Cass. pen., sez. IV, sentenza 15/03/2022, n. 08611

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. IV, sentenza 15/03/2022, n. 08611
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 08611
Data del deposito : 15 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: M G nato a DOLO il 23/04/1940 avverso la sentenza del 14/09/2020 della CORTE APPELLO di VENEZIAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere M N;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del Sostituto Procuratore

LUCA TAMPIERI RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14 settembre 2020 la Corte di appello di Venezia, in sede di giudizio di rinvio, a seguito dell'annullamento della sentenza del Tribunale di Padova, che assolveva G M dal reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2 comma 1 bis dl. 463/1983 conv. con mod. nella legge 638/1983, ha dichiarato il medesimo responsabile del reato ascrittogli per avere, nella sua qualità di legale rappresentante della Coop. Ser. Società cooperativa a r.I., con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, omesso di versare le somme trattenute a titolo previdenziale ed assistenziale sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti per euro 24.642,99 per l'anno 2013 ed euro 20.266,99 per l'anno 2014. 2. Avverso la sentenza propone ricorso G M, a mezzo del suo difensore, formulando due motivi di impugnazione.

3. Con il primo fa valere l'erronea applicazione dell'art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983 per avere ritenuto la responsabilità dell'imputato non considerando che il presupposto di applicazione della disposizione è il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori e che la prova dell'effettiva corresponsione degli emolumenti, incombente sul pubblico ministero e desumibile tanto da prove dichiarative, che da documentazione ricognitiva del debito (quali sono i Mod. DM10), non è stata acquisita nel caso di specie, essendo emerso in giudizio che la Coop. Ser. ha corrisposto ai soci lavoratori nel periodo maggio 2013-settembre 2014 -in contestazione- unicamente degli acconti. Sostiene che sebbene alcune pronunce di legittimità abbiano ritenuto che il reato di cui all'art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983 sia configurabile anche nel caso della corresponsione di acconti, nondimeno esse sono antecedenti l'entrata in vigore dell'art. 3 comma 6 d. Igs. 8/2016, che ha introdotto, modificando il comma 1 bis dell'art. 2 d.l. 463/1983 la soglia di punibilità penale in diecimila euro anni di ritenute non versate, disposizione pacificamente applicabile al caso di specie, ai sensi dell'art. 8 del medesimo decreto legislativo e comunque ai sensi degli artt. 2 e 4 cod. pen.. Se, invero, prima della riforma qualsiasi omissione contributiva era penalmente rilevante, allo stato bisogna accertare se gli acconti versati da Coop. Ser. abbiano raggiunto proporzionalmente-percentualmente la somma di euro diecimila di contributi non versati all'ente previdenziale. Siffatta verifica è di fatto mancata, tanto che la Corte territoriale giunge ad affermare che la soglia di punibilità è stata superata per entrambe le annualità, non perché ciò sia stato provato, ma perché è stato affermato dal Procuratore generale. Sostiene che il giudice del rinvio non avrebbe potuto ritenere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che gli acconti effettivamente versati potessero corrispondere al superamento della soglia di punibilità, posto che gli importi dei contributi omessi di cui al capo di imputazione erano più del doppio della somma di diecimila euro, il che implicava che le retribuzioni fossero state corrisposte almeno nella misura del 50%, il che non era risultato dalla prova dichiarativa, né era compatibile con la messa in Liquidazione coatta amministrativa della società cooperativa. Sottolinea la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da un lato, afferma che ai soci lavoratori furono versati periodicamente degli acconti, dall'altro, richiamando una giurisprudenza relativa ai lavoratori agricoli, secondo la quale ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983, la prova della corresponsione delle retribuzioni può essere ricavata dall'invio telematico all'istituto previdenziale del modello DMAG da parte dell'imprenditore (Sez. 3, n. 51214/2019), non considera che nel processo manca qualsivoglia acquisizione documentale di modelli corrispondenti (DM10).

4. Con il secondo motivo si duole della violazione della legge penale in ordine al disposto degli artt. 42, 43 e 45 cod. pen. e del vizio di motivazione, per non avere il giudice del rinvio esteso la giurisprudenza formatasi in tema di evasione fiscale, confacente, per i principi espressi anche quella contributiva, in relazione alla causa di forza maggiore, secondo cui l'inadempimento può essere attribuito a forza maggiore quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore, che non ha potuto porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà. Deduce, sotto altro profilo, la mancanza dell'elemento psicologico del reato, ricordando che alcune pronunce della Suprema Corte hanno chiarito che l'impossibilità di adempiere rileva, a questi fini, allorquando non sia inesistente il margine di scelta, in assenza della possibilità per il responsabile della gestione aziendale di porre rimedio alla situazione per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. Ricorda che la prova dichiarativa ha dimostrato la gravissima crisi della Società Coop. Ser, legata ad omessi pagamenti dei clienti ed alla perdita di commesse, sfociata, non a caso nella liquidazione coatta amministrativa;
che M cercò in ogni modo di ovviarvi rinegoziando il credito con le banche e sollecitando i pagamenti. Ciò rileva sotto il profilo della carenza del dolo e della sussistenza di una causa di forza maggiore, neppure indagata dalla Corte, che ha preso in considerazione solo l'art. 51, relativo all'adempimento di un dovere ed all'esercizio di un diritto. Sostiene che non è possibile chiedere al legale rappresentante di una società cooperativa, la cui carica è priva di interessi di lucro, il sacrificio di patrimonio personale, preteso dalla giurisprudenza che per esimere dalla responsabilità penale pretende l'impiego di risorse personali dell'amministratore per far fronte al debito erariale, ritenendo sussistente la causa di forza maggiore solo quando egli non riesca a soddisfarlo per cause indipendenti dalla sua volontà ed a lui non imputabili. Non è possibile, infatti, nell'applicare detto principio prescindere dalla forma societaria. Rileva la mancanza grafica della motivazione in ordine all'elemento soggettivo.

5. Con il terzo motivo lamenta l'inosservanza e la falsa applicazione dell'art. 2, comma 1 bis d.l. 463/1983 conv. con I. 683/1983 per avere applicato la pena di mesi sei di reclusione, asseritamente nel minimo, diminuita a mesi quattro di reclusione per la concessione delle attenuanti generiche, benché essa sia pari a dodici volte il minimo edittale, posto che la disposizione punisce la fattispecie con pena della reclusione sino a tre anni e con la multa sino ad euro 1.032,00, sicché è pacifico che il minimo edittale della pena detentiva sia pari a giorni 15 di reclusione ai sensi dell'art. 23 cod. pen.. La motivazione è, dunque, palesemente contradittoria. Conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata e comunque la riduzione al minimo edittale della pena inflitta.

6. Con requisitoria scritta ai sensi dell'art. 23, comma 8 d.l. 137/2020 il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il reato di cui all'art. 2 comma 1 bis d.l. 463/1983 conv. con mod. nella legge 638(1983, relativo all'annualità 2013, deve essere dichiarato estinto per prescrizione, essendo decorso il termine di cui agli artt. 157 e 161 cod. proc. pen.. In proposito va ricordato che "In tema di omesso versamento di contributi previdenziali ed assistenziali, ai fini del computo della prescrizione per i fatti pregressi alla modifica introdotta dall'art. 3, comma 6 , del d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8, la normativa più favorevole, ai sensi dell'articolo 2, comma quarto, cod. pen., va individuata, nel caso in cui non sia stata superata la soglia di punibilità di 10.000 euro annui, nella nuova previsione normativa, mentre nell'ipotesi di superamento di detta soglia, nella normativa previgente, secondo la quale il momento consumativo del reato coincideva con la scadenza del termine previsto per ogni versamento mensile, ovvero con il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi" (ex multis Sez. 3, Sentenza n. 47902 del 18/07/2017, Abrate, Rv. 271446). Invero stabilendo che l'omesso versamento delle ritenute previdenziali integra reato ove l'importo sia superiore a. quello di euro 10.000,00 annui, il legislatore non si è limitato semplicemente ad introdurre un limite di "non punibilità" delle condotte lasciando inalterato, per il resto, l'assetto della precedente figura normativa (che, come noto, nessun limite prevedeva), ma ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell'anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività che viene a segnare, tra l'altro, il momento consumativo dello stesso (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, L, Rv 268308). La giurisprudenza richiamata ha, infatti, chiarito, che "il reato deve ritenersi già perfezionato, in prima battuta, nel momento e nel mese in cui l'importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell'anno considerato, superi l'importo di euro 10.000,00 senza che, peraltro, attesa, come si è detto la necessaria connessione con il periodo temporale dell'anno, le ulteriori omissioni che seguano nei mesi successivi dello stesso anno sino al mese finale di dicembre possano "aprire" un nuovo periodo e, dunque, dare luogo, in caso di secondo superamento, ad un ulteriore reato. Tali omissioni, infatti, contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell'importo di legge sicché, da un lato, non possono semplicemente atteggiarsi quale post factum penalmente irrilevante e, dall'altro, approfondendo il disvalore già emerso non possono segnare in corrispondenza di ogni ulteriore mensilità non versata, un ulteriore autonomo momento di disvalore (che sarebbe infatti assorbito da quello già in essere)" (Sez. 3, Sentenza n. 47902 del 18/07/2017, Abrate, in motivazione) La nuova fattispecie è, quindi, caratterizzata dalla progressione criminosa nel cui ambito, una volta superato il limite di legge, le ulteriori omissioni nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell'ultima mensilità, ovvero, come noto, con il termine del 16 del mese di gennaio dell'anno (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, L, in motivazione). Ne consegue che "rispetto alla precedente figura di reato, il momento consumativo é evidentemente diverso: mentre nel precedente assetto normativo il reato si consumava in corrispondenza di ogni omesso versamento mensil (cfr., da ultimo, Sez.3, n. 26732 del 05/03/2015, P.G. in proc. B, Rv. 264031), nell'attuale e nuovo la consumazione appare coincidere, secondo una triplice diversa alternativa, o con il superamento, a partire dal mese di gennaio, dell'importo di euro 10.000,00 ove allo stesso non faccia più seguito alcuna ulteriore omissione, o con l'ulteriore o le ulteriori omissioni successive sempre riferite al medesimo anno ovvero, definitivamente e comunque, laddove anche il versamento del mese di dicembre sia omesso, con la data del 16 gennaio dell'anno successivo. La struttura del "nuovo" reato come tratteggiata sopra, impone inoltre di tenere conto, al fine dell'individuazione o meno del superamento del limite di legge di euro10.000,00 di tutte le omissioni verificatesi nel medesimo anno e, dunque, nella specie, anche di quelle eventualmente estinte per prescrizione: la mera declaratoria di estinzione del reato per ragioni connesse al decorso del tempo non può significare elisione della materiale sussistenza del fatto di omesso versannento(Sez. 3, Sentenza n. 47902 del 18/07/2017, Abrate, in motivazione). Inoltre, la diversa strutturazione del reato comporta, altresì, che "con riferimento ai fatti pregressi, laddove l'omissione annuale non abbia superato l'importo di euro10.000,00, debba applicarsi, in quanto norma sicuramente più favorevole, la nuova previsione normativa alla stregua dell'art. 2, comma 4, c.p., mentre, laddove l'importo sia stato superato, le due normative debbano essere messe a confronto per individuare, ai sensi dell'art. 2 comma 4 cod.pen., la norma più favorevole in particolare ai fini della prescrizione del reato tenuto conto del periodo di sospensione di mesi tre di cui all'art. 2, comma 1 quater del dl. n. 463 del 1983, non modificato dalla legge in questione (ibidem).
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