Cass. pen., sez. I, sentenza 18/02/2022, n. 05811

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 18/02/2022, n. 05811
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 05811
Data del deposito : 18 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: M A nato a MORCONE il 30/01/1956 avverso l'ordinanza del 12/07/2021 del TRIB. LIBERTA' di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere P T;
sentite le conclusioni del PG ANTONIETTA PICARDI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore: l'avvocato S A del foro di ROMA in difesa di M A, anche in sostituzione del codifensore avvocato S FICO del foro di Roma, conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 luglio 2021, il Tribunale di Roma, decidendo sulla richiesta di riesame proposta nell'interesse di M A, indagato del delitto di cui all'art.278 cod. pen., confermava il decreto di sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica del Tribunale di Roma in data 5.5.2021. 2. Avverso detta ordinanza, l'indagato ha proposto ricorso per cassazione per il tramite dei suoi difensori di fiducia, avvocati A e F S, formulando i seguenti motivi di impugnazione.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione di legge (artt. 346 e 343 cod. proc. pen.)", articolando più censure. Ha, innanzitutto, osservato che la perquisizione e il sequestro sarebbero stati eseguiti prima della richiesta dell'autorizzazione a procedere per il delitto di cui all'art. 278 cod. pen. ai sensi dell'art. 313 cod. pen., con maturazione del termine perentorio di trenta giorni dall'iscrizione dell'indagato nell'apposito registro. Sulla possibilità di sottoporre a riesame il decreto di perquisizione, esclusa dal Tribunale di Roma, il ricorrente ha evidenziato che l'ordinanza impugnata non avrebbe tenuto conto delle più recenti evoluzioni della giurisprudenza sovranazionale, che ha condannato lo Stato Italiano per l'assenza di strumenti impugnatori a disposizione del destinatario di un provvedimento di perquisizione (C.E.D.U. 27 settembre 2018, Brazzi

contro

Italia) e che, in attesa di un opportuno intervento legislativo, il Tribunale avrebbe dovuto interpretare il quadro normativo in modo convenzionalmente orientato. Conseguentemente, ha sostenuto che l'illegittimità della perquisizione avrebbe dovuto comportare la illegittimità derivata del sequestro, che sarebbe il frutto "dell'albero avvelenato".

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione di legge (art. 253 cod. proc. pen.)". Secondo la difesa, del tutto apodittica sarebbe l'individuazione delle finalità del sequestro operata dal Tribunale del riesame in supplenza del pubblico ministero;
il provvedimento impugnato avrebbe disposto il sequestro dell'intero patrimonio informatico e telematico dell'indagato senza espressamente indicare le finalità se non in termini assolutamente generici;
al contrario, nella prospettiva della tutela dei diritti del singolo, sarebbe stato necessario esporre le esigenze probatorie da soddisfare, le attività da compiere e la durata del sequestro, alla stregua della sentenza della Corte di cassazione n. 34265 del 20.9.2020, che ha delineato le condizioni di legittimità del c.d. sequestro digitale omnibus.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione del legge (art. 278 cod. pen.)" e ha osservato che la motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 278 cod. pen. sarebbe assolutamente apodittica;
che le espressioni dell'indagato non sarebbero, infatti, connotate da alcun intento o potenziale offensivo o ingiurioso, piuttosto sarebbero espressione di un atteggiamento critico rispetto alle politiche del Presidente della Repubblica e del Governo in relazione alle problematiche connesse alle misure di contrasto alla epidemia da Coronavirus.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito illustrate.

1. E' infondata la prima doglianza contenuta nel primo motivo di ricorso, con cui la difesa del M ha sostenuto che la perquisizione e il sequestro sarebbero nulli in quanto sarebbero stati eseguiti dopo la maturazione del termine perentorio di trenta giorni dall'iscrizione dell'indagato nell'apposito registro. E i infatti, detto termine non è perentorio, come sostenuto dal ricorrente, ma ordinatorio;
in tal senso la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio aderisce, secondo cui "per la proposizione da parte del pubblico ministero della richiesta di autorizzazione a procedere è previsto un duplice termine: uno, di carattere strutturale, esige che la richiesta detta intervenga prima dell'esercizio dell'azione penale, l'altro è di carattere temporale, dovendo la stessa essere presentata entro trenta giorni dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona per la quale è necessaria l'autorizzazione. L'inosservanza del termine strutturale non ha una diretta ed immediata sanzione processuale ma incide solo sul rapporto tra autorizzazione a procedere ad azione penale, costituendo la prima condizione di promuovibilità della seconda, e su quello tra autorizzazione ed iniziativa del 'pubblico ministero nell'ambito del procedimento, prevedendo il sistema normativo rigorosi e speciali limiti al compimento di atti da parte del pubblico ministero prima della concessione dell'autorizzazione. Il termine temporale non ha carattere perentorio. (Nella fattispecie, il P.M. aveva chiesto l'autorizzazione a procedere nei confronti di imputata per il reato di cui all'art. 278 cod. pen. oltre il termine di trenta giorni indicato dall'art. 344, comma primo, cod. proc. pen. e dopo la richiesta di rinvio a giudizio ma il G.I.P. aveva dichiarato non luogo a procedere per mancanza di autorizzazione. Successivamente, questa era stata concessa dal Ministro di Grazia e Giustizia e il pubblico ministero aveva disposto una nuova iscrizione nel registro notizie reato e formulato una seconda richiesta di rinvio a giudizio. Il G.I.P., all'esito di giudizio abbreviato, aveva prosciolto l'imputata per mancanza di valida autorizzazione. La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza enunciando il principio di cui in massima" (Sez. 1, Sentenza n. 6984 del 29 aprile 1993, depositata il 14 luglio 1993, Rv. 195030 - 01). Essendo, dunque, il termine suddetto ordinatorio, il pubblico ministero nel caso concreto poteva ben procedere al sequestro probatorio in esame, pur in assenza dell'autorizzazione a procedere;
in tal senso la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "dal contesto degli artt. 343 e 344 cod. proc. pen., e soprattutto dal combinato disposto dagli artt. 50 e 129 stesso codice, si rileva che solo nella fase processuale (e non anche nel corso delle indagini preliminari) può essere dichiarata la mancanza di una condizione di procedibilità. Il giudice delle indagini preliminari, pertanto, non può rilevare la mancanza di una condizione di procedibilità dell'azione, se non nel caso in cui tale mancanza renda inammissibile un suo intervento incidentale. L'art. 346 cod. proc. pen. specifica, poi, che possono essere compiuti atti di indagine preliminare, nonché, in casi particolari, assunte le prove di cui all'art. 392. Pertanto, il sequestro operato ad iniziativa della polizia giudiziaria rientra, ai sensi dell'art. 354 cod. proc. pen. tra gli atti che possono essere compiuti prima della proposizione della richiesta di autorizzazione a procedere" (Sez. 1, Sentenza n. 2663 del 06/06/1991 Rv. 188076 - 01);
tale giurisprudenza, alla quale il Collegio aderisce, è stata peraltro ribadita in una più recente decisione, nella quale è stato affermato che "è legittimo il sequestro probatorio effettuato nel corso delle indagini preliminari, pur in mancanza di una condizione di procedibilità, essendo la stessa rilevabile solo nella fase processuale" (Sez. 4, Sentenza n. 43480 del 30/09/2014, Rv. 260313 - 01). E t però, il ricorrente sostiene che l'illegittimità della perquisizione - conseguente alle più recenti evoluzioni della giurisprudenza sovranazionale, che ha condannato lo Stato Italiano per l'assenza di strumenti impugnatori a disposizione del destinatario di un provvedimento di perquisizione - avrebbe dovuto comportare la illegittimità derivata del sequestro. Sennonché, nel caso concreto, tale questione relativa alla invalidità della perquisizione è del tutto irrilevante;
e infatti, la ormai costante giurisprudenza di questa Corte è pacificamente orientata nel senso della affermazione del principio di diritto secondo il quale "la nullità del provvedimento di perquisizione non si trasmette a quello di sequestro delle cose rinvenute nel corso della sua esecuzione, né determina l'inutilizzabilità a fini di prova delle stesse" (Sez. 5, Sentenza n. 32009 dell'8 marzo 2018, Rv. 273641 - 01;
conformi: Sez. 1, Sentenza n. 23674 del 10 maggio 2011, Rv. 250428 - 01;
Sez. 5, Sentenza n. 3287 del 26 maggio 1998, Rv. 212031;
Sez. 6, Sentenza n. 2001 del 22 maggio 1995, Rv. 202589;
Sez. 5, Sentenza n. 2793 del 27 novembre 1995, Rv. 203594). Dalle argomentazioni su riferite consegue la infondatezza del motivo di ricorso in esame.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi