Cass. pen., sez. V, sentenza 05/12/2022, n. 46058
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to la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da D T G, nato a Campi Salentina (Le), il 3/1/1960 avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Taranto del 5/3/2020 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
considerato che
il difensore dell'imputato, avv.to F G C, ha formulato ex art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, convertito, con modificazioni, dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, istanza di trattazione orale;
udita la relazione svolta dal Consigliere A M;
udito il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte di cassazione, A P, che ha concluso per il rigetto;
udito il difensore dell'imputato che ha esposto i motivi di ricorso insistendo nelle conclusioni ivi rassegnate.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 8/1/2015, la Corte di Assise di Lecce dichiarava, tra gli altri, l'imputato colpevole, per quanto qui di interesse, in concorso con altre persone, dell'omicidio di V C, posto in essere esplodendo più colpi di fucile e di pistola calibro 7,65, con premeditazione e per motivi abietti e futili consistiti in contrasti per la supremazia in campo criminale nell'ambito di un'associazione di tipo mafioso del quale il D T faceva parte, nonché per vendetta per l'uccisione di I D T, fratello dell'imputato (capo F dell'imputazione). Pronunciandosi sull'impugnazione di Giovanni D T, la Corte di Assise di Appello di Lecce, con sentenza dell'11/1/2016, sempre per quanto qui di interesse, confermava la condanna per l'omicidio aggravato.
3. La Corte di cassazione, in esito al giudizio di legittimità promosso dall'imputato avverso la decisione di secondo grado, con sentenza n. 18020 del 24/10/2017, annullava con rinvio detta decisione limitatamente all'omicidio di V C rigettando, nel resto, il ricorso. La Corte d'assise d'appello di Taranto, con sentenza del 5.3.2020, decidendo in sede di rinvio e in riforma della sentenza della Corte di assise di appello di Lecce e della Corte di assise di Lecce, riduceva la pena per i capi F) ed M) (quest'ultimo già oggetto di pronuncia irrevocabile e concernente l'omicidio di Donato Erpete) disponendo l'ergastolo con isolamento diurno di mesi 8 per effetto dell'assoluzione, divenuta irrevocabile, del D T dal reato di cui al capo B) (concernente altro omicidio nei confronti di Scalinci Luigi) e confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, proposto a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 627, comma 3, e 192, comma 3 del codice di rito per erronea valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e per mancanza di riscontri esterni individualizzanti. In particolare, la Corte d'assise d'appello in sede di rinvio avrebbe eluso l'obbligo imposto dal Giudice di legittimità di "risolvere il problema preliminare dell'attendibilità delle fonti dichiarative utilizzate per la ricostruzione del fatto" in quanto, relativamente alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio C (deceduto nelle more del processo di merito), non avrebbe spiegato come e quando quest'ultimo avrebbe appreso dall'imputato notizie in merito all'omicidio C, (avvenuto il 3 settembre 1989) posto che il D T era stato continuativamente detenuto da dicembre 1989;
in relazione invece alle dichiarazioni di Alessandro M, il giudice a quo avrebbe superato, con motivazione del tutto illogica e contraddittoria,. il contrasto tra le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia in ordine al movente, ricondotto dal M ad un'estorsione praticata dalla vittima sul territorio del D T senza il suo benestare, e individuato, invece, dal C e anche dall'altro collaboratore di giustizia D T, nell'amicizia della vittima con tale F P, ritenuto dall'imputato responsabile della morte del fratello, I D T.
2.2. Con il secondo motivo, proposto a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., lamenta la violazione dell'art. 577, comma 1, n. 3, cod. pen. in quanto la sentenza impugnata, nel confermare l'aggravante della premeditazione, non avrebbe dato adeguatamente conto del momento dell'insorgenza del proposito criminoso nella mente dell'imputato e da costui accettato, con la conseguenza che, non essendo stato accertato tale momento, si è nell'impossibilità di valutare l'esistenza di un ragionevole lasso di tempo tra lo stesso e la sua attuazione. In altri termini, non vi sarebbe la prova di una risoluzione criminosa ferma nell'animo dell'agente, perdurante nel tempo, né che l'arco di tempo intercorso tra il proposito criminoso e l'esecuzione era stato tale da permettere il ripensamento.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione e per violazione dell'art. 61, comma 1, n.1, cod. pen. La Corte ha ritenuto sussistere i motivi abietti e futili senza tenere conto del fatto che, avuto riguardo alle connotazioni culturali dell'imputato e al contesto socio-ambientale in cui lo stesso è sempre vissuto, la "trucidazione" del proprio fratello non può considerarsi né banale né sproporzionata. Censura, infine, l'omessa motivazione sia in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i fatti accertati in sentenza e quelli giudicati con le pregresse sentenze di condanna emesse a carico dell'imputato, sia in ordine al confermato diniego delle attenuanti generiche e sia, infine, in relazione alla rideterminazione della pena inflitta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1. Con riferimento al primo motivo di ricorso„ è opportuno preliminarmente, onde consentire una migliore comprensione delle questioni di diritto di cui dovrà occuparsi il Collegio, riportare, per quanto qui di interesse, i brani della motivazione della sentenza di questa Corte su cui è stato fondato l'annullamento con rinvio e che ha delimitato il perimetro valutativo del giudic:e del rinvio. La Prima Sezione ha affermato, dunque, che «Sul delitto in esame la motivazione è decisamente carente e le versioni del M e del C non risultano adeguatamente scrutinate. I punti di contrasto evidenziati dalla stessa Corte d'assise d'appello, nell'incedere motivazionale, restano irrisolti e non sono stati rielaborati in termini tali da soddisfare i parametri di logica coerenza che ne avrebbero permesso il riscontro reciproco, rispetto alla dichiarazione resa dal T, altra fonte collaborativa, secondo quanto imposto dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. In realtà, la lettura della motivazione non permette di intendere secondo quale criterio siano state scrutinate le dichiarazioni rese dai collaboratori e, soprattutto, non si intende a quale tra le diverse fonti il Giudice di merito abbia inteso dare credito, sia nella ricostruzione della spinta dichiarativa di ciascuno, sia nella tenuta logica di quanto affermato dalle fonti medesime. Né ritiene questa Corte appagante un approccio che dovesse valorizzare la formale convergenza sulla persona del chiamato, là dove si sposti, nel percorso narrativo di ciascuno, non solo l'iter commissivo, ma lo stesso ruolo del chiamato, ora introdotto tra gli esecutori materiali, ora additato come mandante del delitto, senza dare una spiegazione plausibile e, in primo luogo, convincente della discrasia esistente tra le distinte rappresentazioni offerte dai chiamanti. Nella specie la Corte territoriale, dopo aver richiamato per sintesi i nuclei essenziali delle relative prospettazioni, ha spiegato che il T aveva indicato il D T tra gli esecutori, unitamente a se stesso, al G e al B. Ha, altresì, osservato come il C (verbale di interrogatorio del 2/7/1993) avesse confermato che il gruppo esecutivo era composto dal D T, dal T e dal B. Il movente, secondo il dichiarante, come aveva riferito già il T, si legava alla precedente uccisione del fratello del D T stesso, I. La sovrapponibilità dei due contributi narrativi, da cui si sarebbe inferito un materiale dimostrativo logicamente coerente, è stata, poi, confrontata con quanto emergeva dal racconto del M, racconto che era in aperta distonia con quel patrimonio conoscitivo. Il M raccontava di uno scontro in carcere tra F S (fratello della ragazza che era in auto con il C e che aveva corso il rischio di essere attinta durante l'agguato) e lo stesso T, che subiva per detta ragione un'aggressione. Lo stesso M aveva riferito anche di un movente diverso da quello indicato dal T e dal C, legandolo all'iniziativa estorsiva del C, verso
SENTENZA
Sul ricorso proposto da D T G, nato a Campi Salentina (Le), il 3/1/1960 avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Taranto del 5/3/2020 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
considerato che
il difensore dell'imputato, avv.to F G C, ha formulato ex art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, convertito, con modificazioni, dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, istanza di trattazione orale;
udita la relazione svolta dal Consigliere A M;
udito il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte di cassazione, A P, che ha concluso per il rigetto;
udito il difensore dell'imputato che ha esposto i motivi di ricorso insistendo nelle conclusioni ivi rassegnate.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 8/1/2015, la Corte di Assise di Lecce dichiarava, tra gli altri, l'imputato colpevole, per quanto qui di interesse, in concorso con altre persone, dell'omicidio di V C, posto in essere esplodendo più colpi di fucile e di pistola calibro 7,65, con premeditazione e per motivi abietti e futili consistiti in contrasti per la supremazia in campo criminale nell'ambito di un'associazione di tipo mafioso del quale il D T faceva parte, nonché per vendetta per l'uccisione di I D T, fratello dell'imputato (capo F dell'imputazione). Pronunciandosi sull'impugnazione di Giovanni D T, la Corte di Assise di Appello di Lecce, con sentenza dell'11/1/2016, sempre per quanto qui di interesse, confermava la condanna per l'omicidio aggravato.
3. La Corte di cassazione, in esito al giudizio di legittimità promosso dall'imputato avverso la decisione di secondo grado, con sentenza n. 18020 del 24/10/2017, annullava con rinvio detta decisione limitatamente all'omicidio di V C rigettando, nel resto, il ricorso. La Corte d'assise d'appello di Taranto, con sentenza del 5.3.2020, decidendo in sede di rinvio e in riforma della sentenza della Corte di assise di appello di Lecce e della Corte di assise di Lecce, riduceva la pena per i capi F) ed M) (quest'ultimo già oggetto di pronuncia irrevocabile e concernente l'omicidio di Donato Erpete) disponendo l'ergastolo con isolamento diurno di mesi 8 per effetto dell'assoluzione, divenuta irrevocabile, del D T dal reato di cui al capo B) (concernente altro omicidio nei confronti di Scalinci Luigi) e confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, proposto a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 627, comma 3, e 192, comma 3 del codice di rito per erronea valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e per mancanza di riscontri esterni individualizzanti. In particolare, la Corte d'assise d'appello in sede di rinvio avrebbe eluso l'obbligo imposto dal Giudice di legittimità di "risolvere il problema preliminare dell'attendibilità delle fonti dichiarative utilizzate per la ricostruzione del fatto" in quanto, relativamente alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio C (deceduto nelle more del processo di merito), non avrebbe spiegato come e quando quest'ultimo avrebbe appreso dall'imputato notizie in merito all'omicidio C, (avvenuto il 3 settembre 1989) posto che il D T era stato continuativamente detenuto da dicembre 1989;
in relazione invece alle dichiarazioni di Alessandro M, il giudice a quo avrebbe superato, con motivazione del tutto illogica e contraddittoria,. il contrasto tra le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia in ordine al movente, ricondotto dal M ad un'estorsione praticata dalla vittima sul territorio del D T senza il suo benestare, e individuato, invece, dal C e anche dall'altro collaboratore di giustizia D T, nell'amicizia della vittima con tale F P, ritenuto dall'imputato responsabile della morte del fratello, I D T.
2.2. Con il secondo motivo, proposto a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., lamenta la violazione dell'art. 577, comma 1, n. 3, cod. pen. in quanto la sentenza impugnata, nel confermare l'aggravante della premeditazione, non avrebbe dato adeguatamente conto del momento dell'insorgenza del proposito criminoso nella mente dell'imputato e da costui accettato, con la conseguenza che, non essendo stato accertato tale momento, si è nell'impossibilità di valutare l'esistenza di un ragionevole lasso di tempo tra lo stesso e la sua attuazione. In altri termini, non vi sarebbe la prova di una risoluzione criminosa ferma nell'animo dell'agente, perdurante nel tempo, né che l'arco di tempo intercorso tra il proposito criminoso e l'esecuzione era stato tale da permettere il ripensamento.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione e per violazione dell'art. 61, comma 1, n.1, cod. pen. La Corte ha ritenuto sussistere i motivi abietti e futili senza tenere conto del fatto che, avuto riguardo alle connotazioni culturali dell'imputato e al contesto socio-ambientale in cui lo stesso è sempre vissuto, la "trucidazione" del proprio fratello non può considerarsi né banale né sproporzionata. Censura, infine, l'omessa motivazione sia in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i fatti accertati in sentenza e quelli giudicati con le pregresse sentenze di condanna emesse a carico dell'imputato, sia in ordine al confermato diniego delle attenuanti generiche e sia, infine, in relazione alla rideterminazione della pena inflitta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1. Con riferimento al primo motivo di ricorso„ è opportuno preliminarmente, onde consentire una migliore comprensione delle questioni di diritto di cui dovrà occuparsi il Collegio, riportare, per quanto qui di interesse, i brani della motivazione della sentenza di questa Corte su cui è stato fondato l'annullamento con rinvio e che ha delimitato il perimetro valutativo del giudic:e del rinvio. La Prima Sezione ha affermato, dunque, che «Sul delitto in esame la motivazione è decisamente carente e le versioni del M e del C non risultano adeguatamente scrutinate. I punti di contrasto evidenziati dalla stessa Corte d'assise d'appello, nell'incedere motivazionale, restano irrisolti e non sono stati rielaborati in termini tali da soddisfare i parametri di logica coerenza che ne avrebbero permesso il riscontro reciproco, rispetto alla dichiarazione resa dal T, altra fonte collaborativa, secondo quanto imposto dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. In realtà, la lettura della motivazione non permette di intendere secondo quale criterio siano state scrutinate le dichiarazioni rese dai collaboratori e, soprattutto, non si intende a quale tra le diverse fonti il Giudice di merito abbia inteso dare credito, sia nella ricostruzione della spinta dichiarativa di ciascuno, sia nella tenuta logica di quanto affermato dalle fonti medesime. Né ritiene questa Corte appagante un approccio che dovesse valorizzare la formale convergenza sulla persona del chiamato, là dove si sposti, nel percorso narrativo di ciascuno, non solo l'iter commissivo, ma lo stesso ruolo del chiamato, ora introdotto tra gli esecutori materiali, ora additato come mandante del delitto, senza dare una spiegazione plausibile e, in primo luogo, convincente della discrasia esistente tra le distinte rappresentazioni offerte dai chiamanti. Nella specie la Corte territoriale, dopo aver richiamato per sintesi i nuclei essenziali delle relative prospettazioni, ha spiegato che il T aveva indicato il D T tra gli esecutori, unitamente a se stesso, al G e al B. Ha, altresì, osservato come il C (verbale di interrogatorio del 2/7/1993) avesse confermato che il gruppo esecutivo era composto dal D T, dal T e dal B. Il movente, secondo il dichiarante, come aveva riferito già il T, si legava alla precedente uccisione del fratello del D T stesso, I. La sovrapponibilità dei due contributi narrativi, da cui si sarebbe inferito un materiale dimostrativo logicamente coerente, è stata, poi, confrontata con quanto emergeva dal racconto del M, racconto che era in aperta distonia con quel patrimonio conoscitivo. Il M raccontava di uno scontro in carcere tra F S (fratello della ragazza che era in auto con il C e che aveva corso il rischio di essere attinta durante l'agguato) e lo stesso T, che subiva per detta ragione un'aggressione. Lo stesso M aveva riferito anche di un movente diverso da quello indicato dal T e dal C, legandolo all'iniziativa estorsiva del C, verso
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