Cass. civ., sez. V trib., sentenza 15/11/2007, n. 23691

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Massime1

Ferma l'operativita' dei principi giuridici sui rapporti di conto corrente e sulla tassazione delle poste ad esso collegate, che siano maturate anche solo in via scritturale su quei conti, in relazione ai quali operano i principi relativi alla tassazione degli interessi e dei rendimenti, il giudice tributario ha il potere-dovere di accertare la regolarita' di quei riconoscimenti di credito (quand'anche il pagamento sia divenuto impossibile per la sopravvenuta insolvenza del debitore) rispetto al caso, limite senza dubbio, ma possibile e verificabile, della dolosa e preordinata scritturazione fittizia, finalizzata soltanto alla frode criminale in danno del creditore, cio' che rende inesistente sia il preteso accrescimento di valore del credito apparentemente riconosciuto sia l'atto negoziale di riconoscimento del debito, per l'interruzione di quel rapporto contrattuale, per l'abnorme operare del debitore-intermediario truffatore. In tali casi, infatti, venendo meno ogni indice di specifica capacita' contributiva, per avere il contribuente subito un danno economico, lo strumento truffaldino, costituito dalle fittizie annotazioni scritturali, non puo' costituire l'elemento di prova di quel sostrato economico che e' stato, appunto, distrutto dall'attivita' criminosa ed e', percio', divenuto economicamente e giuridicamente inesistente. *Massima redatta dal Servizio di documentazione economica e tributaria.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 15/11/2007, n. 23691
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23691
Data del deposito : 15 novembre 2007
Fonte ufficiale :

Testo completo

 Rilevato che, a seguito del dissesto dell'intermediario finanziario
abusivo signor C.M. di Genova e delle indagini conseguenti, la G.d.F.
accertava che la contribuente in epigrafe aveva versato, in piu' riprese,
alcune somme di denaro a fronte dei quali versamenti, investiti all'estero
per mezzo di una societa' con sede alle Isole Vergini e con stabile
organizzazione occulta in Genova, presso lo studio dell'intermediario
menzionato, erano stati annotati presunti accrediti da parte di
quest'ultimo, consistenti in piccole somme disposte a titolo di
remunerazione del capitale investito (mentre, sui piu' rilevanti importi
costituenti il capitale affidato all'intermediario, la contribuente si
sarebbe insinuata al passivo del fallimento dell'operatore finanziario);
che l'Ufficio delle Entrate di Genova ha recuperato a tassazione gli
importi annotati come accrediti alla contribuente, quali rendimenti
periodici del capitale investito presso l'intermediario;
che la destinataria ha impugnato tale atto, davanti alla CTP di Genova,
sostenendo di non aver mai percepito tali importi, come dimostrato
dall'istanza di insinuazione anche di tali voci al passivo del fallimento, e
che - in ogni caso - mancherebbe la prova della riscossione delle stesse;
che la CTP accoglieva il ricorso, rilevando il difetto di prova in
ordine alla effettiva riscossione delle dette somme;
che l'Ufficio ha appellato tale decisione, criticando il mancato rilievo
della presunzione posta dall'art. 42, c. 2, d.P.R. n. 917 del 1986, in
ordine agli interessi maturati, per i quali scatterebbe una inversione
dell'onere probatorio, posto a carico della contribuente;
che la C.T.R. ha respinto l'appello dell'Agenzia sulla base della
considerazione che "le scritturazioni rivenute dalla GdF servivano solo a
mettere in atto la truffa (accertata in sede penale) e la mera indicazione
degli interessi, peraltro non liquidati, solo a dimostrare fittiziamente il
buon rendimento del capitale versato dalla contribuente incauta
investitrice, non solo non ha percepito interessi, ma perduto pure il
capitale";
che Ministero e Agenzia hanno proposto ricorso per cassazione affidato
ad un unico motivo, contro il quale resiste la contribuente, con
controricorso;
che con il detto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione
degli artt. 41 e 42 d.P.R. n. 917 del 1986, 115 e 116 c.p.c. e 1823 e 1825
c.c., oltre vizi motivazionali;
che, secondo tale censura, tra l'intermediario e la
contribuente-risparmiatrice si era stabilito un rapporto di conto corrente,
per mezzo del quale il primo si costituiva come debitore della seconda delle
somme indicate come rendimenti o interessi maturati, che, pertanto, dovevano
considerarsi come percepiti e, quindi,pienamente tassabili, senza che fosse
rilevante o dimostrato la natura fittizia di quelle annotazioni;
che, rispetto a tale doglianza, il PG ha chiesto che la Corte, ai sensi
dell'art. 375 c.p.c., respinga il ricorso per essere manifestamente
infondato;
che tale conclusione puo' essere condivisa, con riguardo al ricorso
proposto dall'Agenzia delle Entrate.
Considerato infatti che, preliminarmente, il ricorso del Ministero delle
finanze e' inammissibile, perche' nel giudizio di secondo grado era parte
l'Agenzia delle Entrate (con un suo ufficio periferico);
che il ricorso dell'Agenzia e' manifestamente infondato, perche' critica
la decisione impugnata nella ricostruzione del carattere fittizio delle
annotazioni, riguardanti i presunti accrediti di interessi e premi maturati
dall'intermediario finanziario, scritture ricondotte, mediante rinvio
motivazionale, all'accertamento operato dalla sentenza penale che quei fatti
ha accertato, come reato;
che tale ricostruzione fattuale, e' immune da vizi logici e non e'
puntualmente fatta oggetto di critica da parte della ricorrente;
che essa, inoltre, non puo' essere considerata in contrasto con i
principi giuridici elaborati da questa Corte;
che, infatti, con riferimento ad altra fattispecie analoga a quella in
esame, questa stessa sezione ha stabilito, nella Sentenza n. 22772 del 2006,
il principio secondo il quale, e' corretta la sentenza di merito che abbia
negato la possibilita' di qualificare come redditi di capitale o derivanti
da operazioni speculative, ai sensi degli artt. 41 e 76 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 597, gli importi riscossi a titolo di prelievo automatico
garantito previsto da un programma d'investimento sottoscritto dal
contribuente e rivelatosi in seguito una truffa (il quale prevedeva
l'acquisto di azioni o quote di societa' del gruppo facente capo alla
societa' fiduciaria, con l'impegno di societa' esterne a riacquistare
successivamente le medesime azioni o quote a prezzi maggiorati, nonche' a
sborsare i predetti prelievi a titolo di anticipazione sui rimborsi dovuti
per la futura vendita dei titoli);
che, secondo tale pronuncia, tali attribuzioni patrimoniali che, in
quanto non ricollegabili ad un'operazione speculativa i cui risultati finali
si fossero rivelati sfavorevoli per vicende successive alla stipulazione del
contratto (quali la situazione di mercato o errori nella conduzione
dell'affare), per essere invece collegati ad una vera e propria attivita'
fraudolenta, essendo l'intera operazione riconducibile addirittura ad
un'ipotesi di reato, costituiscono, fin dall'origine, un risarcimento del
danno derivante da illecito extracontrattuale;
che, nel caso esaminato, i ricorrenti sostengono che le somme, solo
scritturalmente maturate dalla contribuente, siano state effettivamente
percepite dalla creditrice, mentre la sentenza, sia pure con una concisa
motivazione, ne ha affermato il carattere fittizio collegato alla frode
posta in essere dallo pseudo-intermediario, cosi' come accertata da una
sentenza penale non contestata ne' messa in discussione dalla stessa
ricorrente;
che, in buona sostanza, ferma l'operativita' dei principi giuridici sui
rapporti di conto corrente e sulla tassazione delle poste ad esso collegate,
che siano maturate anche solo in via scritturale su quei conti, in relazione
ai quali operano i principi relativi alla tassazione degli interessi e dei
rendimenti, il giudice tributario ha il potere-dovere di accertare la
regolarita' di quei riconoscimenti di credito (quand'anche il pagamento sia
divenuto impossibile per la sopravvenuta insolvenza del debitore) rispetto
al caso, limite senza dubbio, ma possibile e verificabile, della dolosa e
preordinata scritturazione fittizia, finalizzata soltanto alla frode
criminale in danno del creditore, cio' che rende inesistente sia il preteso
accrescimento di valore del credito apparentemente riconosciuto sia l'atto
negoziale di riconoscimento del debito, per l'interruzione di quel rapporto
contrattuale, per l'abnorme operare del debitore-intermediario truffatore;
che, in tali casi, infatti, venendo meno ogni indice di specifica
capacita' contributiva, per avere il contribuente subito un danno economico,
lo strumento truffaldino, costituito dalle fittizie annotazioni scritturali,
non puo' costituire l'elemento di prova di quel sostrato economico che e'
stato, appunto, distrutto dall'attivita' criminosa ed e', percio', divenuto
economicamente e giuridicamente inesistente;
che, pertanto, la sentenza impugnata, siccome immune da vizi logici e
giuridici, per essere stata resa in continuita' con la menzionata regula
iuris, deve essere confermata, sia pure con le dette integrazioni
motivazionali;
che le spese vanno compensate, data la peculiarita' della vicenda e la
recentissima formazione del principio giurisprudenziale utile alla soluzione
del caso.
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