Cass. pen., sez. I, sentenza 12/01/2018, n. 00986

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 12/01/2018, n. 00986
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 00986
Data del deposito : 12 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

to la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: T G nato il 24/07/1961 a CATANIA GERACI NUNZIO nato il 28/09/1977 a CATANIA TIMPANARO SERAFINA nato il 15/06/1980 a CATANIA avverso il decreto del 19/05/2016 della CORTE APPELLO di CATANIA sentita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;
lette le conclusioni del PG R A che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con il decreto indicato in epigrafe, la Corte di appello di Catania confermava quello del Tribunale di Catania di applicazione nei confronti di T G di una misura di prevenzione personale nonché della confisca di beni mobili e immobili. Secondo la Corte, sussisteva la pericolosità sociale di T, condannato in via definitiva per reati attinenti alle armi e nei confronti del quale sussistevano indizi certi di appartenenza ad un'associazione per delinquere di stampo mafioso facente capo a C A, detenuto, nella quale era il punto di riferimento insieme a Porto Carmelo, nonché ad un'altra associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, condotta aggravata dal fine di favorire l'associazione mafiosa. La pericolosità risaliva al 2002 ma doveva ritenersi attuale sia per la natura mafiosa dell'associazione, sia per la data recente di scarcerazione di T (2014) nonché per la denuncia presentata nei suoi confronti per la violazione degli obblighi connessi alla misura di sorveglianza applicatagli. Con riferimento alle confische disposte dal Tribunale, la Corte rilevava che la difesa non aveva offerto alcuna documentazione che dimostrasse la sussistenza, per gli anni dal 1998 al 2001, di una maggiore disponibilità economica che avrebbe permesso accantonamenti da utilizzare utilizzati per l'acquisto dei due appartamenti. Si doveva escludere che gli appartamenti confiscati fossero stati acquistati con denaro di provenienza lecita, in assenza di comprovata disponibilità finanziaria del preposto;
l'acquisto era stato operato per una cifra consistente in concomitanza con la gestione dei traffici illeciti con i fornitori stranieri di droga e in presenza di una significativa riduzione dei redditi dichiarati;
né i redditi conseguiti dal coniuge V N permettevano di modificare tale valutazione. La somma di lire 300 milioni era stata pagata in contanti prima della stipula dei rogiti di acquisto (3/8/2000) ed era superiore al totale dei redditi dichiarati dal 1998 al 2000. La Corte riteneva provata la fittizia intestazione del Bar intestato a G N e la effettiva titolarità in capo a T: lo dimostrava un'intercettazione che svelava anche la volontà di T di non apparire come titolare. D'altro canto, la difesa di Geraci non aveva dimostrato di avere effettuato l'acquisto dell'esercizio con assegni circolari, di cui non vi era menzione nell'atto di vendita e che non erano stati prodotti. La circostanza che Geraci avesse una disponibilità economica era irrilevante, essendo stata provata la fittizia intestazione. La Corte confermava, infine, il decreto impugnato con riferimento alla confisca dell'autovettura di V N, che era stata acquistata in parte con assegno a firma dello stesso T.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Giuseppe T, deducendo, in un primo motivo, la nullità dell'impugnato decreto per omessa notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale. In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alle condizioni soggettive di applicabilità della misura di prevenzione patrimoniale. Secondo il ricorrente, la motivazione del provvedimento impugnato è apparente, in quanto la Corte aveva richiamato la motivazione del decreto del Tribunale omettendo di verificare la fondatezza delle richieste difensive e dei motivi di censura dedotti con l'atto di appello. La misura di prevenzione personale era stata decisa esclusivamente per il coinvolgimento di T in un unico procedimento penale per fatti risalenti a dodici anni prima, nel quale il dibattimento che non era stato nemmeno definito in primo grado. Gli indizi di partecipazione ad un'associazione mafiosa non erano affatto indicati con precisione e puntualità e i fatti risalivano al 2004 - 2005. Inoltre, la Corte non aveva tenuto conto del periodo di detenzione sofferto dal 2009 al 2013, in contrasto con l'indicazione data dalla Corte Costituzionale. La valutazione della attualità della pericolosità avrebbe dovuto essere effettuata con riferimento al momento della decisione. In effetti, la presunzione di permanenza dell'appartenenza del ricorrente ad un'associazione mafiosa doveva essere valutata approfonditamente tenuto conto della lunghezza del periodo detentivo. Anche su questo punto la motivazione del decreto impugnato è apparente. In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla misura della confisca. La Corte aveva limitato l'analisi delle risorse finanziarie lecite nella disponibilità del nucleo familiare di T ai soli redditi indicati dalla DIA, senza tenere conto di quelli percepiti da S C, genero convivente, indicati dalla consulenza di parte. La difesa aveva dimostrato che la provenienza dei beni era giustificata, ma la Corte non ne aveva tenuto conto;
inoltre, la sproporzione tra i redditi accertati e gli impieghi effettuati non era tale da legittimare un provvedimento ablativo. Il ricorrente contesta il criterio di calcolo esposto dal decreto ed osserva che la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto dell'incidenza sulle risorse dei redditi di provenienza lecita. La motivazione era apparente anche con riferimento alla confisca dell'autovettura di V N.

3. Ricorre per cassazione anche il difensore di G N, deducendo violazione di legge. Il decreto era stato emesso senza valutare la documentazione contabile prodotta dalla difesa al fine di provare sia la riconduzione del bene alla disponibilità effettiva di Geraci che la lecita provenienza del bene: la misura di prevenzione era stata adottata solo per una valutazione superficiale del vincolo di parentela del ricorrente con T. Tuttavia, trattandosi di nipote, nei confronti di Geraci non trovano applicazione le presunzioni previste per i familiari. Le intercettazioni telefoniche e il sopralluogo effettuato nell'esercizio dalla Guardia di Finanza non fornivano indizi gravi e precisi della disponibilità dell'esercizio in capo a T. Le considerazioni svolte dalla difesa non erano state prese in considerazione e la motivazione era superficiale e non teneva conto che Geraci aveva dimostrato di avere acquistato l'esercizio commerciale attraverso l'impiego di mezzi derivanti da legittime disponibilità finanziarie mediante una consulenza tecnica e le dichiarazioni dei soggetti coinvolti nella compravendita. L'onere della prova della fittizia intestazione gravava interamente sull'accusa e non era stato assolto. Il ricorrente conclude per l'annullamento del decreto impugnato.

4. Ricorre per cassazione anche il difensore di T Serafina, figlia di T G e proprietaria di uno dei due appartamenti confiscati al padre, deducendo violazione di legge ed omessa motivazione. Nell'atto di appello era stata denunciata la mancanza di motivazione del decreto del Tribunale, che non aveva preso in considerazione la documentazione che dimostrava che il nucleo familiare di T Serafina, in cui era compreso anche il di lei marito, aveva acquisito una capacità reddituale assolutamente idonea a sostenere l'acquisto dell'immobile. La Corte aveva negato che fosse stata depositata una consulenza tecnica che, al contrario, era stata prodotta in sede cautelare ed era stata richiamata anche successivamente. La motivazione del decreto impugnato, quindi, era del tutto mancante con riferimento alle richieste della difesa presentate nell'atto di appello.In un secondo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 2 ter legge 575 del 1965 e 12 sexies d.l. 306 del 1992. La Corte non aveva preso in considerazione la documentazione difensiva che provava l'errata riconducibilità della proprietà dell'immobile a T G e la lecita provenienza del bene confiscato. L'immobile era stato acquistato in epoca antecedente al periodo di presunta appartenenza di T G all'associazione mafiosa e ben quattro anni prima del suo coinvolgimento in attività illecite, cosicché mancava ogni collegamento tra i beni acquistati e il fatto criminoso. La Corte muoveva dal presupposto che il denaro utilizzato per l'acquisto dell'immobile fosse frutto dell'attività illecita, senza fornire motivazione sul punto. Inoltre le considerazioni sulle modalità di pagamento del bene acquistato e le valutazioni sulla sproporzione tra i redditi del nucleo familiare e gli acquisti effettuati erano errate: la Corte non aveva tenuto conto della stipula di un mutuo, le cui rate sarebbero state pagate anche con i proventi del lavoro del marito della ricorrente, S C Liborio, nonché delle somme accantonate negli anni precedenti, tenuto conto dei proventi dei familiari. La valutazione di sproporzione, per di più, era basata su dati teorici e non agganciata alle circostanze concrete.
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