Cass. civ., sez. I, sentenza 09/07/2003, n. 10783

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 09/07/2003, n. 10783
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10783
Data del deposito : 9 luglio 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

R.G.N. 7663/01 17"B"

ITALIANA

Ud. 28/01/03 REPUBBLICA Cron. 242681.0783/03 IN NOME EL P R 2863 LA CORTE SUPRE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dai Sigg.ri Magistrati: Dott. G L Presidente Dott. G G Consigliere Dott. G M Cons. Relatore Dott. G M B Consigliere Dott. S D P Consigliere ha pronunciato la seguente: Intermediazione finanziaria/Sanzioni pecuniarie /Contestazione dell'addebito da SENTENZA parte della Banca d'Italia/ Termine/ Decorrenza sul ricorso proposto da: elettivamente domiciliato in Roma, Via MAURIZIO PIETRA, G.Pisanelli n. 4, presso l'avv. G G, che con l'avv. Elio Cherubini del Foro di Milano lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro BANCA D'ITALIA, in persona del direttore generale, elettivamente domiciliata in Roma, Via Nazionale n. 91, presso gli avv.ti Sergio G M 190 2 L e S C della propria consulenza legale, che la rappresentano e difendono in virtù di procura in calce al controricorso; controricorrente - nonché MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE (già Ministero del Tesoro);

- intimato -

avverso il decreto della Corte d'appello di Roma n. 397/00 del 3 febbraio 2000. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 gennaio 2003 dal Relatore dott. G M; Uditi, per le parti, gli avvocati G e C; Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. U d A, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto che con atto notificato il 12 e il 13 maggio 1998, - rispettivamente alla Banca d'Italia e al Ministero del Tesoro (successivamente: Ministero dell'economia e delle finanze), il signor Maurizio Pietra proponeva reclamo davanti alla Corte Giuseppe 2 NEONATE ON PRIMETENGO LA PO STAVI d'appello di Roma avverso il decreto con il quale il Ministero predetto, su proposta della Banca d'Italia, gli aveva irrogato sanzioni pecuniarie per complessive L. 20.000.000, ritenendolo responsabile, quale consigliere delegato della "Fincrea SIM S.p.a.", della violazione delle norme relative alle società di intermediazione finanziaria in tema di separatezza coefficienti prudenziali e segnalazionipatrimoniale, all'Autorità di vigilanza, di cui al d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415; che il ricorrente assumeva l'illegittimità del provvedimento deducendo: a) che le irregolarità addebitate erano state contestate dalla Banca d'Italia oltre il termine (di novanta giorni dall'accertamento) prescritto dall'art. 14, legge 24 novembre 1981, n. 689;
b) che gli addebiti erano comunque infondati; che con la memoria di replica alle osservazioni della Banca d'Italia il ricorrente deduceva, quale ulteriore motivo di doglianza, l'assoluta mancanza di motivazione circa le ragioni che avevano indotto il Ministero ad applicare la sanzione pecuniaria nella misura massima consentita; che la Corte territoriale respingeva il reclamo, osservando: Giuseppe MNarziate 3 Wire Neiramidal ○ quanto alla censura sub a), che la contestazione, avvenuta con atto notificato il 20 maggio 1997, era stata tempestiva, dovendo ritenersi che la decorrenza del termine concesso dal citato art. 14, legge 689/81, per effettuare tale adempimento fosse iniziata (solo) il 28 marzo 1997, quando il Governatore della Banca d'Italia aveva apposto il proprio "visto" sulla relazione ispettiva; quanto alla censura sub b), che l'esistenza delle o irregolarità contestate non poteva essere revocata in dubbio; о quanto all'asserito vizio di motivazione, che la determinazione delle sanzioni era da ritenersi "congrua, in relazione alla gravità delle violazioni e alla sistematicità degli errori nelle segnalazioni di vigilanza" e alla circostanza che il massimo edittale delle sanzioni irrogate era stabilito in L. 50.000.000; che il ricorrente chiede la cassazione di tale decreto con due motivi di ricorso, al cui accoglimento la Banca d'Italia si oppone; che il Ministero non resiste. G M Considerato in diritto wwwwche con il primo motivo il ricorrente denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 14, legge 24 novembre 1981, n. 689, nonché vizio di motivazione censura il provvedimento impugnato per aver respinto il reclamo con motivazione "insufficiente e contraddittoria" e senza considerare: che l'accertamento, dal quale decorre il termine о assegnato dall'art. 14, 1. 689/81 per la contestazione degli addebiti, deve essere inteso "nella precisa e ristretta accezione" fatta propria dall'art. 13 della stessa legge, “il quale con ogni evidenza si riferisce [Solo]alla materiale attività di accertamento dei fatti passibili di sanzione amministrativa";
i che le "Istruzioni di vigilanza per le banche”, emanate о dalla Banca d'Italia, dopo aver stabilito che deve procedersi alla contestazione "entro novanta giorni precisano, in relazione alledall'accertamento", violazioni rilevate nel corso di ispezioni, che in detta ipotesi il "termine decorre dalla conclusione degli accertamenti presso l'intermediario"; G M 5 о che, nel caso di specie, l'ispezione era stata chiusa 1'11 febbraio 1997 e non era quindi possibile far decorrere il termine dal 28 marzo 1997, quando la relazione ispettiva era stata "vistata" dal Governatore, come ritenuto dalla Corte d'appello; о che, conseguentemente, la contestazione degli addebiti effettuata il successivo 20 maggio 1997 era stata tardiva; о che la tardività di tale adempimento era ancor più evidenziata, altresì, dalla circostanza che il 31 gennaio 1997 (e, quindi ancor prima della chiusura dell'ispezione) la Banca d'Italia aveva chiesto al Ministero (che aveva provveduto in conformità) lo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo della Fincrea, dimostrando così di aver acquisito piena consapevolezza dell'esistenza di gravi irregolarità riferibili ai loro componenti; che ai fini dell'individuazione del momento iniziale della decorrenza del termine (a seconda dei casi di novanta o di trecentosessanta giorni dall'accertamento) concesso dall'art. 14, l. 689/81 (da ritenersi applicabile, nella specie, in virtù Rearziate Giuseppe 6 del richiamo desumibile dall'art. 44, ultimo comma, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 per la contestazione degli estremi della violazione al trasgressore) l'attività di accertamento deve essere ritenuta comprensiva anche del tempo necessario alla valutazione degli elementi acquisiti, ai fini del riscontro della loro idoneità ad integrare gli estremi (oggettivi e soggettivi) di comportamenti sanzionati come illeciti amministrativi dalle norme che regolano l'attività degli intermediari (Cass. 2 luglio 1997, n. 5904;
18 febbraio 2000, n. 1866, 15 marzo 2002, n. 3870); che la valutazione di tali elementi, pur non essendo assoggettata ad un termine predeterminato, deve tuttavia avvenire entro un tempo ragionevole, correlato alle caratteristiche e alla complessità della fattispecie, il cui apprezzamento è rimesso al giudice del merito, mediante un giudizio di fatto sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 1866/00;
3870/02); che nel caso di specie, essendo il decreto emesso dalla Corte d'appello di Roma, ai sensi dell'art. 44, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, impugnabile solo con il ricorso “straordinario" per cassazione (Cass. 15 marzo 2002, n. 3868;
nello stesso G M 7 senso, in relazione all'analoga previsione contenuta nell'art. 145, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385: Cass. 15 giugno 1999, n. 5936;
4 dicembre 1999, n. 13591;
C. Cost. 4 marzo 1999, n. 49), eventuali lacune o carenze della motivazione possono assumere rilievo solo se si concretano in una carenza totale dell'apparato argomentativo, ovvero in una mera apparenza di esso, perché sviluppato con argomenti inidonei a rivelare il procedimento logico attraverso il quale il giudice del merito è pervenuto alla decisione, oppure logicamente inconciliabili tra loro (tali da integrare violazione del precetto dell'art. 132, n. 4, c.p.c.) e non anche quando esse rivelino (mere) “insufficienze", idonee ad integrare gli estremi del vizio contemplato dall'art. 360, n. 5 c.p.c. (Cass. 3870/2002, cit.); che il decreto impugnato, premesso che l'accertamento deve essere "collocato all'esito del compimento delle varie operazioni dell'ispezione e alla conseguente redazione del verbale ispettivo", individua la decorrenza del termine stabilito dall'art. 14, 1. 689/81 nel momento in cui il Governatore ha apposto il proprio visto sulla relazione ispettiva, precisando che ciò è avvenuto circa “poco più di” due mesi dopo la chiusura delle operazioni ispettive; G M 8 che, contrariamente a quel che assume la ricorrente, tali affermazioni non sono affatto contraddittorie e lasciano intendere che la Corte territoriale, così decidendo ha ritenuto: о che l'accertamento, ai fini dell'applicazione del citato art. 14, non si esaurisce nella mera raccolta dei dati ma deve ritenersi comprensivo anche della loro valutazione ai fini del riscontro di tutti gli elementi costitutivi della violazione contestata; ° che la fase valutativa comportava, nel caso di specie, anche l'intervento dei vertici dell'Istituto; о che il tempo trascorso dalla conclusione delle operazioni ispettive, era stato esiguo e, quindi, "ragionevole"; che la motivazione del decreto, pur nella sua indubbia stringatezza, non può dirsi quindi totalmente carente e tale da configurare la violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c.; che, per quanto si è detto, le ragioni poste a fondamento della decisione adottata debbono essere ritenute, altresì, immuni da errori giuridici; che il loro eventuale contrasto con le "Istruzioni di vigilanza G M per le banche", nella parte in cui si precisa che il termine per la contestazione delle irregolarità accertate nel corso di indagini ispettive "decorre dalla conclusione degli accertamenti presso l'intermediario", non potrebbe assumere rilievo in questa sede, poiché trattasi di una prescrizione: о fondata su rapporti di supremazia speciale e indirizzata unicamente a soggetti sottoposti all'esercizio di tale potere; о destinata, quindi, ad operare, quale norma interna, solo nell'ambito dell'ordinamento particolare del credito (arg. ex artt. 4, primo comma e 8, secondo comma, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385); estranea, conseguentemente, all'ambito di applicazione dell'art. 360, n. 3, c.p.c., il quale è circoscritto alla violazione (e alla falsa applicazione) delle disposizioni che assumono il valore di norme giuridiche dell'ordinamento generale (Cass. 29 ottobre 1987, n. 8013, 17 gennaio 1991, n. 401;
18 gennaio 1993, n. 550); che la doglianza è pertanto infondata; che del pari infondata è la censura formulata con il secondo Giuseppe Marzi 10 motivo, con il quale il ricorrente denunziando violazione e - falsa applicazione dell'art. 44, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché vizio di motivazione assume che la Corte, anziché rilevare che il decreto ministeriale non aveva fornito alcuna indicazione circa le ragioni che avevano determinato l'applicazione del massimo della sanzione amministrativa, ed era quindi viziato, aveva essa stessa dato la motivazione del provvedimento impugnato, affermando che l'entità della sanzione era da ritenersi "congrua", avuto riguardo "alla gravità delle violazioni e alla sistematicità degli errori nelle segnalazioni di vigilanza", e tenuto conto che per ogni violazione contestata il massimo della sanzione era stabilito in L. 50.000.000; che, infatti, il denunziato vizio di motivazione (che può - riguardare solo la motivazione in fatto) è, anche in questo caso, palesemente insussistente, avendo la Corte indicato in modo chiaro e coerente le ragioni della decisione adottata; che la Corte, nell'affermare la "congruità" delle sanzioni pecuniarie concretamente inflitte ha precisato, inoltre, che, per ogni violazione contestata, "il massimo della sanzione" era stabilito in L. 50.000.000: quindi, in misura G M 11 sensibilmente superiore a quella concretamente inflitta dal Ministro; che tale puntualizzazione, la cui esattezza non è stata censurata dall'interessato, toglie valore alla doglianza formulata con il secondo motivo di ricorso, dal momento che essa, come già rilevato, poggia proprio sull'assunto che la sanzione fosse stata applicata nel massimo; che il ricorso deve essere quindi respinto in ogni sua parte; che le spese seguono la soccombenza e possono essere - liquidate come in dispositivo

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