggettivo del reato di estorsione e di valutare la testimonianza del L'Altrelli, prova decisiva assunta nel giudizio di secondo grado. La Corte di appello non ha tenuto conto delle discrasie emerse tra quanto dichiarato dalla persona offesa in sede di denuncia e le ulteriori prove raccolte nei due gradi di giudizio;
ha fondato l'affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa, ritenuta credibile, senza considerare che nella denuncia, in realtà, la C conforta le ragioni dell'imputato quando ammette di aver ottenuto modeste somme di denaro (250 euro in dieci occasioni per un totale di 2.500 euro) come contributo per l'ospitalità ricevuta, rispetto alle quali non possono ritenersi eccessive le ulteriori pretese di restituzione, non essendo stata considerata l'altra componente della richiesta, costituita dal sostegno alimentare ex art. 439 cod. civ. richiesto dall'imputato in un momento di difficoltà, che questa Corte limita allo stretto necessario e quantifica nella misura di 150 euro mensili. Peraltro, a fronte di un contributo di 2.500 euro, la sorella ha ammesso di aver corrisposto al fratello solo 700 euro, somma di gran lunga inferiore a quella cui avrebbe avuto diritto. Quanto all'elemento soggettivo si segnala che è la stessa persona offesa ad ammettere che le pretese del fratello erano giustificate dalla perdita del lavoro ed avevano ad oggetto la restituzione di quanto, secondo i suoi calcoli, egli aveva versato come contributo durante la permanenza in casa della sorella, sicché il riferimento al conteggio dà conto del convincimento dell'imputato di avere diritto alla restituzione di quanto anticipato. Del tutto omessa è la valutazione della testimonianza del cognato Marco L'Atrelli, il quale ha confermato che le richieste di denaro erano state avanzate quando il C aveva perso il lavoro e ne aveva contrastato le pretese di restituzione, contestandone l'importo, in tal modo confermando che vi era una questione sui conteggi. Anche il presunto messaggio minatorio, riportato in sentenza, dimostra che l'imputato reclamava la restituzione di soldi suoi, trovandosi in difficoltà economiche, né la Corte di appello ha considerato gli interessi economici, che motivano la persona offesa e altri elementi favorevoli all'imputato emersi dalle testimonianze di C Massimo e del L'Altrelli.
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