Cass. pen., sez. VI, sentenza 16/07/2021, n. 27704

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 16/07/2021, n. 27704
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 27704
Data del deposito : 16 luglio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Società cooperativa a r.l. "Gli Angeli" in persona del suo legale rappresentante V L, nato a Monte Sant'Angelo il 15/06/1961 avverso il decreto del 03/12/2020 emesso dalla Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere R A;
lette la memoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L O, depositata ai sensi dell'art.23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n.137, convertito dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso per l'annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Bari, sezione misure di prevenzione, con il provvedimento impugnato ha confermato il decreto di rigetto emesso dal Tribunale di Bari in data 8 ottobre 2020 dell'istanza avanzata ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. Codice Antimafia), dalla detta società per l'applicazione nei suoi confronti della misura del controllo giudiziario a seguito dell'interdittiva antimafia emessa a suo carico ed oggetto di impugnazione davanti al giudice amministrativo.

2. Con il proprio ricorso, la ricorrente ha impugnato il decreto di rigetto della istanza di sottoposizione della società "Gli Angeli coop. a r.l.". alla misura di prevenzione del controllo giudiziario, regolata dall'art. 34 -bis del citato Codice antimafia, deducendo i motivi di seguito indicati.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge sotto il profilo della illogicità della interpretazione della normativa di riferimento seguita dalla Corte di appello, che dopo avere escluso la sussistenza di elementi sintomatici della contaminazione mafiosa della cooperativa, perché basata su dati inconferenti privi di valore dimostrativo del pericolo di infiltrazione e/o di condizionamento delle scelte imprenditoriali, ha ritenuto che in assenza del presupposto dell'agevolazione occasionale mafiosa mancherebbe anche la base su cui formulare il giudizio prognostico in ordine alla capacità dell'impresa di svolgere una adeguata ed idonea azione di bonifica. La irragionevolezza di tale interpretazione normativa conduce al paradosso che la richiesta di controllo giudiziario viene ad essere negata non perché la società non sia considerata idonea ad affrancarsi da rischio di ingerenze mafiose nell'amministrazione, ma per l'assenza già in radice di un tale rischio. In tal modo la decisione della Corte di appello ha di fatto travalicato i limiti della propria giurisdizione, non essendo di sua spettanza la verifica del pericolo di infiltrazione mafiosa, già implicito nell'interdittiva antimafia disposta dal Prefetto ed impugnata davanti al giudice amministrativo. In particolare, si censura l'interpretazione della normativa seguita dalla Corte di appello che ne riduce l'ambito di operatività, senza tenere conto della finalità dell'istituto volto ad assicurare la continuità dell'impresa, attraverso la sospensione degli effetti dell'interdittiva antimafia, allorchè l'occasionalità del pericolo di infiltrazione mafiosa sia valutato di gravità tale da non escludere la capacità dell'impresa di eliminare tali situazioni di rischio grazie proprio alla sottoposizione dell'azienda al controllo giudiziario ex art. 34 -bis, comma 6, d.lgs. n.159/2011.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.Con riferimento al rapporto tra interdittiva antimafia del prefetto e la misura di prevenzione del controllo giudiziario la questione è stata già affrontata in modo costante nella giurisprudenza di legittimità (vedi anche Sez. U. n. 46898 del 26/09/2019, Ricchiuto, Rv. 277156), nel senso di escludere ogni automatismo, ma di ritenere che il tribunale della prevenzione possa accogliere l'istanza del titolare dell'impresa, solo se reputi sussistenti i presupposti previsti per l'applicazione della misura del controllo giudiziario, ovvero l'occasionalità dell'agevolazione mafiosa e la pendenza di una impugnazione davanti al giudice amministrativo del provvedimento prefettizio. Quindi, se l'impresa è fortemente condizionata da ingerenze mafiose, non può trovare accoglimento l'istanza, che presuppone una occasionalità del contatto mafioso. Ciò non significa, però, che l'istanza avanzata dalla stessa impresa possa essere rigettata escludendo in radice il pericolo di infiltrazione mafiosa, perchè tale pericolo è stato già oggetto di valutazione in sede amministrativa, ed è solo ove il pericolo di infiltrazione sia ritenuto più grave dal giudice della prevenzione che si può giustificare il rigetto, ma non certamente quando tale pericolo dovesse essere ritenuto addirittura inesistente, perché in tal caso e a maggior ragione si giustificherebbe l'accoglimento dell'istanza volta ad assicurare la continuità dell'impresa attraverso la sua sottoposizione a controllo giudiziario. In altri termini, il presupposto dell'occasionalità di infiltrazione mafiosa deve essere valutato come condizione ostativa solo se il pericolo di ingerenza mafiosa sia maggiore e più grave, perché non rimediabile con il semplice controllo giudiziario, ma non quando tale pericolo sia considerato addirittura inesistente, quando è l'impresa stessa che richiede di sottoporsi a tale "messa alla prova" proprio per dimostrare nei fatti di non essere mafiosa o comunque di essere capace di "emendarsi", attesi i poteri di controllo che l'applicazione della misura di prevenzione comporta. In tal caso, negare il rimedio sollecitato dalla stessa impresa sottoposta ad interdittiva antimafia sarebbe privo di senso, atteso che se non si può prescindere dalla verifica della contiguità mafiosa e del suo grado di contaminazione quando la misura sia stata richiesta dalla parte pubblica, diversamente, quando la iniziativa è dell'impresa stessa, deve aversi riguardo solo ad una prospettiva di adeguatezza della misura rispetto alla finalità perseguita di emenda dell'azienda che giustifica la sospensione degli effetti dell'interdittiva antimafia finchè l'impugnazione in sede amministrativa sia pendente. Si deve ribadire il principio già affermato da questa Corte in materia di misure di prevenzione, secondo cui quando sia formulata richiesta di controllo giudiziario, ex art. 34-bis, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, su iniziativa della parte pubblica, la valutazione del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, idonee a condizionare le attività economiche e le aziende, è riservata in via esclusiva al giudice della prevenzione, mentre nel caso di istanza della parte privata, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, tale valutazione deve tener conto dell'accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall'organo amministrativo con l'informazione antimafia interdittiva, che rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario al fine di garantire il contemperamento fra i diritti costituzionalmente garantiti della tutela dell'ordine pubblico e della libertà di iniziativa economica attraverso l'esercizio dell'impresa (Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021, Gandolfi, Rv. 280906). Ciò significa che il prerequisito dell'inquinamento mafioso dell'impresa deve essere sempre valutato anche quando sia l'impresa a chiedere l'applicazione della misura di prevenzione, ma ai soli fini del necessario vaglio della bonificabilità dell'impresa e quindi del carattere non irreversibile della contaminazione ed infiltrazione mafiosa. Nel caso di ipotetica insussistenza di ogni rischio di infiltrazione mafiosa, invece, la richiesta della parte privata non potrebbe mai essere respinta, essendo evidente che l'interesse tutelato dalla norma di assicurare, in pendenza dell'impugnazione davanti al giudice amministrativo, la continuità dell'attività di impresa attraverso la sospensione dell'efficacia dei divieti di qualunque attività nei rapporti d'impresa con la pubblica amministrazione (contratti, concessioni o sovvenzioni pubblici), e anche quelli tra privati (autorizzazioni) che discendono dalla interdittiva antimafia, assume doverosa precedenza rispetto all'interesse di tutela del mercato dall'inquinamento mafioso, proprio quando gli elementi di contaminazione mafiosa risultino più sfuggenti e meno concreti. Diversamente, tenuto conto che l'ammissione al controllo giudiziario sospende gli effetti della interdittiva prefettizia, si introdurrebbe una irragionevole disparità di trattamento a sfavore delle imprese più sane, comunque colpite dall'interdittiva antimafia, che non potrebbero mai avvalersi di tale istituto, rispetto a quelle che, presentando più evidenti sintomi di infiltrazione mafiosa, potrebbero invece beneficiare della sospensione dei divieti correlati alla misura interdittiva, ove tali elementi di collegamento con la criminalità organizzata fossero ritenuti superabili ed emendabili attraverso il controllo giudiziario.Giova qui richiamare quanto affermato con incisiva chiarezza nella sentenza delle Sezioni Unite n. 46898 del 26/09/2019, Ricchiuto, Rv. 277156: « Non vi è alcun dubbio che con riferimento all'istituto di cui all'art. 34 d.lgs. n. 159 del 2011 e a quello del controllo giudiziario a richiesta della parte pubblica o disposto di ufficio sia doveroso il preliminare accertamento da parte del giudice delle condizioni oggettive descritte nelle norme di riferimento e cioè il grado di assoggettamento dell' attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie. Con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento non scolora del tutto, dovendo pur sempre il tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l'accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l'accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa. La peculiarità dell'accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata ». In conclusione, il decreto impugnato va annullato con rinvio alla Corte di appello di Bari per un nuovo giudizio alla stregua dei parametri normativi ed ermeneutici sopra indicati.
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