Cass. pen., sez. VII, ordinanza 19/06/2020, n. 18585

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VII, ordinanza 19/06/2020, n. 18585
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18585
Data del deposito : 19 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente ORDINANZA sul ricorso proposto da: B A S nato a CATANIA il 30/06/1976 avverso la sentenza del 05/06/2018 del TRIBUNALE di CATANIAdato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere M V;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO che con sentenza emessa il 5 giugno 2018 il Tribunale di Catania: ha condannato A S B alla pena di euro 200 di ammenda in quanto responsabile della commissione, il 26 luglio 2013 in Mascalucia, della contravvenzione di ingiustificato porto, fuori della propria abitazione, di un coltello a serramanico multiuso (art. 4, secondo comma, della legge n. 110 del 1975);
ha ordinato la confisca di tale oggetto;
che, a fondamento dell'accertata sussistenza delle_ contravvenziont,f la motivazione è nel senso che: l'oggetto sopra indicato è uno strumento da punta o da taglio atto all'offesa alla persona;
tale oggetto era stato dall'imputato portato sulla via pubblica di un luogo ove erano edificati dei villini;
l'imputato non aveva dato alcuna giustificazione di tale azione;
che per la cassazione di tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso (atto sottoscritto dal relativo difensore, avvocato M M F) contenente due motivi di impugnazione;
che con il primo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione al caso di specie dell'art. 4, secondo comma, della legge n. 110 del 1975, dal momento che: la norma punisce solo chi senza giustificato motivo porti degli oggetti del tipo di quelli sopra descritti che siano «chiaramente utilizzabili, per le circostanze di temo e luogo, per l'offesa alla persona»;
nessun cenno a tali specifiche circostanze è contenuto nella motivazione della sentenza;
che la censura è manifestamente infondata in diritto (e dunque inammissibile: art. 606, comma 3, cod. proc. pen.), dal momento che: il coltello cosiddetto "multiuso"? (oggetto che;
oltre alla lama da taglio, incorpora altri strumenti, quali forbice, apribottiglie, cacciavite ecc.) portato dall'imputato sulla pubblica via è stato correttamente qualificato siccome rientrante fra gli «strumenti da punta o da taglio atti ad offendere», come tale compreso nell'elenco di beni mobili specificamente recato dalla prima parte del secondo comma dell'art. 4 della legge n. 110 del 1975;
orbene, gli oggetti indicati specificamente nella prima parte del citato secondo comma dell'art. 4 sono da ritenere del tutto equiparabili alle armi improprie, con la conseguenza che il loro porto fuori di4luogo destinato ad abitazione costituisce reato alla sola condizione che esso avvenga «senza giustificato motivo», mentre è solo per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, ed aventi una originaria destinazione oggettivamente ovvero funzionalmente innocua, cui si riferisce l'ultima parte della citata disposizione normativa, occorre anche l'ulteriore condizione che essi appaiano «chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona» (giurisprudenza costante;
cfr. comunque, per tutte, quanto alla distinzione in discorso: Sez. 7, n. 34774 del 15 gennaio 2015, Cimpoesu, Rv. 264771;
Sez. 1, n. 10279 del 29 novembre 2011, dep. 2012, Croce, Rv. 252253;
Sez. 1, n. 32269 del 3 luglio 2003, Porcu, Rv. 225116;
cfr. specificamente, quanto al coltello cosiddetto "multiuso", Sez. 1, n. 13015 del 2 ottobre 1998, Maffei, Rv. 212986);
che, del resto, la giurisprudenza di legittimità è del pari costante nell'affermare che nel caso di lesioni personali provocate da coltello del tipo di quello di cui discute, strumento che, al di là della sua diffusione e dell'ordinario impiego per scopi pacifici ed innocui, può, in determinate circostanze, essere usato per l'offesa alla persona e, in quanto tale, è riconducibile alla nozione di arma di cui all'art. 585, secondo comma, n. 2), cod. pen. (in questo senso, cfr.: Sez. 5, n. 51237 del 4 luglio 2014, B, Rv. 261729;
Sez. 5, n. 32966 del 24 aprile 2008, R, Rv. 241168);
che con il secondo motivo il ricorrente deduce che: la sentenza sarebbe censurabile anche sotto il profilo della mancata esclusione della punibilità per particolare tenuità dell'offesa, ricorrendo nel caso concreto tutti i presupposti richiesti dall'art. 131-bis cod. pen.;
che la censura è inammissibile;
che, invero, il ricorrente non deduce che la questione relativa all'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. al caso concreto abbia formato oggetto delle acquisizioni del processo definito con la sentenza in questa sede impugnata (il fatto, d'altra parte, non risulta dal testo della sentenza medesima);
il ricorrente aveva la possibilità di invocare nel giudizio l'applicazione dell'esimente e da ciò sarebbe sorto il dovere per il tribunale di motivare sull'accoglimento o sul rigetto: non essendo stata l'istanza formulata, non vi era un obbligo per il giudice di prenderla in esame d'ufficio;
che l'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento di una somma di danaro alla Cassa delle ammende che stimasi equo determinare nella misura di tremila euro (art. 616 cod. proc. pen.).
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