Cass. pen., sez. I, sentenza 21/07/2020, n. 21794
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: B G nato a FORMIGINE il 27/06/1946 avverso la sentenza del 16/11/2018 della CORTE APPELLO di BOLOGNAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA ANNA SARACENO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore P C che ha concluso chiedendo Il Procuratore Generale conclude per il rigetto del ricorso udito il difensore L'avvocato A E in difesa di B G si riporta ai motivi del ricorso e insiste che venga riconosciuta la legittima difesa o in subordine l'eccesso col poso
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza, 21 dicembre 2017, con cui il Tribunale di Modena aveva dichiarato G B responsabile del tentato omicidio di L N, al cui indirizzo aveva esploso diversi colpi di arma da fuoco, attingendolo al viso, al torace, all'avambraccio destro, al secondo dito della mano sinistra e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la provocazione, lo aveva condannato alla pena di 3 anni 1 mese e 10 giorni di reclusione;
con le pene accessorie di legge e condanna, altresì, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore della parte civile costituita.
1.1. Questi i fatti all'origine della vicenda. Poco dopo la mezzanotte del 7 novembre 2009 il cittadino montenegrino, agendo in concorso con un complice, dopo aver aperto un varco nella saracinesca di circa 75 cm. di altezza x 67 cm. di larghezza, era penetrato all'interno del negozio di abbigliamento di proprietà del B, sito in Formigene alla via Mazzini civico 40 e posto sotto l'abitazione del titolare, ubicata al primo piano del medesimo stabile, con accesso dal civico n. 38 e non collegata in alcun modo al sottostante esercizio commerciale;
il B, che si trovava nella sua abitazione, allertato dallo scatto del primo allarme e acquisita certezza dell'avvenuta intrusione con lo scatto del secondo allarme, si era munito della pistola legittimamente detenuta, scendendo le scale aveva chiesto alla vicina di chiamare le forze dell'ordine, era uscito dal cancello delimitante l'area privata di ingresso allo stabile, era entrato su quella pubblica ed aveva ripetutamente sparato, esplodendo i primi colpi in aria o comunque non a bersaglio stabilito, ulteriori colpi all'indirizzo dell'autovettura dei ladri, attingendola sul montante posteriore sinistro e forando la ruota anteriore sinistra, con possibilità di fuga compromessa, quindi aveva indirizzato i colpi verso la vetrata del negozio a solo scopo intimidatorio e, infine, all'indirizzo del soggetto che ne era uscito.
1.2. Entrambi i giudici di merito ritenevano priva di pregio la tesi secondo cui doveva ravvisarsi, nella specie, la legittima difesa così come configurata a seguito della legge n. 59 del 2006. Era pacifico, infatti, che il B, al momento dell'accertata intrusione, si trovasse nella propria abitazione non raggiungibile dal locale sottostante, e che, pertanto, nessun pericolo per l'incolumità propria o della moglie fosse neppure astrattamente ipotizzabile;
nemmeno sussistevano i requisiti della legittima difesa di cui al primo comma dell'art. 52, per l'assoluta assenza di necessità per l'imputato di agire come aveva fatto, non essendo revocabile in dubbio che egli avesse la possibilità di determinarsi diversamente e tanto bastava ad escludere la cogenza assoluta di un comportamento scrinninabile;
la situazione dell'imputato era quella di accettazione di un pericolo che era evitabile e comunque arginabile in altri modi, così che non si poteva invocare l'autotutela legittima, né reale né putativa, e neppure l'eccesso colposo giacché l'eventuale alternativa conflittuale era stata deliberatamente e consapevolmente accettata.
1.3. La sentenza impugnata si faceva carico di confutare anche l'assunto secondo il quale l'ultimo segmento della condotta posta in essere dall'imputato, al momento dell'incontro con la vittima, doveva considerarsi scrinninato. La Corte, come già il giudice di primo grado, non dava credito alla versione del B, il quale aveva sostenuto che l'uomo che aveva visto uscire aveva fatto un salto ed egli aveva notato che aveva in mano qualcosa di nero che gli era parsa un'arma;
per tale ragione gli aveva sparato, cercando di colpire la mano con l'intenzione di disarmarlo ed era tornato a sparare quando lo aveva visto avanzare verso di lui con la mano protesa.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l'imputato a mezzo dei suoi difensori.
2.1 Con atto a firma dell'avvocato M S, denunzia: - violazione di legge in relazione all'art. 52 cod. pen. con riferimento al mancato riconoscimento della legittima difesa, reale o putativa, osservando: - quanto alla ritenuta volontaria e consapevole accettazione della situazione di pericolo, la sentenza impugnata aveva erroneamente anticipato il momento della valutazione, valorizzando il fatto che l'imputato aveva avuto contezza dell'illecita intrusione nel suo esercizio commerciale mentre era nella propria abitazione e certamente non versava in una situazione di pericolo. Nondimeno, una volta percepita un'aggressione all'interno della sua proprietà, era sua facoltà intervenire al fine di far desistere gli aggressori dal portare avanti un'azione delittuosa ai danni del proprio negozio e tale condotta non poteva essere interpretata come volontaria determinazione di una situazione di pericolo. Il B, infatti, portando con sé la pistola regolarmente detenuta, si era limitato ad esplodere più colpi a scopo meramente dissuasivo, sparando in aria, poi contro l'autovettura dei malviventi, infine contro la vetrata, nella certezza che nessuna deflagrazione vi sarebbe stata per la presenza di vetri antiproiettile;
la sentenza impugnata aveva invece erroneamente svalutato il momento dell'incontro tra sparatore e malvivente, giacché quando B aveva esploso gli ultimi due colpi all'indirizzo dell'intruso, versava in una situazione di pericolo, non volontariamente creata, ma determinata unicamente dal contegno aggressivo del L;- quanto alla esistenza del pericolo attuale di un'offesa ingiusta e alla necessità dell'intervento difensivo, la Corte di appello non aveva considerato che il L era uscito dal negozio con le mani in avanti all'altezza delle spalle, dirigendosi frontalmente verso B, anziché scappare, sebbene l'imputato gli avesse intimato di fermarsi, come dichiarato anche dal teste Schenetti;
l'assunto del B, ossia di aver visto nella mano del ladro un oggetto di colore nero, era compatibile con il successivo rinvenimento, nei pressi in cui il ferito era caduto, di un telefono cellulare e di un coltello;
il B si era visto affrontare da un malvivente che, per le connotazioni modali della condotta tenuta sino al momento del suo intervento, aveva già dato piena dimostrazione della sua capacità criminale;
il tutto si era svolto in una frazione di pochi secondi e senza soluzione di continuità;
i colpi erano stati sparati frontalmente, ossia solo quando l'imputato aveva avuto la percezione di essere in pericolo, vedendo l'uomo che gli piombava addosso con qualcosa in mano;
che il Ljunnovic fosse stato colpito in una posizione frontale rispetto al B e non già nel tentativo di fuggire verso destra, come sostenuto dai giudici di merito, era circostanza compatibile con i riscontri medico legali sui fori di ingresso e di uscita dei proiettili;
appena cessata l'aggressione, o la condotta come tale percepita, era cessato volontariamente l'utilizzo dell'arma che conteneva altri sei colpi nel caricatore. Si era in presenza, dunque, di plurimi elementi in base ai quali si sarebbe quanto meno dovuto riconoscere la legittima difesa putativa;
- violazione di legge in relazione all'art. 55 cod. pen., con riferimento all'esclusione della difesa eccedente;
data per certa l'intenzione di avvalersi dell'arma nei confronti del Ljunnovic solo a fini difensivi come comprovato da tutti gli elementi obiettivi valorizzati dalla difesa, ben poteva ritenersi l'eccesso colposo sotto il profilo della colposa sopravvalutazione del pericolo, tenuto conto del concreto contesto spazio-temporale dell'azione.
2.2 Con atto a firma dell'avvocato E A, il ricorrente invoca l'applicazione della nuova disciplina approvata in tema di legittima difesa, osservando che la L. 26 aprile 2019, n.36, ha esteso i margini di applicabilità della legittima difesa domiciliare, non solo prevedendo che è sempre proporzionato l'uso di un'arma legalmente detenuta per difendere, nell'ipotesi di violazione del domicilio, l'incolumità o i beni propri o altrui quando non vi sia desistenza e sussista un pericolo effettivo di aggressione, ma ha introdotto, con il quarto comma dell'art. 52, una presunzione iuris et de iure di tutti gli elementi costitutivi dell'esimente nei casi di violazione di domicilio aggravata. Le innovazioni normative garantiscono "appieno chi si difende nel proprio sacrosanto domicilio" e consentono di delegittimare tutti gli argomenti che la sentenza impugnata ha posto a sostegno del diniego della scriminate, giacché B, constatata la violazione violenta del proprio domicilio commerciale, ha utilizzato l'arma legalmente detenuta al fine di difendere la propria incolumità e
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA ANNA SARACENO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore P C che ha concluso chiedendo Il Procuratore Generale conclude per il rigetto del ricorso udito il difensore L'avvocato A E in difesa di B G si riporta ai motivi del ricorso e insiste che venga riconosciuta la legittima difesa o in subordine l'eccesso col poso
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza, 21 dicembre 2017, con cui il Tribunale di Modena aveva dichiarato G B responsabile del tentato omicidio di L N, al cui indirizzo aveva esploso diversi colpi di arma da fuoco, attingendolo al viso, al torace, all'avambraccio destro, al secondo dito della mano sinistra e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la provocazione, lo aveva condannato alla pena di 3 anni 1 mese e 10 giorni di reclusione;
con le pene accessorie di legge e condanna, altresì, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore della parte civile costituita.
1.1. Questi i fatti all'origine della vicenda. Poco dopo la mezzanotte del 7 novembre 2009 il cittadino montenegrino, agendo in concorso con un complice, dopo aver aperto un varco nella saracinesca di circa 75 cm. di altezza x 67 cm. di larghezza, era penetrato all'interno del negozio di abbigliamento di proprietà del B, sito in Formigene alla via Mazzini civico 40 e posto sotto l'abitazione del titolare, ubicata al primo piano del medesimo stabile, con accesso dal civico n. 38 e non collegata in alcun modo al sottostante esercizio commerciale;
il B, che si trovava nella sua abitazione, allertato dallo scatto del primo allarme e acquisita certezza dell'avvenuta intrusione con lo scatto del secondo allarme, si era munito della pistola legittimamente detenuta, scendendo le scale aveva chiesto alla vicina di chiamare le forze dell'ordine, era uscito dal cancello delimitante l'area privata di ingresso allo stabile, era entrato su quella pubblica ed aveva ripetutamente sparato, esplodendo i primi colpi in aria o comunque non a bersaglio stabilito, ulteriori colpi all'indirizzo dell'autovettura dei ladri, attingendola sul montante posteriore sinistro e forando la ruota anteriore sinistra, con possibilità di fuga compromessa, quindi aveva indirizzato i colpi verso la vetrata del negozio a solo scopo intimidatorio e, infine, all'indirizzo del soggetto che ne era uscito.
1.2. Entrambi i giudici di merito ritenevano priva di pregio la tesi secondo cui doveva ravvisarsi, nella specie, la legittima difesa così come configurata a seguito della legge n. 59 del 2006. Era pacifico, infatti, che il B, al momento dell'accertata intrusione, si trovasse nella propria abitazione non raggiungibile dal locale sottostante, e che, pertanto, nessun pericolo per l'incolumità propria o della moglie fosse neppure astrattamente ipotizzabile;
nemmeno sussistevano i requisiti della legittima difesa di cui al primo comma dell'art. 52, per l'assoluta assenza di necessità per l'imputato di agire come aveva fatto, non essendo revocabile in dubbio che egli avesse la possibilità di determinarsi diversamente e tanto bastava ad escludere la cogenza assoluta di un comportamento scrinninabile;
la situazione dell'imputato era quella di accettazione di un pericolo che era evitabile e comunque arginabile in altri modi, così che non si poteva invocare l'autotutela legittima, né reale né putativa, e neppure l'eccesso colposo giacché l'eventuale alternativa conflittuale era stata deliberatamente e consapevolmente accettata.
1.3. La sentenza impugnata si faceva carico di confutare anche l'assunto secondo il quale l'ultimo segmento della condotta posta in essere dall'imputato, al momento dell'incontro con la vittima, doveva considerarsi scrinninato. La Corte, come già il giudice di primo grado, non dava credito alla versione del B, il quale aveva sostenuto che l'uomo che aveva visto uscire aveva fatto un salto ed egli aveva notato che aveva in mano qualcosa di nero che gli era parsa un'arma;
per tale ragione gli aveva sparato, cercando di colpire la mano con l'intenzione di disarmarlo ed era tornato a sparare quando lo aveva visto avanzare verso di lui con la mano protesa.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l'imputato a mezzo dei suoi difensori.
2.1 Con atto a firma dell'avvocato M S, denunzia: - violazione di legge in relazione all'art. 52 cod. pen. con riferimento al mancato riconoscimento della legittima difesa, reale o putativa, osservando: - quanto alla ritenuta volontaria e consapevole accettazione della situazione di pericolo, la sentenza impugnata aveva erroneamente anticipato il momento della valutazione, valorizzando il fatto che l'imputato aveva avuto contezza dell'illecita intrusione nel suo esercizio commerciale mentre era nella propria abitazione e certamente non versava in una situazione di pericolo. Nondimeno, una volta percepita un'aggressione all'interno della sua proprietà, era sua facoltà intervenire al fine di far desistere gli aggressori dal portare avanti un'azione delittuosa ai danni del proprio negozio e tale condotta non poteva essere interpretata come volontaria determinazione di una situazione di pericolo. Il B, infatti, portando con sé la pistola regolarmente detenuta, si era limitato ad esplodere più colpi a scopo meramente dissuasivo, sparando in aria, poi contro l'autovettura dei malviventi, infine contro la vetrata, nella certezza che nessuna deflagrazione vi sarebbe stata per la presenza di vetri antiproiettile;
la sentenza impugnata aveva invece erroneamente svalutato il momento dell'incontro tra sparatore e malvivente, giacché quando B aveva esploso gli ultimi due colpi all'indirizzo dell'intruso, versava in una situazione di pericolo, non volontariamente creata, ma determinata unicamente dal contegno aggressivo del L;- quanto alla esistenza del pericolo attuale di un'offesa ingiusta e alla necessità dell'intervento difensivo, la Corte di appello non aveva considerato che il L era uscito dal negozio con le mani in avanti all'altezza delle spalle, dirigendosi frontalmente verso B, anziché scappare, sebbene l'imputato gli avesse intimato di fermarsi, come dichiarato anche dal teste Schenetti;
l'assunto del B, ossia di aver visto nella mano del ladro un oggetto di colore nero, era compatibile con il successivo rinvenimento, nei pressi in cui il ferito era caduto, di un telefono cellulare e di un coltello;
il B si era visto affrontare da un malvivente che, per le connotazioni modali della condotta tenuta sino al momento del suo intervento, aveva già dato piena dimostrazione della sua capacità criminale;
il tutto si era svolto in una frazione di pochi secondi e senza soluzione di continuità;
i colpi erano stati sparati frontalmente, ossia solo quando l'imputato aveva avuto la percezione di essere in pericolo, vedendo l'uomo che gli piombava addosso con qualcosa in mano;
che il Ljunnovic fosse stato colpito in una posizione frontale rispetto al B e non già nel tentativo di fuggire verso destra, come sostenuto dai giudici di merito, era circostanza compatibile con i riscontri medico legali sui fori di ingresso e di uscita dei proiettili;
appena cessata l'aggressione, o la condotta come tale percepita, era cessato volontariamente l'utilizzo dell'arma che conteneva altri sei colpi nel caricatore. Si era in presenza, dunque, di plurimi elementi in base ai quali si sarebbe quanto meno dovuto riconoscere la legittima difesa putativa;
- violazione di legge in relazione all'art. 55 cod. pen., con riferimento all'esclusione della difesa eccedente;
data per certa l'intenzione di avvalersi dell'arma nei confronti del Ljunnovic solo a fini difensivi come comprovato da tutti gli elementi obiettivi valorizzati dalla difesa, ben poteva ritenersi l'eccesso colposo sotto il profilo della colposa sopravvalutazione del pericolo, tenuto conto del concreto contesto spazio-temporale dell'azione.
2.2 Con atto a firma dell'avvocato E A, il ricorrente invoca l'applicazione della nuova disciplina approvata in tema di legittima difesa, osservando che la L. 26 aprile 2019, n.36, ha esteso i margini di applicabilità della legittima difesa domiciliare, non solo prevedendo che è sempre proporzionato l'uso di un'arma legalmente detenuta per difendere, nell'ipotesi di violazione del domicilio, l'incolumità o i beni propri o altrui quando non vi sia desistenza e sussista un pericolo effettivo di aggressione, ma ha introdotto, con il quarto comma dell'art. 52, una presunzione iuris et de iure di tutti gli elementi costitutivi dell'esimente nei casi di violazione di domicilio aggravata. Le innovazioni normative garantiscono "appieno chi si difende nel proprio sacrosanto domicilio" e consentono di delegittimare tutti gli argomenti che la sentenza impugnata ha posto a sostegno del diniego della scriminate, giacché B, constatata la violazione violenta del proprio domicilio commerciale, ha utilizzato l'arma legalmente detenuta al fine di difendere la propria incolumità e
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