Cass. pen., sez. II, sentenza 07/03/2022, n. 08136

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 07/03/2022, n. 08136
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 08136
Data del deposito : 7 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1.C N, nato a Lamezia Terme il 30/08/1991, rappresentato ed assistito dall'avv. F L e dall'avv. A F, di fiducia 2.P P, nato a Soveria Mannelli il 05/02/1987, rappresentato ed assistito dall'avv. G C e dall'avv. A L, di fiducia 3.D A, nato a Catanzaro il 06/02/1969, rappresentato ed assistito dall'avv. L C e dall'avv. A L, di fiducia 4.F E, nato a Lamezia Terme il 24/08/1979, rappresentato ed assistito dall'avv. G G e dall'avv. G C, di fiducia avverso la sentenza in data 25/05/2020 n. 1266/2019 della Corte di appello di Catanzaro, prima sezione penale visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
letti i motivi nuovi presentati in data 14/10/2021 nell'interesse di F E e di P P;
udita la relazione svolta dal consigliere A P;
preso atto della tempestiva richiesta difensiva avanzata dall'avv. G C di discussione in presenza;
udite le conclusioni del Sostituto procuratore generale E P che ha chiesto di dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi di C N, P P e F E e di disporsi l'annullamento con rinvio per la rideterminazione della pena nei confronti di D A;
udite le conclusioni dei difensori comparsi, avv. F L, avv. A F, avv. G C, avv. G G, avv. A L e avv. M G, quest'ultima comparsa in sostituzione ex art. 102 cod. proc. pen. dell'avv. L C, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 25/05/2020, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia resa in primo grado all'esito di giudizio abbreviato dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro in data 12/01/2018, appellata dagli imputati E F, N C, A D e Paolo P, rideterminava la pena inflitta al F e al P nella misura di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 1.400 di multa ciascuno;
quella inflitta al Donato, previo riconoscimento del vincolo della continuazione con i reati oggetto della sentenza della Corte di appello di Catanzaro in data 07/07/2017, irrevocabile in data 13/07/2018, in complessivi anni quattordici di reclusione ed euro 3.000 di multa;
confermava, infine, la condanna pronunciata in primo grado nei confronti del C, pari ad anni dieci, mesi quattro di reclusione ed euro 2.200 di multa.

2. Il F, risulta essere stato condannato per il reato di cui al capo 1 (artt. 110, 61 n. 7, 628, comma 3, n. 1 cod. pen., 7 I. 203/1991). Il C, per i reati di cui ai capi 12 (artt. 110, 61 n. 7, 628, comma 3, n. 1, 3 quater cod. pen., 7 I. 203/1991), 12 bis (artt. 582, 585, 61 n. 2 cod. pen., 7 I. 203/1991) e 13 (artt. 10, 12, 14 I. 497/1974, 7 I. 203/1991) avvinti dal vincolo della continuazione. Il Donato, per i reati di cui ai capi 5 (artt. 110, 628, comma 3, n. 1 e 3 cod. pen., 7 I. 203/1991) e 6 (artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 10, 12, 14 I. 497/1974, 7 I. 203/1991), avvinti dal vincolo della continuazione. Il P, per il reato di cui al capo 12 (artt. 110, 61 n. 7, 628, comma 3, n. 1, 3 quater cod. pen., 7 I. 203/1991).

3. Avverso detta sentenza, nell'interesse di N C, Paolo P, A D ed E F, sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione.

3. Ricorso nell'interesse di N C. Lamenta il ricorrente:Primo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in ordine alle censure difensive proposte in atto di appello e motivi aggiunti, con travisamento della prova. Si è in presenza di sentenza illegittima per il conclamato travisamento della prova, reso evidente dalla incompatibilità tra le informazioni poste a base del provvedimento impugnato e quelle, sul medesimo punto, esistenti negli atti;
sentenza apparente, perché con essa la Corte territoriale ha eluso le articolate deduzioni difensive che scardinavano l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, il cui argomentare è stato acriticamente richiamato dai giudici del gravame. La Corte, anziché prendere in considerazione le censure difensive formulate, ha optato per un completo ed indifferenziato rinvio alle determinazioni del primo giudice con un argomentare privo di completezza ed esaustività, affermando apoditticamente ed immotivatamente che "non sussistono le asserite contraddizioni nel racconto del M". Secondo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 7 I. 203/1991 (ora 416 bis. 1 cod. pen.), 125 e 546 cod. proc. pen., manifesta illogicità ed intima contraddittorietà della motivazione con riferimento alla predetta aggravante nella duplice componente del metodo mafioso e della agevolazione mafiosa. Quanto al "metodo mafioso" era stato lo stesso G G (capo cosca) ad escludere la dimensione associativa della rapina de qua dimostrando il suo disinteresse rispetto a tale delitto, con conseguente esclusione dell'aggravante speciale nella sua dimensione oggettiva;
e, con riferimento alla dimensione soggettiva, non si riscontra negli atti alcuna risultanza lato sensu dimostrativa della consapevolezza, in capo al C, di aver agito al fine di avvantaggiare un'associazione di tipo mafioso (peraltro, nominativamente non individuata) ovvero di avere agito nella consapevolezza che tale fine animasse eventuali correi.

4. Ricorso nell'interesse di Paolo P. Lamenta il ricorrente: Primo motivo: mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il giudizio di colpevolezza a carico del P è stato affermato esclusivamente sulla scorta di una chiamata in correità formulata dal collaboratore di giustizia Umberto Egidio M ritenuta riscontrata dalla confessione stragiudiziale riportata da altro collaboratore, estraneo ai fatti, P C che su detta partecipazione si esprime in termini probabilistici. Invero, tra i parametri di valutazione a cui devono essere sottoposte le delazioni di un collaboratore ai fini del riconoscimento di un giudizio di credibilità v'è senz'altro quello della coerenza logica, della costanza, della verosimiglianza, della precisione e della reiterazione senza contraddizioni rilevanti, requisiti che non si rinvengono nel passaggio dichiarativo del M. Peraltro, nel momento in cui altri collaboratori hanno rilasciato dichiarazioni sullo specifico episodio (tra cui G G, Battista C ed Angelo Torcasio) non menzionano mai il P tra i partecipanti alla rapina. La Corte territoriale, nell'affrontare il tema relativo alla credibilità del M, messa in discussione dalle divergenze ed incongruenze dichiarative rispetto a quanto riferito dagli altri collaboratori, richiama alcuni dati (dichiarativi e documentali) che confermerebbero l'attendibilità in generale del collaboratore in relazione, però, ad altre accuse, senza affrontare la questione della credibilità del M: la Corte ritiene lo stesso attendibile sulla scorta di alcuni elementi che confermerebbero, però, la sua credibilità in relazione alle accuse coinvolgenti gli altri coimputati e non già quelle che coinvolgerebbero il P, atteso che gli elementi all'uopo richiamati in funzione confermativa sono tutti relativi alla fase preparatoria e comunque antecedente alla commissione del delitto, mentre il P, in base alle dichiarazioni del solo M, è chiamato a rispondere in forza di una partecipazione successiva al compimento della rapina segnatamente il recupero dei rapinatori, rispetto alla quale, invece, nulla è dato leggere in sentenza in punto di valorizzazione delle dichiarazioni contraddittorie del chiamante. Si è operata una sorta di efficacia traslativa interna dell'attendibilità intrinseca del dichiarante per cui, una volta che questo aveva superato il giudizio di credibilità relativamente a quanto riferito in ordine ad una parte di un determinato fatto ed alla responsabilità di alcuni autori, ha finito per assumere un credito fiduciario che si sarebbe esteso fino a ricomprendere tutti gli altri fatti da questi trattati e tutti gli altri soggetti accusati finendo così con il violare il principio di scindibilità delle dichiarazioni secondo cui il giudice di merito ben può ritenere veridica solo una parte di una confessione e di una successiva chiamata in correità e nel contempo disattenderne altre parti, prive di riscontri o tali da legittimare la messa in discussione della credibilità del dichiarante limitatamente a tale parte del narrato. Con riferimento poi a P C, la sua estraneità ai fatti oggetto di contestazione avrebbe dovuto impegnare sotto il profilo motivazionale ancor di più i giudici di merito rispetto al chiamante in correità, sebbene al contrario sia stata riconosciuta una sorta di autosufficienza probatoria alla dichiarazione del collaboratore, non prevista nemmeno per i testimoni. Una narrazione si considera a buona attendibilità intrinseca quando è logica, coerente, circostanziata nel tempo e nello spazio, ricca di dettagli e così via. Al contrario, quanto riferito da P C è assolutamente generico in quanto privo di qualsivoglia specificazione, in ordine al tempo, al luogo e al contesto in cui si è svolto il fatto riferito, completamente decontestualizzato e privo dei dettagli minimi in grado di consentire la verifica di attendibilità. Secondo motivo: violazione ed erronea applicazione degli artt. 192, comma 3 e 546, lett. e) cod. proc. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Va premesso che, in ordine alla sua personale conoscenza del fatto, P C riferisce che, in una imprecisata circostanza, tale O R, rivolgendosi anche a P, gli chiese se ricordava della rapina a V Gà e che in quella occasione P reagì mostrandosi compiaciuto ed esaltato per gli apprezzamenti fatti da O R. Si è eccepito come una simile dichiarazione, a prescindere dalla genericità che la connota, è del tutto evanescente sotto il profilo rappresentativo, non integrando i requisiti minimi per fungere da legittimo riscontro all'accusa formulata da M. Il narrato, per come riportato dal collaboratore, è privo dei requisiti idonei ad integrare i presupposti di una confessione stragiudiziale mancando proprio la dichiarazione confessoria, espressa ed univoca, proveniente dall'imputato: essa, invero, si sostanzia in una sorta di deduzione operata dal collaboratore sulla scorta di una sua personalissima valutazione sicuramente vietata dalla legge. Nessuna manifestazione verbale espressa vi è stata da parte del P in ordine alla sua partecipazione al delitto, non potendosi dire che lo stesso abbia rilasciato una dichiarazione confessoria. La manifestazione del C è poi assolutamente probabilistica ("dopo il colloquio con O R ho collegato le varie informazioni deducendo che entrambi, il M e il P, potevano aver partecipato alla rapina in questione"). Nel momento in cui si deve prendere atto che la dichiarazione di un collaboratore è connotata dal dubbio o dalla mera possibilità o da un giudizio probabilistico circa la partecipazione di un soggetto ad un determinato delitto, non solo la stessa non può ritenersi tecnicamente una chiamata accusatoria che certamente non può essere connotata dal dubbio ma, inoltre, non può nemmeno prestarsi a fungere da mero riscontro atteso che anche il riscontro fonda nella certezza la sua valenza confermativa quale simmetrica corrispondenza del dato accusatorio costituito da una chiamata, in correità o in reità, promanante da un collaboratore di giustizia secondo lo schema di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen.: rimane la chiamata del solo M che, a prescindere dalla sua attendibilità, risulta palesemente priva di validi riscontri e, come tale, inidonea a fondare l'affermazione del giudizio di colpevolezza. Terzo motivo: erronea applicazione dell'art. 416 bis. 1 cod. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. L'aggravante della mafiosità è stata ritenuta esclusivamente sotto il profilo soggettivo. Nel momento in cui in forza delle stesse dichiarazioni del M (oltre che di G G), si è accertato che i proventi della rapina sono stati suddivisi esclusivamente tra i partecipanti al delitto e, nel contempo, nemmeno una parte dell'ingiusto profitto è confluito nelle casse del clan, nella contemporanea estraneità al sodalizio dei concorrenti nel reato e, all'epoca dei fatti, anche dello stesso M, non pare dubitarsi dell'insussistenza dell'aggravante de qua. Inoltre manca qualsivoglia elemento che permetta di ritenere che il P avesse la consapevolezza della dimensione associativa del delitto.
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