Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 22/08/2018, n. 20926

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 22/08/2018, n. 20926
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20926
Data del deposito : 22 agosto 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente SENTENZA sul ricorso 23269-2013 proposto da: POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE

8, presso lo studio dell'avvocato M M, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
2018

- ricorrente -

1117

contro

B G, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

RENO

21, presso lo studio dell'avvocato R R, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2116/2013 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 15/04/2013 r.g.n. 9168/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/03/2018 dal Consigliere Dott. F G;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P M, che ha concluso per: accoglimento del terzo motivo, rigetto del resto;
udito l'Avvocato M M per delega verbale Avvocato M M;
udito l'avvocato R R. r.g. n. 23269/2013

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, in accoglimento del ricorso proposto da G B, ha dichiarato illegittimo il termine apposto al contratto di lavoro interinale intercorso tra il B e la Just on business s.p.a., ed ha dichiarato sussistente con Poste Italiane s.p.a., a decorrere dal 3.3.3003, un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con diritto dell'appellante ad essere inquadrato nel livello D del c.c.n.l. di categoria e condanna della società Poste a risarcire il danno commisurato alle retribuzioni non percepite dal 28.4.2008 alla data della sentenza.

2. La Corte territoriale, dopo aver accertato che erroneamente la sentenza di primo grado aveva ritenuto risolto per mutuo consenso il rapporto, in esito alla ricostruzione della normativa in materia di lavoro interinale, ha verificato che l'impresa utilizzatrice, che ne era onerata, non aveva provato che il contratto era stato concluso per far fronte ad una esigenza temporanea in uno dei casi previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Ha sottolineato che il riferimento contenuto nel solo contratto di fornitura di lavoro temporaneo ai "casi previsti dal CCNL" era insufficiente poiché al lavoratore deve essere consentito il controllo di veridicità delle ragioni giustificative. Inoltre la giustificazione offerta ex post dalla società (intensificazione attività di smistamento presso CMP di Fiumicino) avulsa da qualsiasi riferimento all'organico ed ai dati percentuali di aumento dell'attività, era comunque inidonea per verificare la corrispondenza tra l'impiego di quel lavoratore e la dedotta causale. Conseguentemente la Corte territoriale ha ritenuto applicabile il meccanismo sanzionatorio di cui all'art. 10 comma 1 della legge 24 giugno 1997 n. 196 e che, dunque, tra il lavoratore e la società utilizzatrice si fosse instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dalla cessazione del rapporto. Quanto alle conseguenze risarcitorie, poi, il giudice di appello ha escluso che al caso esaminato potesse trovare applicazione l'art. 32 comma 5 della legge 4 novembre 2010 n. 183 ed ha condannato la società Poste Italiane a risarcire il danno commisurandolo alle retribuzioni non percepite dalla costituzione in mora alla sentenza.

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso Poste Italiane s.p.a. affidandolo a tre motivi ai quali resiste con controricorso G B. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.r.g. n. 23269/2013

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell'art. 1372 cod. civ. e dell'art. 1175 cod. civ. in relazione all'art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc. civ. Rammenta la società ricorrente che a fronte di una breve durata del rapporto di lavoro che si era protratto per soli sei mesi, ricomprendendovi anche le proroghe, mentre il lavoratore aveva denunciato l'illegittimità del termine quando erano oramai trascorsi cinque anni. Tale comportamento inerte, privo di qualsivoglia giustificazione, sarebbe chiaramente rivelatore di un disinteresse alla prosecuzione del rapporto di lavoro che dunque avrebbe dovuto essere considerato risolto per mutuo consenso. La tipizzazione della condotta inerte quale espressione di una volontà abdicativa sarebbe stata consacrata, successivamente ai fatti esaminati, dal legislatore il quale, con l'art. 32 della legge n. 183 del 2010 ha assoggettato l'azione di nullità del termine a decadenze espressione del principio di correttezza e buona fede nello svolgimento dei rapporti contenuto all' art. 1175 cod. civ.. 4.1. Il motivo è infondato. La Corte territoriale si è attenuta ai principi ripetutamente affermati da questa Corte (cfr recentemente Cass. 01/03/2018 n. 4888) in base ai quali ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso - costituente una eccezione in senso stretto (Cass. 07/05/2009 n. 10526) il cui onere della prova grava evidentemente su colui che la eccepisce (Cass. 01/02/ 2010 n. 2279) - non è di per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l'impugnazione del termine ma è, piuttosto, necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (cfr., tra le altre, Cass. 17/3/2015 n. 5240, Cass. 28/1/2014 n. 1780, Cass. 11/3/2011 n. 5887, Cass. 4/8/2011 n. 16932, Cass. 18/11/2010 n. 23319, Cass. 15/11/2010 n. 23057). Tale orientamento è stato autorevolmente confermato da recente pronunzia di questa Corte resa a sezioni unite (Cass. Sezioni U. 21/102016 n. 21691), la quale ha ribadito che, per ritenere risolto il rapporto di lavoro sulla base di manifestazione tacita di volontà, occorre che la durata di tale comportamento omissivo sia particolarmente rilevante e che concorra con altri elementi convergenti, ad indicare, in modo univoco ed inequivoco, la volontà di estinguere ogni rapporto di lavoro tra le parti e precisato che il relativo giudizio attiene al merito della controversia.
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