Cass. pen., sez. V, sentenza 21/12/2022, n. 48362
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: BORRELLI ASSUNTA nato a NAPOLI il 04/10/1987 avverso la sentenza del 18/11/2021 della CORTE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere E P;Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, P L, che ha concluso per l'annullamento con rinvio in relazione al trattamento sanzionatorio. Inammissibilità nel resto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 18 novembre 2021 la Corte di appello di Torino ha riformato la pronuncia del 22 ottobre 2020 del Tribunale di Vercelli in composizione collegiale nei confronti della ricorrente B Assunta, riqualificando la contestazione sub.1) di cui agli artt. 110,56,575 cod. pen. nella ipotesi di cui agli art. 582,585 cod. pen., rideterminando la pena in anni tre e mesi sei di reclusione, confermando nel resto. Con la sentenza di primo grado l'imputata era stata condannata per il reato di tentato omicidio in concorso con il marito R A in danno della persona offesa M D e per il reato di lesioni e minacce nei confronti di S F, coniuge del M, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e alla contestata recidiva, esclusa la circostanza di cui all'art. 116 cod. pen., riconosciuto il vincolo della continuazione, alla pena di anni 7 e mesi 6 di reclusione, oltre statuizioni civili e pene accessorie L'imputazione ha per oggetto le lesioni provocate dal marito della ricorrente in danno del M attraverso un'arma da taglio e con pugni al volto e calci, in concorso con la ricorrente la quale, contemporaneamente incitava il marito, inveiva contro il M ed impediva alla moglie di quest'ultimo di soccorrerlo (capo 1);nonché le lesioni provocate dalla ricorrente alla S F, aggravate dai futili motivi, consistite nello strattonarla per i capelli tanto da farla cadere a terra e successivamente colpendola con calci e pugni ( capo 2), minacciandola di un danno grave ed ingiusto dicendole" adesso sapete con chi avete a che fare qui a Vercelli" (capo 3). Le condotte erano originate da uno scambio polemico di messaggi attraverso il social Facebook tra il R e il M, colleghi di lavoro, messaggi attraverso i quali il R, che proveniva dal sud, aveva denigrato il territorio di Vercelli. 2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso l'imputata, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al ruolo di concorrente della B nel reato sub.1) nella sua qualità di istigatrice. In particolare, secondo la difesa, il giudizio di penale responsabilità a carico della B quale istigatrice del marito si fonda unicamente sulle dichiarazioni delle persone offese, trascurando la ipotesi alternativa fornita dalla B in base alla quale la stessa avrebbe accompagnato il marito all'incontro unicamente per calmarlo ed evitare che il litigio potesse degenerare. Del resto, la conferma del suo mancato coinvolgimento risulterebbe dalle dichiarazioni dei vicini di casa delle persone offese, i quali riferiscono di una donna presente sulla vettura dopo che l'aggressione alla S si era consumata ed escludono di avere sentito grida di persone diverse dalla S. 2.2 Con il secondo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata applicazione della circostanza aggravante della provocazione. La difesa evidenzia che la persona offesa M nei momenti antecedenti l'aggressione ha tenuto un comportamento censurabile sotto il profilo del rispetto delle opinioni altrui, della provenienza geografica della ricorrente e della buona educazione nel non intromettersi nelle conversazioni di altri, comportamento complessivamente provocatorio tale da generare l'ira nei coniugi R/B.Sullo specifico punto la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza della invocata attenuante, ritenendo assente il requisito del fatto ingiusto altrui che deve essere caratterizzato dalla ingiustizia obiettiva, laddove la difesa ritiene applicabile la circostanza anche sulla base della contrarietà alle più elementari regole sociali. 2.3. Con il terzo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza. A fronte della già prospettata questione nell'atto di appello, la Corte territoriale ha negato la prevalenza della già concesse circostanze unicamente per l'assenza di elementi positivamente valutabili. A parere della difesa, il comportamento del ricorrente potrebbe essere in tal senso valorizzato;inoltre, a fronte della severa determinazione della pena inflitta pari al massimo edittale, il giudizio di prevalenza opererebbe quale criterio mitigatore della entità della pena inflitta. 2.4. Con il quarto motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena in concreto applicata e all'aumento stabilito per la continuazione. La pena base è stata inflitta applicando il massimo edittale previsto per il reato di lesioni senza considerare che i parametri di cui all'art. 133 cod. pen. non possono essere solo elencati nella sentenza impugnata, ma devono essere rapportati al caso concreto. La doglianza è relativa al mero richiamo operato in sentenza alla eccezionale gravità del fatto, alla gravità del danno, alla assoluta gratuità della violenza, alla intensità del dolo, alla mancanza di controllo della pericolosità, elementi in relazione ai quali la sentenza non ha specificamente motivato. A ciò si aggiungono gli ulteriori indici di cui all'art. 133 cod. pen. quali i precedenti penali, la condotta contemporanea al fatto, le condizioni di vita familiare individuale e sociale che non risultano affatto valorizzati. Infine, quanto ai riconosciuti aumenti della pena in ragione del vincolo della continuazione per i reati di cui ai capi 2) e 3), la sentenza indica unicamente il quantum dell'aumento fissato per ciascuno dei reati senza motivare al riguardo.
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