Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 18/09/2004, n. 18833
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Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M S - Presidente -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. L F - Consigliere -
Dott. S P - rel. Consigliere -
Dott. D I C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CIARDI SALVATORE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TARO N 25, presso lo studio dell'avvocato D M, rappresentato e difeso dall'avvocato F V P, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., già FERROVIE DELLO STATO SOCIETÀ DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI;
- intimata -
e sul 2^ ricorso n. 11496/02 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., già FERROVIE DELLO STATO SOCIETÀ DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE TUPINI 113, presso lo studio dell'avvocato N C, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
CIARDI SALVATORE;
- intimato -
avverso la sentenza n. 25/01 del Tribunale di BARI, depositata il 14/03/01 R.G.N. 1297/98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/04 dal Consigliere Dott. Paolo STILE;
udito l'Avvocato PAPADIA;
udito l'Avvocato CORBO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NAPOLETANO Giuseppe che ha concluso per il rigetto del ricorso principale;assorbito il ricorso incidentale condizionato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 7 ottobre 1991, C Salvatore conveniva innanzi al Pretore di Bari, in funzione di Giudice del lavoro, l'Ente Ferrovie dello Stato, chiedendone la condanna alla costituzione, in suo favore, di una rendita da malattia professionale non tabellata ("ulcera bulbare"), già riconosciuta dipendente da causa di servizio, oltre interessi, danno da svalutazione monetaria e vittoria di spese.
Si costituiva la società Ferrovie dello Stato (subentrata all'Ente omonimo), contestando il fondamento del ricorso, di cui chiedeva il rigetto. Espletate due consulenze tecniche d'ufficio medico-legali, l'adito Pretore, con sentenza resa il 4 marzo 1998, rigettava la domanda. Avverso tale decisione, il soccombente, con ricorso depositato il 2 ottobre 1998, proponeva appello, con quattro motivi. Chiedeva quindi, in riforma dell'impugnata sentenza, l'accoglimento della propria domanda. Si costituiva la società appellata, deducendo l'incensurabilità nel merito della sentenza del primo Giudice. Concludeva chiedendo il rigetto dell'appello. Con sentenza del 18 gennaio-14 marzo 2001, l'adito Tribunale di Bari, rilevato che non vi era prova alcuna che la lieve forma di gastroduedenite cicatrizzale riscontrata dal secondo consulente tecnico, nominato in primo grado, fosse di natura professionale, rigettava il gravame. Per la cassazione di tale decisione ricorre Salvatore C con cinque motivi. Resiste la Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato. La resistente ha anche presentato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). Va ancora con priorità chiarito, in relazione all'eccepito difetto di legittimazione passiva della Società, di cui al ricorso incidentale, che - come ripetutamente affermato da questa Corte - il trasferimento all'INAIL o all'IPSEMA (a seconda che si tratti di personale ferroviario o navigante) della titolarità dei rapporti aventi per oggetto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei lavoratori dipendenti della società Ferrovie dello Stato - disposto, a decorrere dall'1 gennaio 1996, dall'art. 2, commi tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo, del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510 (con il quale sono stati reiterati precedenti decreti-legge
decaduti), convertito nella legge n. 608 del 1996 (che ha salvato gli effetti di tutti i dd.ll. della catena) - non incide nei giudizi in corso, in relazione ad eventi verificatisi entro il 31 dicembre 1995 e ancora non definiti entro tale data, sulla preesistente legittimazione processuale della suddetta società, dovendosi ritenere realizzata una ipotesi di successione "ex lege" nel diritto controverso analoga a quella prevista dall'art. 111 cod.proc.civ., implicante la prosecuzione del processo tra le parti originarie, salva la possibilità1 dell'intervento in causa dell'INAIL o dell'IPSEMA.
Nella specie, pertanto, poiché il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato depositato nel 1991, la sollevata eccezione deve essere rigettata. Con il primo motivo del ricorso principale, il C, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., deduce che il Tribunale
di Bari avrebbe ritenuto erroneamente che il lavoratore non avesse fornito la prova del nesso causale tra l'attività lavorativa, l'esposizione al rischio e la patologia denunciata, quando tale prova era acquisita agli atti e consisteva nella delibera del Capo Ufficio Organizzazione delle Ferrovie dello Stato, che aveva riconosciuto dipendente da concausa efficiente e determinante di servizio la patologia denunciata. Sostiene ancora il ricorrente che "il valore" di tale documento sarebbe stato riconosciuto dalla stessa società F.S. anche ai fini della procedura amministrativa prevista per il riconoscimento di malattia professionale, come risulta chiaramente dalla circolare F.S. nr. 3" - emanata dalla stessa Società, Istituto assicuratore - intitolata "applicazione delle disposizioni introdotte dalle sentenze della Corte Costituzionale 10 febbraio 1988, nr. 179 e 11 febbraio 1988, nr. 206";ciò, con indubbia incidenza anche sul piano probatorio, venendo a gravare sulla Società la prova dei fatti, "che impedivano, ai fatti provati dall'attore, di produrre il loro effetto naturale ...".
La censura è infondata.
La questione concernente la rilevanza sia del pregresso riconoscimento della causa di servizio, che della circolare F.S. n. 3/1989 ai fini della malattia professionale, è stata correttamente risolta dal Tribunale di Bari, il quale, riportandosi alla giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. 20 luglio 1998 n. 1196), ha osservato che, diversi essendo i presupposti per l'applicazione dei due istituti, l'accertamento che una determinata infermità dipenda da causa di servizio, non comporta di per sè solo che costituisca anche "malattia professionale";e ciò sia perché il rapporto di causalità necessario per la prima, non è sufficiente per la seconda;sia perché la prova della morbigenità delle mansioni, gravante sul lavoratore in caso di malattie non tabellate, deve essere fornita in modo rigoroso.
Circa la rilevanza della circolare n. 3/89, poi, il Tribunale ha affermato che essa non aveva e non ha alcuna efficacia vincolante trattandosi di un atto interno, non impegnativo.
Tale assunto si pone in linea, con quanto affermato da questa Corte, che, nell'occuparsi, in analoghe occasioni, della circolare n. 3/89, ne ha affermato l'irrilevanza e comunque l'inidoneità ad esonerare il lavoratore dalla prova del nesso causale lavoro/patologia, poiché, trattandosi di un rapporto previdenziale pubblicistico, l'Ente assicuratore (nella specie F.S.) non può disporre del diritto stesso e riconoscerlo al di fuori dei casi previsti dalla legge (ex plurimis, Cass. 4 giugno 2003 n. 8884). Esclusa una sorta di efficacia "legale" o "presunta" della dipendenza della malattia da causa di servizio rispetto alla sua natura professionale, del pari deve escludersi - come correttamente escluso dalla sentenza impugnata - che detto riconoscimento possa operare sul piano del fatto determinando (come il ricorrente sostiene) un'inversione dell'onere probatorio (sicché sarebbe F.S. a dover provare che nonostante il riconoscimento come causa di servizio, la malattia non avrebbe natura professionale).
Siffatta prospettazione, infatti, ha come suo presupposto logico una vantazione preventiva, espressa in termini assoluti, di identità del nesso causale (evento/malattia) nell'ambito dei due istituti:
presupposto logico non condivisibile, alla luce dell'orientamento consolidato di questa Corte, che, in materia, ha chiarito - come sopra accennato - che l'istituto della rendita per malattia professionale previsto dal DPR 30 giugno 1965, n. 1124, e quello dell'indennizzo dovuto al dipendente ferroviario per causa di servizio, si fondano su presupposti diversi, essendo il secondo un beneficio (qualificabile come prestazione straordinaria di carattere previdenziale) attribuito al dipendente per compensare menomazioni fisiche comunque connesse al servizio, laddove la prima richiede che la malattia sia contratta nell'esercizio ed a causa della lavorazione svolta ed impone pertanto un nesso più stretto tra malattia ed attività lavorativa, dovendo quest'ultima, in caso di fattori plurimi, costituire pur sempre la causa sufficiente ossia la conditio sine qua non della malattia. Pertanto il riconoscimento della causa di servizio non ha rilievo ai fini del riconoscimento della malattia professionale (Cass. 6 marzo 2001 n. 3220) per il quale occorre indagare sull'esistenza di uno specifico rapporto di causalità fra l'attività svolta e la patologia contratta reclamata dal dipendente come malattia professionale (Cass. 26 novembre 1999 n. 13213). Non determinando, dunque, il riconoscimento della causa di servizio, alcuna presunzione, ne' legale ne' di fatto, della natura professionale della malattia, l'esaminato motivo, anche per questo profilo, va disatteso. Con il secondo mezzo di impugnazione, il C sostiene che il Tribunale sarebbe incorso nella violazione degli artt 115 e 116 c.p.c., oltre che in vizio di motivazione, pretendendo che il ricorrente "fornisse una specifica prova in luogo di altre" e ciò nonostante che "la prova sufficiente per valutare i fatti di causa risultasse per tabulas".
In particolare il Tribunale non avrebbe potuto pretendere la dimostrazione, oltre che del tipo di mansioni svolte, anche della sussistenza "delle concrete condizioni in cui si svolgeva la propria attività lavorativa" trattandosi di "prove diaboliche se non impossibili".
La censura è priva di fondamento.
Al contrario di quanto argomentato dal ricorrente, il Tribunale non ha affatto preteso dal C uno specifico mezzo di prova ma ha indicato quali fossero gli elementi costituitivi del diritto fatto valere, oggetto di prova necessaria da parte dell'interessato, ossia quali fossero i fatti idonei a dimostrare il nesso di causalità tra mansioni e malattia;nesso, che ben poteva essere provato dall'interessato in qualunque modo (Cass. 8 febbraio 1994 n. 1573), non essendo rinvenibile nella sentenza alcuna restrizione a tal proposito.
Per quanto concerne, poi, ti secondo profilo della stessa doglianza, con il quale si lamenta la mancata ammissione dei mezzi di prova sollecitati nel ricorso di primo grado, va rammentata, in primo luogo, la nota giurisprudenza di questa Corte che esclude la censurabilità del giudizio, anche implicito, del giudice di merito, sulla superfluità di eventuali mezzi di prova, quando lo stesso giudice abbia "con ragionamento logico giuridicamente corretto, ritenuto di aver già raggiunto in base all'istruzione probatoria esperita, la certezza degli elementi necessari per la decisione" (Cass., 27 luglio 1993, n. 8396). È da aggiungere, poi, che, nella specie, manca ogni specificazione dei termini della richiesta prova, cosi come del contenuto della documentazione, che non sarebbe stata esaminata dal Giudice a quo. Invero, è principio costantemente affermato da questa Corte che, qualora in sede di ricorso per Cassazione si deduca l'omessa o comunque viziata motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione di una decisiva risultanza processuale, ovvero di una istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, incombe l'onere di indicare in modo adeguato e specifico la risultanza medesima od il contenuto di tale istanza, poiché, per il principio
dell'autosufficienza del ricorso per Cassazione, il controllo deve essere consentito al giudice di legittimità sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.
In particolare, poi, l'indicazione della risultanza che si assume non valutata, o non logicamente valutata, non può consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni della parte, ma deve contenere in modo obiettivo tutti gli elementi rilevanti della medesima, con la conseguenza che, ove necessario per una adeguata valutazione, detta indicazione deve consistere in una integrale trascrizione della risultanza in questione (Cass. 12 settembre 2000 n. 12025). Con il terzo motivo di ricorso, si addebita al Tribunale "di non aver valutato il caso concreto".
In particolare il Tribunale avrebbe violato l'art. 41 c.p. non avendo considerato che, ai fini della affermazione della natura professionale della malattia, sarebbe sufficiente provare il concorso causale dell'attività lavorativa sicché il diritto alla rendita potrebbe essere escluso solo quando vi sia un evento esterno che abbia carattere di causa efficiente esclusiva.
Anche questo motivo non può trovare accoglimento.
Come è noto - e come correttamente puntualizzato dalla difesa della Società-, ai fini penali il legislatore ha accolto il principio della ed. par condicio, in forza del quale ogni comportamento che si ponga come precedente nella verificazione della serie di accadimenti che si concludano poi con l'evento oggetto dell'addebito, deve ritenersi concausa - in senso giuridico - dello stesso, a meno che non intervenga un evento idoneo ad interrompere tale collegamento divenendo causa esclusiva dell'evento.
È anche noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, i principi in materia di rapporto causale tra fatto ed evento enunciati negli artt. 40 e 41 del codice penale, hanno rilevanza anche in tema di illecito civile.
L'applicazione di queste regole comporta che ogni qual volta venga accertata l'idoneità di un certo comportamento a produrre un determinato effetto, la concorrenza nella produzione di esso anche di altri comportamenti, non esclude il nesso di causalità e - dunque - la responsabilità penale o civile (a seconda dei casi). Il presupposto necessario per l'affermazione della responsabilità, tuttavia, resta pur sempre l'accertamento, da compiere in base ad un giudizio di probabilità ex ante, della idoneità della condotta umana a determinare le conseguenze verificatesi.
Qualora tale accertamento sia stato positivamente compiuto, l'applicazione dei principi enunciati negli artt. 40 e 41 c.p. comporta che: a) la responsabilità permane anche quando, alla condotta giudicata sufficiente a produrre l'evento, si affianchino altre condotte dotate astrattamente di eguale forza efficiente;b) la responsabilità è esclusa quando una condotta diversa da quella già individuata ed apprezzata nella sua idoneità ex ante alla produzione dell'evento, abbia interrotto il collegamento, divenendo autonomo fatto generatore del danno.
La corretta applicazione di tali principi, dunque, non può e non deve condurre alla affermazione della responsabilità in mancanza della prova positiva dell'efficienza causale del comportamento addebitato. Nella specie, la sentenza impugnata non ha negato il diritto alla rendita perché alla accertata idoneità morbigena delle mansioni si erano affiancati altri eventi idonei alla insorgenza della malattia medesima, ma per la ragione, pregiudiziale ed assorbente, che il ricorrente non aveva provato il nesso causale mansioni/malattia. L'accertamento del Tribunale, dunque, si è imperniato non sulla efficacia delle concause, ma sulla efficacia della condotta rispetto alla produzione dell'evento, ed è stato risolto su un piano antecedente rispetto alla invocata applicazione dell'art. 41 c.p.: infatti il Tribunale non si è limitato ad escludere la sussistenza del nesso di causalità tra fatto ed evento, ma ha accertato che il ricorrente aveva solo asserito la sussistenza di tale nesso ma non ne aveva fornito la prova. Con il quarto motivo di ricorso, il C addebita al Tribunale la violazione dell'art. 2103 c.c., oltre che difetto di motivazione, sostenendo che
l'espletamento, da parte sua, delle mansioni inerenti alla qualifica posseduta (conduttore), - espressione fra l'altro di un dovere di attribuzione da parte datoriale, correlato ad un corrispondente diritto del prestatore -, doveva, in buona sostanza, ritenersi presunto, sicché sarebbe spettato alla Società F.S. provare il contrario.
Sennonché, nel ragionamento sviluppato dal Giudice di merito, l'onere probatorio gravante sul dipendente non riguarda affatto la corrispondenza o meno delle mansioni espletate alla declaratoria della relativa qualifica, ma il fatto che la malattia sia stata contratta "in occasione" del loro espletamento. Dunque quando, come nel caso di specie, l'insorgenza della infermità sia stata collegata dal dipendente ad una particolare modalità di espletamento di quelle mansioni, costituisce onere dell'interessato provare proprio tali modalità (in tal senso, in ordine all'onere probatorio, v., ex plurimis, Cass. 24 aprile 1998 n. 4254). Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente torna sulla questione relativa alla prova della idoneità morbigena delle mansioni espletate, ed addebita al Tribunale di averla ingiustamente esclusa, benché il datore di lavoro avesse riconosciuto "la specificità del rischio" mediante la circolare n. 3/89, imponendo così al lavoratore una "prova diabolica". Sennonché, circa la infondatezza di tale censura, è sufficiente richiamare le argomentazioni adottate in relazione al primo motivo, concernenti la irrilevanza ai fini probatori della circolare n. 3/89 e del pregresso riconoscimento della causa di servizio.
Va solo soggiunto, per quanto riguarda la lamentata mancata acquisizione, da parte del Giudice a quo, del fascicolo sanitario del ricorrente, che l'ordine di esibizione, previsto dall'art. 210 c.p.c., costituisce un potere discrezionale del giudice di merito,
che può essere emesso solo quando il mezzo di prova sia indispensabile ai fini del giudizio (Cass. 4 settembre 1990 n. 9126) - circostanza, quest'ultima, negata dal Tribunale - e, comunque, non quando la produzione abbia fini puramente esplorativi (Cass. 12 aprile 1984 n. 2369). Il ricorso principale va, pertanto, rigettato.
Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.