Cass. civ., sez. II, ordinanza 18/07/2019, n. 19400
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la seguente ORDINANZA sul ricorso 10056-2015 proposto da: T G, T GUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA, V.MUGGIA 21, presso lo studio dell'avvocato S R, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato S S giusta procura in calce al ricorso;- ricorrenti -contro B S, domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato INNOCENZO D'ANGELO giusta procura a margine del controricorso;- con troricorrente - nonchè contro T S;- intimato - c)t -' (t' avverso la sentenza n. 2581/2014 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 17/11/2014;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2019 dal Consigliere Dott. M C;Lette le memorie dei ricorrenti;RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. T B conveniva in giudizio i germani T G, S e G dinanzi al Tribunale di Venezia, deducendo che era deceduto il padre T N in data 7 gennaio 1991, e che questi aveva venduto ai convenuti alcuni immobili ad un prezzo notevolmente inferiore al reale valore di mercato, dando vita pertanto a delle donazioni indirette che chiedeva fossero poste in collazione nell'ambito del giudizio di divisione contestualmente proposto. Nella resistenza dei convenuti T G e G, essendo invece T S rimasto contumace, il Tribunale adito con la sentenza n. 82 del 15 gennaio 2007 rigettava la domanda ritenendo che l'attrice non aveva proposto anche domanda di simulazione delle presunte donazioni poste in essere dal padre, dovendosi in ogni caso escludere che fosse stato provato, nella prospettiva della realizzazione di negotia mixta cum donatione, l'esistenza dell'animus donandi da parte del genitore. A seguito di appello proposto da T B, alla quale subentrava l'erede B S, la Corte d'Appello di Venezia con la sentenza n. 2581 del 17/11/2014, in riforma della decisione gravata, riteneva che effettivamente gli immobili di cui ai vari atti indicati in citazione erano stati oggetto di donazioni indirette da parte del de cuius in favore dei convenuti, sicchè, Ric. 2015 n. 10056 sez. 52 - ud. 15-04-2019 -2- una volta posti in collazione, gli stessi convenuti erano tenuti al pagamento delle somme espressamente specificate in dispositivo al fine di perequare il valore della quota dell'attrice in ragione dell'entità delle donazioni ricevute dagli altri condividenti. La Corte d'Appello rilevava che alla luce delle perizie svolte nei due gradi di giudizio, era emerso che il valore dei beni era notevolmente superiore a quello riportato negli atti di acquisto di cui alla domanda attorea, sicchè stante la clamorosa sproporzione, poteva reputarsi dimostrato l'animus donandi da parte del genitore, tenuto anche conto dei rapporti di parentela tra le parti e del fatto che alcune compravendite erano state redatte con l'assistenza dei testimoni. Vi erano quindi elementi presuntivi gravi precisi e concordanti che portavano ad affermare la ricorrenza di donazioni indirette in relazione alla differenza tra il valore dichiarato ai fini della vendita e quello effettivo del bene. Le donazioni andavano quindi poste in collazione, tendo conto del valore dei beni alla data di apertura della successione. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono T G e T G sulla base di tre motivi. B S resiste con controricorso. T S non ha svolto difese in tale fase. In prossimità dell'udienza T G e T G hanno depositato memorie, essendo invece tardivo il deposito delle memorie da parte del contro ricorrente, il che impedisce che possano essere prese in esame. Ric. 2015 n. 10056 sez. 52 - ud. 15-04-2019 -3- 2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza e del procedimento in quanto emessa senza la partecipazione necessaria di tutti i litisconsorti. Si deduce che la domanda proposta era comunque correlata ad una domanda di divisione ereditaria, alla quale sono tenuti a partecipare tutti i condividenti. Nella fattispecie, come emerge da un certificato anagrafico prodotto in questa sede, il de cuius aveva cinque figli, ed in particolare, oltre ai quattro germani T partecipi del giudizio, anche la figlia T Anna, la quale non è mai stata chiamata a partecipare al giudizio. Si assume altresì che, a seguito del decesso dell'attrice T B, si era costituito per proseguire il giudizio il solo marito B S, senza che fosse stata evocata in giudizio anche la figlia B M, come si ricava anche in questo caso dalla certificazione anagrafica prodotta in sede di legittimità. Il motivo deve essere disatteso. Ed, infatti ancorchè risulti effettivamente principio pacifico quello secondo cui la verifica dell'integrità del contraddittorio debba avvenire d'ufficio, si è altresì da lungo tempo precisato (cfr. ex multis Cass. n. 2149/1978) che qualora, a seguito di morte di una parte, il processo venga proseguito da altro soggetto nella dedotta qualità di unico erede del defunto, spetta alla controparte, che eccepisca la non integrità del contraddittorio, per l'esistenza di altri coeredi, fornire la relativa prova (conf. Cass. n. 852/1985;Cass. n. 2774/1997;Cass. n. 5605/1990;Cass. n. 13571/2006). Ric. 2015 n. 10056 sez. 52 - ud. 15-04-2019 -4- I ricorrenti, solo in sede di legittimità assumono che vi siano altri coeredi della defunta attrice, così che appare evidente che nel giudizio di appello non venne in alcun modo sollevata la questione relativa all'effettiva integrità del contraddittorio, della cui prova, per quanto visto, era comunque onerata la parte eccipiente (mancando peraltro anche la prova che la figlia dell'attrice abbia poi effettivamente accettato l'eredità materna). Quanto alla deduzione sollevata con il motivo in esame relativa sia alla situazione originaria dei condividenti che alla posizione dei successori della originaria parte attrice, e suffragata con la produzione di due certificati di stato di famiglia, allegati solo in sede di legittimità, vale richiamare l'altrettanto pacifico orientamento di questa Corte ( cfr. Cass. n. 17581/2007) a mente del quale il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può essere dedotto per la prima volta anche nel giudizio di cassazione, ma alla duplice condizione che gli elementi posti a fondamento emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (poiché nel giudizio di cassazione sono vietati lo svolgimento di ulteriori attività e l'acquisizione di nuove prove) e che sulla questione non si sia formato il giudicato (la S.C. ha affermato il principio - in un giudizio avente ad oggetto, tra l'altro, la pretesa inesistenza di una servitù a favore di un fondo sul quale era costituito un diritto di usufrutto - in relazione all'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'usufruttuario, poiché dagli atti del giudizio non risultavano né la prova dell'esistenza del diritto Ric. 2015 n. 10056 sez. 52 - ud. 15-04-2019 -5- in questione né quella dell'esistenza in vita dell'usufruttuario, considerato che tale diritto si estingue con la morte del titolare la Suprema Corte ha anche escluso l'ammissibilità ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ. della documentazione con cui il ricorrente avrebbe voluto dare detta prova;conf. Cass. n. 21256/2017). In senso conforme si veda anche Cass. n. 26388/2008, secondo cui il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di litisconsorti necessari può essere rilevato d'ufficio, per la prima volta, anche dal giudice di legittimità, alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito e che sulla questione non si sia formato il giudicato (vedi altresì Cass. 27521/2011;Cass. n. 3024/2012 che espressamente ribadisce la necessità di poter tenere conto solo degli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito, in quanto le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ., di acquisire mezzi di prova precostituiti in sede di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell'atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, con esclusione delle nullità originate da vizi del processo). Attesa quindi l'impossibilità per i ricorrenti di potersi avvalere della previsione di cui all'art. 372 c.p.c. per documentare l'esistenza di altri eventuali coeredi, il motivo deve essere disatteso. Va peraltro rilevato che nelle memorie ex art. 378 c.p.c. i ricorrenti hanno dedotto che in realtà la certificazione Ric. 2015 n. 10056 sez. 52 - ud. 15-04-2019 -6- anagrafica attestante l'esistenza di altri coeredi sarebbe stata prodotta dalla controparte che tuttavia non ha depositato in questa sede la propria produzione di merito, ed a tal fine hanno altresì prodotto copia di tale certificato. Trattasi però di allegazione del tutto inammissibile ex art. 372 c.p.c., e che denota in ogni caso l'inammissibilità del motivo ex art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c., in quanto in ricorso non vi è alcuna indicazione, in contrasto con il dettato di tale norma, dell'esistenza tra i documenti prodotti in sede di merito, anche del certificato in esame, essendo quindi carente anche ogni allegazione di carattere tipografico circa l'individuazione della sede ove il documento sarebbe stato riscontrabile (anche in relazione alla produzione avvenuta con le memorie, non risulta nemmeno allegato il foliario della produzione di parte dalla quale si potrebbe evincere l'effettiva introduzione del documento già in sede di merito) ed in quale fase fosse stato prodotto. Tali considerazioni danno altresì contezza dell'infondatezza della doglianza di cui alla parte finale del ricorso con la quale si lamenta la violazione delle norme in tema di successione legittima, per essersi proceduto alla divisione tenendo conto solo di quattro figli e non del numero effettivo dei discendenti del de cuius.
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