Cass. pen., sez. V, sentenza 14/05/2020, n. 15130

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 14/05/2020, n. 15130
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15130
Data del deposito : 14 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: D M, nato in Senegal il 16/03/1959 avverso la sentenza del 18 ottobre 2019 della Corte d'appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere A T;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A P, che ha concluso per l'inammissibilità;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 ottobre 2019, la Corte d'appello di Catania ha, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Ragusa del 27 ottobre 2014, riqualificato il fatto sub b) ascritto a M D ai sensi dell'art. 648 cpv. cod. pen., rideterminando il trattamento sanzionatorio.

2. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Catania ha proposto ricorso l'imputato, con atto a firma del difensore, Avv. E M, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge per avere la Corte territoriale, all'esito della disposta qualificazione, applicato le attenuanti generiche in misura inferiore a quanto statuito in primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1.Non sussiste la violazione del divieto di reformatio in peius prospettata dal ricorrente.

1.1. in tema di divieto del trattamento sanzionatorio deteriore, questa Corte ha avuto modo di esprimersi nel senso che anche in ipotesi di riqualificazione del fatto in un'altra meno grave fattispecie - nel caso di specie quella prevista dall'art. 648 cpv. cod. pen. - il giudice di secondo grado non è tenuto ad individuare una pena base di misura inferiore a quella del primo giudice, purchè venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta (Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018 - dep. 2019, Melone, Rv. 274390;
n. 33563 del 2016, Rv. 267858;
n. 25606 del 2010, Rv. 247739). Nella medesima prospettiva, si è ritenuta (Sez. 4, n. 41566 del 27/10/2010, Tantucci, Rv. 248457;
Sez. 6, n. 41220 del 3/10/2012, Caravelli, Rv. 254261) insussistente la violazione del divieto di reformatio in peius nel caso in cui il giudice di appello, pur riconoscendo una nuova attenuante o escludendo una aggravante, confermi il trattamento sanzionatorio ed il giudizio di comparazione del primo giudice, essendo tale giudizio soggetto alla sola verifica di adeguatezza ai sensi dell'art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. (V. anche Sez. 5, n. 10176 del 17/1/2013, Andries, Rv. 254262). Siffatti orientamenti si pongono in linea di continuità anche la pronuncia Sez. U, n. 16208 del 27/3/2014, C., Rv. 258653, in tema di reato continuato e mutamento della sua struttura, secondo cui non viola il divieto di "reformatio in peius" previsto dall'art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell'impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest'ultinna), apporta per uno dei fatti unificati dall'identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore;
mentre, per il caso in cui tale struttura non muti, vale la regola, opposta, espressa da ultimo da Sez. 2, n. 34387 del 6/5/2016, Savarese, Rv. 267853. 1.2. Nel delineato contesto, l'opzione di ritenere necessaria la diminuzione della pena base per l'ipotesi in cui si rivaluti in melius la qualificazione giuridica del fatto, modificando la valutazione riferita a circostanze attenuanti o aggravanti - e di imporre, dunque, detta diminuzione al fine di evitare la violazione del divieto di reformatio in peius - confligge con la considerazione, legata alla struttura stessa del reato circostanziato, di autonomia di tale punto della decisione: la quantificazione della pena base si pone, infatti, come scelta discrezionale autonoma e non dipendente dalla presenza o dalla sorte di circostanze, le quali trovano disciplina sanzionatoria, a loro volta, non derivata dalla pena base. E' la pena finale ad essere frutto della valutazione combinata dei due momenti di giudizio sanzionatorio - quello riferito alla pena base e quello relativo alle circostanze del reato - tra loro collegati ma non reciprocamente vincolanti, come sembrano implicitamente ipotizzare le opzioni che fanno derivare la necessaria diminuzione della pena base dalla esclusione di una circostanza aggravante o dalla concessione di una (nuova) attenuante. Inoltre, correttamente si è posto in risalto come proprio la lettera del quarto connma dell'art. 597 cod. proc. pen. fornisce indicazioni solide a sostegno della soluzione qui condivisa e ribadita, poichè l'uso delle locuzioni 'pena complessiva irrogata' e 'corrispondentemente diminuita', dopo il richiamo alle situazioni dei reati concorrenti anche in continuazione o alle circostanze, appare del tutto congruo a casi di incidenza 'aritmetica' in un calcolo caratterizzato, rispetto alla pena base di partenza, da necessari seguiti che hanno condotto ad aggiungere o togliere entità autonome di pena ulteriore. L'opzione prescelta, che conferisce valore determinante alla quantificazione operata con la pena finale sembra, peraltro, coerente con il principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Sez. U, n. 33752 del 18/4/2013, Papola, Rv. 255660 secondo cui il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un'ulteriore circostanza attenuante, in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di "reformatio in peius", addirittura ribadire il giudizio di equivalenza tra le circostanze e confermare la pena applicata in primo grado, purchè fornisca per tale giudizio di equivalenza adeguata motivazione. Né appare possibile richiamare in senso opposto altra pronuncia delle Sezioni Unite, più risalente e, invero, forse molto calibrata sulla specifica questione sottoposta al massimo collegio nomofilattico, secondo cui, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall'imputato non riguarda solo l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l'effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597, comma 4, cod. proc. pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado. Difatti, a differenza che nel caso di specie, le Sezioni Unite si sono trovate a ragionare di una ipotesi in cui la pena base è stata aumentata e non (soltanto) tenuta entro gli stessi limiti della precedente misura determinata in primo grado.
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