Cass. civ., sez. III, sentenza 24/03/2004, n. 5842
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In tema di demanio marittimo, l'art. 49 cod. nav., nello stabilire, con riferimento ai beni edificati su suolo demaniale in concessione, che in mancanza di diversa previsione alla scadenza di quest'ultima le opere non amovibili restano acquisite allo Stato, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione, da un canto costituisce espressione del generale principio dell'accessione di cui all'art. 934 cod. civ., e, d'altro canto, deroga al disposto del successivo art. 936, che riconosce il diritto all'indennizzo per il costruttore in caso di ritenzione delle opere da parte del proprietario); e va interpretato (atteso che il c.d. "rinnovo" è propriamente una nuova concessione, in quanto la scadenza del termine ne comporta l'automatica estinzione con conseguente insorgenza per l'Amministrazione del dovere di provvedere autonomamente al riguardo, sia pure nel rispetto dell'eventuale diritto di preferenza eventualmente spettante al precedente concessionario ai sensi dell'art. 37, terzo comma, cod. nav.) nel senso che tale accessione si verifica, "ipso iure", al termine del periodo di concessione.
La concessione amministrativa su beni demaniali o su beni indisponibili, al di fuori dei casi in cui la legge, esplicitamente o attraverso la specifica regolamentazione adottata, abbia predeterminato la natura del diritto conferito al concessionario, non attribuisce necessariamente a quest'ultimo diritti di consistenza reale, ma può attribuire anche diritti assimilabili a quelli personali di godimento non esclusi della previsione dell'art. 823 cod. civ. e pienamente compatibili con i poteri d'imperio dell'ente concedente a tutela dell'interesse pubblico. Peraltro, al fine di stabilire nel singolo caso se a favore del concessionario sia stato costituito un diritto di natura reale o personale, occorre accertare, con indagine da compiersi dal giudice del merito secondo i normali criteri di interpretazione dei contratti e degli atti amministrativi, l'effettiva e concreta consistenza di quel diritto sulla base dell'intero contenuto della convenzione e delle sue clausole, nonché del provvedimento amministrativo di concessione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 24753/2000
Dott. N G - Presidente -
Dott. V P - Consigliere -
Dott. P L R - Consigliere -
Dott. P I - rel. Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INCREMENTUR IONICA SAS, in persona del suo legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA VIA A TRAVERSARI 55, presso lo studio dell'avvocato G M, difesa dall'avvocato F C, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell'avvocato G B che la difende giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
FLORA DI BOVA GIUSEPPA &C SAS, CONSORTILE JONICA SRL;
- intimati -
e sul 2^ ricorso n. 21813/00 proposto da:
FLORA DI BOVA GIUSEPPA &C SAS (già Flora di Bova Angela &C. Sas) con sede in Roccella Jonica, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI CONDOTTI 9, presso lo studio dell'avvocato A P, che la difende, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente della Giunta pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell'avvocato G B che la difende giusta delega in atti;
- controricorrente al ricorso incidentale -
e contro
CONSORTILE JONICA SRL, INCREMENTUR JONICA SAS;
- intimati -
e sul 3^ ricorso n. 24753/00 proposto da:
INCREMENTUR IONICA SAS, in persona del suo legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA VIA A TRAVERSASI 55, presso lo studio dell'avvocato G M, difesa dall'avvocato F C, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
REGIONE CALABRIA, FLORA DI BOVA GIUSEPPE &C SAS, CONSORTILE JONICA SRL;
- intimati -
e sul 4^ ricorso n. 01/01/4262 proposto da:
CONSORTILE JONICA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MORDINI 14, presso lo studio dell'avvocato ALDO ASSISI, che la difende anche disgiuntamente all'avvocato ANTONIO MAZZONE, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
FLORA DI BOVA GIUSEPPA &C SAS, REGIONE CALABRIA, INCREMENTUR IONICA SAS;
- intimati -
avverso la sentenza n. 119/99 della Corte d'Appello di REGGIO CALABRIA, emessa l'08/07/99 e depositata il 05/08/99 (R.G. 243/96);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/03 dal Consigliere Dott. Italo PURCARO;
udito l'Avvocato Francesco CIANFLONE;
udito l'Avvocato Giuseppe BERNARDI;
udito l'Avvocato Renato Piero BIASCI (per delega Avv. Alessandro PICOZZI);
udito l'Avvocato Aldo ASSISI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso FLORA e dei ricorsi INCREMENTUR e l'assorbimento del ricorso incidentale CONSORTILE.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 18 dicembre 1993, la società Flora s.a.s. convenne in giudizio, davanti al tribunale di Locri, la Regione Calabria e la società Consortile Ionica, per sentirle condannare al risarcimento dei danni ad essa istante derivanti dalla distruzione della sua struttura balneare, ad opera di eventi imputabili ad esse convenute. Espose: a) di essere concessionaria da oltre 30 anni di un tratto di arenile in Roccella Ionica, sul quale aveva realizzato e sempre più incrementato e migliorato una grande struttura per la balneazione e la ristorazione, con ritrovo notturno, nota e famosa in tutta la riviera ionica;b) che, nei giorni tra il 26 ed il 29 novembre 1993, la struttura era stata distrutta da una mareggiata di modesta entità;c) che l'evento era imputabile alla alterazione dell'andamento della linea del litorale determinata dalla recente costruzione del locale porto turistico, ad opera della società Consortile ionica, a seguito di appalto concesso dalla Regione Calabria. Concluse, pertanto, chiedendo la condanna delle convenute al risarcimento dei danni consistenti nel costo per il ripristino delle strumentalità aziendali, nonché nell'ammontare dei canoni da corrispondere al Demanio e nel lucro cessante per il periodo necessario a ripristinare la struttura andata distrutta, oltre alla esecuzione delle opere necessarie a far cessare l'abnorme erosione della costa;il tutto da accertarsi mediante consulenza.
Le convenute, costituitesi in giudizio, resistettero alla domanda, negando la legittimazione dell'attrice, atteso che la concessione era scaduta nel 1993 e le strutture realizzate appartenevano al Demanio, e contestando, nel inerito, l'esistenza di un nesso di causalità tra la costruzione del porto ed il danno lamentato.
Con separato atto, notificato in data 3 novembre 1994, la s.a.s. Incrementur Jonica, lamentando analoghi danni subiti dal proprio stabilimento balneare "La Calura", ubicato in Roccella Ionica, a seguito di una mareggiata in data 20 ottobre 1994 protrattasi per più giorni, citò la Regione Calabria a comparire davanti al tribunale di Locri per ottenerne la condanna al risarcimento, nella misura che sarebbe stata accertata.
La Regione Calabria si costituì nuovamente in giudizio contestando la domanda.
Disposta la riunione dei due procedimenti, il tribunale adito, con sentenza 29 maggio 1996, rigettò le domande attoree, dichiarando compensate le spese del giudizio.
Proposto appello da entrambe le soccombenti e costituitesi le appellate, la corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata in data 5 agosto 1999, rigettò entrambi i gravami. Per la cassazione della menzionata sentenza ha proposto ricorso la società Incrementur Jonica s.a.s., cui hanno resistito con controricorso la Regione Calabria, le società Consortile Ionica e Flora, le quali ultime, dal loro canto, hanno proposto ricorso incidentale.
La ricorrente principale e la controricorrente Regione Calabria hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Va disposta, preliminarmente, la riunione ex art. 335 c.p.c. dei tre ricorsi, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza.
2) Con l'unico motivo la ricorrente principale Incrementur Jonica denuncia l'errata e falsa applicazione della normativa di cui agli artt. 832, 936, 2043 c.c. e art. 100 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), atteso che la decisione impugnata fondava il suo convincimento su di un presupposto di diritto del tutto erroneo, e cioè sul fatto che essa istante non fosse la proprietaria dei beni danneggiati dalle mareggiate di cui all'atto di citazione bensì soltanto concessionaria di detti beni. Tale convincimento, però, era errato sotto due profili. Era emerso, in primo luogo, dalla documentazione prodotta nei due gradi del giudizio, che l'odierna ricorrente era stata formalmente autorizzata con il provvedimento di concessione demaniale a realizzare sul suolo ad essa concesso uno stabilimento balneare, in effetti poi realizzato, tanto che sul piano catastale il fabbricato risultava intestato alla ricorrente ed era stato anche sanato ai sensi dell'ultimo condono. Era evidente, pertanto, che non vi era stata alcuna "accessione" delle opere edilizie realizzate a suo tempo dall'incrementur s.a.s. al suolo di appartenenza del demanio marittimo, in quanto ognuna delle due parti aveva mantenuto i propri diritti sulle opere e sul suolo di rispettiva proprietà. Di conseguenza, non era revocabile in dubbio che l'odierna ricorrente fosse sicuramente legittimata a pretendere il risarcimento per il danno subito e, quindi, era legittimata ad agire nel giudizio de quo. In secondo luogo, anche se si fosse ritenuto che i beni danneggiati dalle mareggiate non erano di proprietà della ricorrente, la legittimazione ad agire derivava dalla qualità di "concessionario" del suolo e delle opere su questo insistenti, circostanza che legittimava di per se sola la Incrementur Jonica ad agire contro terzi per il risarcimento del danno subito.
Il motivo è infondato.
Con riferimento alla prima parte della censura, si osserva che, con una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, il ricorso per cassazione - in ragione del principio, deducibile dalla previsione di cui all'art. 366 n. 4 c.p.c., di cosiddetta autosufficienza dello stesso - deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere - particolarmente nel caso in cui si tratti di interpretare il contenuto di una scrittura di parte - a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (ex plurimis, Cass. 13 settembre 1999, n. 9734, Cass. 17 giugno 1995 n. 6863, 25 maggio 1995 n. 5742, 12 agosto 1994 n. 7392). Il che preclude, quindi, la possibilità di un esame diretto e completo della documentazione di cui al giudizio di merito, peraltro solo genericamente menzionata dalla ricorrente, la quale doveva, necessariamente, trascrivere in ricorso il contenuto dei documenti più rilevanti, allo scopo di porre questa Corte nelle condizioni di apprezzare la rilevanza e pertinenza ai fini del decidere, delle critiche mosse alla sentenza gravata.
Resta, quindi, l'insindacabile apprezzamento di fatto del giudice di merito, secondo cui dalla documentazione in atti risultava che la società appellante era stata autorizzata ad impiantare uno stabilimento balneare fisso su terreno demaniale, con successive concessioni di utilizzo dello stabilimento costruito fino al 20 marzo 1968. Successivamente una parte del terreno (corrispondente al primo piano dello stabilimento) era stata sdemanializzata, mentre la rimanente parte era rimasta di proprietà del Demanio;non risultava, peraltro, essersi mai proceduto alla vendita alla Incrementur Jonica della parte sdemanializzata, per cui, non risultando la ricorrente proprietaria delle strutture immobiliari (al riguardo, correttamente il giudice di merito ha posto in luce l'assoluta irrilevanza dei certificati catastali, atteso che la prova della proprietà di beni immobili non può essere fornita con la produzione dei certificati catastali, i quali sono soltanto elementi sussidiari in materia di regolamento di confinì ai sensi dell'art. 950 c.c.) la relativa domanda risarcitoria andava respinta.
Per quanto concerne la seconda parte del motivo, è sufficiente rilevare che, posto che la domanda risarcitoria dell'odierna ricorrente, siccome è dato evincere dalla sentenza impugnata, era fondata esclusivamente in riferimento alla sua qualità di proprietaria dei beni andati distrutti, una volta venuto meno tale presupposto, diventa del tutto irrilevante la circostanza dedotta della titolarità della concessione.
3) Con il primo motivo, la ricorrente incidentale società Flora, lamentando violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c. - art. 2043 c.c.), deduce che la sentenza impugnata era viziata da un evidente
errore di diritto, per avere la sentenza medesima negato la tutela risarcitoria e, quindi, la legittimazione attiva di essa ricorrente, concessionaria di un bene demaniale, e ciò sul presupposto che essa istante non era proprietaria delle strutture immobiliari in concessione. Peraltro, tale assunto trovava puntuale smentita nella giurisprudenza della corte di legittimità, che affermava la risarcibilità del danno, e la conseguente legittimazione attiva del concessionario, sul presupposto della natura di "diritto di godimento del bene assimilabile a un diritto reale parziario". L'erroneità della qualificazione giuridica operata dal giudice di appello emergeva anche alla luce dei principi di diritto fissati in materia risarcitoria dalla sentenza della S.C. n. 500/1999. Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale soc. Flora denunzia omessa, insufficiente, e contraddittoria motivazione, deducendo: a) che era erronea la tesi della corte di merito, secondo cui l'uso dei beni aveva carattere precario, non essendo stata valutata la circostanza che la concessione veniva rilasciata all'attrice da oltre trenta anni e che, in mancanza di precisi presupposti, espressamente indicati dall'art. 42, 2^ comma, cod. nav., insussistenti nella fattispecie concreta, la concessione stessa non avrebbe potuto essere revocata, vantando, tra l'altro, essa concessionaria "il diritto di insistenza" di cui all'art. 37, 2^ comma, cod. nav.;b) non era stata data alcuna giustificazione in ordine alla apodittica affermazione secondo cui, contrariamente alla realtà e alla comune sensibilità giuridica, l'avviamento sarebbe incompatibile con il regime demaniale, posto che sul punto il giudice di merito non aveva indicato gli elementi dai quali aveva tratto il proprio (erroneo) convincimento, incorrendo così nel vizio di omessa motivazione;c) la motivazione della sentenza appariva, altresì, viziata e insoddisfacente nella parte in cui aveva ritenuto che il valore dell'azienda non era stato oggetto di specifiche richieste istruttorie, laddove l'ammontare dei danni subiti dalla ricorrente società era stato indicato, fin dalla introduzione del giudizio, e non contestato, in relazione alle caratteristiche strutturali del bene oggetto della concessione;d) sussisteva un ulteriore vizio logico della motivazione nella parte in cui si affermava che il danno non era risarcibile in quanto la concessione si era estinta, in virtù del lamentato evento dannoso, sin dal 29 novembre 1993, laddove la ricorrente aveva dedotto che proprio in conseguenza del fatto illecito altrui il proprio stabilimento era stato distrutto ed invaso dal mare territoriale e che tale circostanza aveva comportato quale ulteriore conseguenza l'estinzione della concessione. Era evidente che, in difetto del fatto illecito altrui, la concessione sarebbe giunta alla prevista scadenza e, quindi, rinnovata consentendo il proseguimento della trentennale attività. Il danno consisteva proprio nell'aver impedito il proseguimento dell'impresa. Il primo motivo e la censura sub a) del secondo motivo, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. Le doglianze non meritano accoglimento.
Si osserva, in generale, come sia del tutto pacifico il principio secondo cui, conferito da parte del Demanio al concessionario un bene di natura demaniale, tale circostanza non attribuisce necessariamente al concessionario medesimo diritti di consistenza reale, ma può attribuire anche diritti assimilabili a quelli personali di godimento non esclusi della previsione dell'art. 823 cod. civ. e pienamente compatibili con i poteri d'imperio dell'ente concedente a tutela dell'interesse pubblico. Peraltro, ai fini di stabilire nei singoli casi se a favore del concessionario sia stato costituito un diritto di natura reale o personale, occorre accertare, con indagine da compiersi dal giudice del merito secondo i normali criteri di interpretazione dei contratti e degli atti amministrativi, l'effettiva e concreta consistenza di quel diritto sulla base dell'intero contenuto della convenzione e delle sue clausole, nonché del provvedimento amministrativo di concessione.
Per quanto concerne, poi, in particolare i beni del demanio marittimo, l'art. 49 cod. nav. statuisce, a proposito dei beni edificati su suolo demaniale in concessione, che - salva diversa previsione dell'atto di concessione - "quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato", così confermandosi da un lato il principio generale dell'accessione al suolo di quanto su di esso costruito, enunciato dall'art. 934 c.c., e dall'altro derogandosi al disposto dell'art. 936 c.c., che riconosce un indennizzo al costruttore delle opere ove il proprietario voglia ritenerle.
Detto art. 49, in relazione al principio secondo il quale il cosiddetto rinnovo della concessione è, in effetti, una nuova concessione, in quanto la scadenza del termine ne comporta l'estinzione ed il dovere dell'Amministrazione di riprovvedervi in via autonoma, sia pure nel rispetto dell'eventuale diritto di preferenza in taluni casi riconosciuto al precedente concessionario (art. 37, terzo comma, cod. nav.) va interpretrato nel senso che l'accessione in favore dell'Amministrazione delle opere non amovibili costruite sul suolo del demanio marittimo si verifica al termine del periodo di concessione durante il quale le opere furono costruite e tale acquisto si compie in modo automatico, per il solo fatto della scadenza della concessione (Cons. Stato 5 maggio 1995, n. 406). Orbene, nel caso di specie, la corte distrettuale ha fatto puntuale applicazione di tali principi di diritto, pervenendo alla conclusione, attraverso l'esame dello atto di concessione - convenzione, che, contrariamente alle deduzioni dall'appellante, non esisteva, a favore della concessionaria, alcun diritto reale di godimento o di uso dei beni immobiliari in concessione, in quanto l'uso di tali beni, già devoluti allo Stato ex art. 49 cod. nav., aveva carattere precario, essendo esso tra l'altro, annuale (sempre revocabile a discrezione dell'Amministrazione) e gravato solo da doveri a totale carico della ditta (manutenzione ordinaria e straordinaria).
In proposito, è appena il caso di rilevare che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questo Supremo Collegio, l'interpretazione del contratto, così nel suo complesso come in ciascuna sua singola clausola, essendo diretta a determinare una realtà storica ed oggettiva qual è la comune intenzione delle parti contraenti, è tipico accertamento di fatto, come tale istituzionalmente riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità unicamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. e per vizi di motivazione. Nessuno dei suindicati profili, con riferimento al provvedimento amministrativo di concessione ed alle clausole della relativa convenzione, risulta sindacato dalla ricorrente. Passando all'esame delle residue censure del secondo motivo, si osserva quanto segue.
La censura sub b) è inammissibile.
Giusta il costante insegnamento giurisprudenziale di questo S.C., che nella specie deve trovare ulteriore conferma, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario - per giungere alla cassazione della pronunzia - non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso dell'impugnazione. Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni.
Pacifico quanto precede si osserva che, nella specie, mentre il giudice del merito ha posto a fondamento della raggiunta conclusione, quanto al rigetto della domanda di danni concernente l'avviamento, oltre l'incompatibilità di questo ultimo con il regime demaniale, "la mancata richiesta di prova specifica sul punto" (vds. sentenza pag. 8), soltanto la prima delle suindicate rationes decidendi è stata impugnata.
In ordine alle circostanze oggetto della doglianza sub c), si rileva che, quando, con il ricorso per cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., si denunzia il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per asserita omessa o erronea valutazione di alcune risultanze processuali, è necessario, in virtù del principio d'autosufficienza del ricorso per cassazione, che il ricorrente specifichi in quali precisi termini la relativa questione sia stata prospettata nell'atto di appello, riportando la parte del motivo di gravame non presa in esame dal giudice di appello. È palese, quindi, alla luce delle considerazioni svolte sopra, che parte ricorrente non poteva limitarsi a fare riferimento alle dedotte ammissioni dei convenuti, non valutate o malamente valutate dai giudici a quibus, ma doveva, eventualmente, trascrivere in ricorso il loro contenuto, allo scopo di porre questa Corte nelle condizioni di apprezzarne la rilevanza e pertinenza ai fini del decidere.
Relativamente, infine, alla censura sub d), l'ulteriore affermazione del giudice di merito (secondo cui, nonostante che la concessione scadesse il 31 dicembre 1993, essa, ai sensi del terzo comma dell'art. 44 cod. nav., doveva ritenersi estinta fin dal 29 novembre 1993, data dell'evento distruttivo che aveva trasformato tali beni in mare territoriale, con la conseguenza che alla data del 12 dicembre 1993, corrispondente alla notifica del decreto di citazione, l'appellante non aveva alcun titolo per una azione di danni) costituisce un obiter dictum, come tale non decisivo ai fini della decisione, essendo assorbente al riguardo la precedente statuizione, contenuta nella sentenza, relativa alla carenza di qualsiasi diritto a favore del concessionario, anche durante la vigenza della concessione. Non senza considerare che l'estinguersi della concessione in conseguenza dell'evento per cui è causa non impediva certo alla concessionaria di chiedere all'amministrazione demaniale il rilascio di una nuova concessione, rilascio che non risulta sia stato richiesto. Da qui l'inconferenza della proposta doglianza. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere rigettati. 4) Il controricorso della società Consortile Jonica contiene, in calce, la seguente testuale richiesta: "In via incidentale voglia dichiarare inammissibile la domanda mutata in appello e nel presenta ricorso".
Tale ricorso incidentale va, con ogni evidenza, dichiarato inammissibile, per assoluta genericità, atteso che lo stesso non soddisfa il requisito di cui all'art. 366, n. 4, c.p.c., che prescrive l'indicazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.