Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 11/02/2014, n. 3031

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In materia di contratti a termine, l'art. 8, comma 3, del c.c.n.l. del 26 novembre 1994 per i dipendenti dell'Ente Poste Italiane (applicabile "ratione temporis") nel prevedere che il numero dei lavoratori assunti a tempo determinato rispetto a quelli assunti a tempo indeterminato non può superare la quota percentuale massima del dieci per cento, comporta che, ai fini della verifica dell'osservanza della clausola di contingentamento, deve tenersi conto del numero complessivo dei lavoratori, senza che i contratti a tempo determinato part - time siano suscettibili di essere considerati secondo il criterio cosiddetto "full time equivalent", ossia unitariamente fino alla concorrenza dell'orario pieno.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 11/02/2014, n. 3031
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 3031
Data del deposito : 11 febbraio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M C F - Presidente -
Dott. B G - Consigliere -
Dott. D C V - Consigliere -
Dott. N V - rel. Consigliere -
Dott. B G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 7195-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell'avvocato P R, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro
VAGNI ROBERTA C.F. VGNRRT63T46A462W, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato P M R, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 292/2012 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 15/03/2012 r.g.n. 49/2010 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. V N;

udito l'Avvocato P M R;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE E A, che ha concluso per il rigetto e in subordine accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 40 del 2009 il Giudice del lavoro del Tribunale di Ascoli Piceno, in parziale accoglimento della domanda proposta da Vagni Roberto nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie", per i periodo dal 5-7-2000 al 30-9-2000, con la conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato e condannava la società al ripristino del rapporto stesso. La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma, con il rigetto integrale della domanda di controparte. Anche la lavoratrice proponeva appello lamentando l'omissione della pronuncia di condanna al pagamento delle retribuzioni a titolo di risarcimento del danno.
La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza depositata il 15-3-2012, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava la società al pagamento, a titolo di indennità onnicomprensiva ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32 di otto mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con cinque motivi.
La Vagni ha resistito con controricorso.
La società ha poi depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente censura l'impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l'eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di tempo anteriore alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione di estinzione del rapporto stesso, con onere, in capo al lavoratore, di provare le circostanze atte a contrastare tale presunzione.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, "è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso" (v. da ultimo Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre "grava sul datore di lavoro", che eccepisca tale risoluzione, "l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1- 2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887). Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l'indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla

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