Cass. pen., sez. I, sentenza 06/02/2023, n. 04990
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI CATANIAnel procedimento a carico di: GAMBOA RIASCOS JOSE ROBINSON nato il 18/10/1993 avverso la sentenza del 16/07/2021 del GIUDICE DI PACE di CATANIAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI;tleiVgo ubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI L, che ha concluso chiedendo L ',14/v//2/4f/FAITO armvic, Pe--M «47~ illf1 -,4977° coo r,9ain Seffo, E)< "94.f, 1,3 Ot 433/290 ft002., ,„7 RITENUTO IN FATTO 1. La Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania ricorre avverso la sentenza del G.d.P. di Catania del 16 luglio 2021, che ha assolto G R J R dal reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 10-bis d.lgs 25 luglio 1998, n. 286, con la formula «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato». Secondo l'accusa, l'imputato, cittadino extracomunitario, il 5 novembre 2020 aveva fatto ingresso (o si era trattenuto illegalmente) nel territorio dello Stato senza permesso di soggiorno. Il Giudice ha assolto l'imputato ritenendo che la fattispecie penale delineata dal combinato disposto degli artt. 10-bis T.U. imm., 53 e 55 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 non fosse conforme alla direttiva comunitaria n. 2008/115, in quanto il sistema di sanzioni in concreto irrogabili era idoneo a ritardare, e quindi a ostacolare, la procedura di allontanamento del soggetto in contrasto con una politica realmente efficace del controllo dei flussi migratori nell'ambito dell'Unione Europea. 2. Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 10 bis T.U. imm., 36, comma 2, 53 e 55 d.lgs. n. 274 del 2000, perché il G.d.P. avrebbe omesso di considerare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di disciplina penale dell'immigrazione clandestina, la previsione di una sanzione penale pecuniaria per la contravvenzione di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato non può essere disapplicata dal giudice di merito, poiché non si pone in contrasto con la citata direttiva europea, non costituendo ostacolo alla procedura di rimpatrio ivi prevista. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. Rispetto al contenuto della disciplina penale applicabile al caso di specie, è errato in diritto, in funzione della disapplicazione di tale disciplina, il richiamo al contenuto della giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia, 28 aprile 2011, El Dridi) che ha affermato il contrasto con gli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento europeo e dei Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, della disciplina italiana contenuta nel Testo unico in materia di immigrazione al tempo della pronuncia vigente, prevedente l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno era irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, avesse a permanere in detto territorio senza giustificato motivo. Orbene, è proprio in considerazione del contenuto di tale decisione che il legislatore nazionale ha emanato il decreto-legge 24 giugno 2011, n. 89 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 129), che - tra le altre disposizioni - ha sostituito con sanzioni penali pecuniarie le sanzioni detentive previste nel previgente art. 14, comma 5-ter, T.U. imm., che la citata sentenza della Corte di giustizia aveva ritenuto incompatibili con le pertinenti disposizioni della direttiva. Il G.d.P. ha quindi disapplicato una disciplina sanzionatoria diversa da quella ritenuta dalla citata sentenza El Dridi contrastante con gli artt. 15 e 16 della citata direttiva. Al riguardo, è opportuno precisare che la Direttiva U.E. 2008/115/CE, per come interpretata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, non si prefigge l'obiettivo di armonizzare integralmente le norme degli Stati membri sul soggiorno degli stranieri e, quindi, non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi come reato il soggiorno irregolare e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione (Corte giustizia, 06/12/2011, Achughbabian;Corte giustizia, 06/12/2012, Sagor). Con particolare riferimento alla disciplina penale dell'ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato contenuta nell'art. 10-bis T.U. imm., la stessa Corte di giustizia, con la citata sentenza Sagor e con l'ordinanza 21 marzo 2013, in causa C-522/11, Mbaye, ha chiarito che: l'adozione e l'esecuzione delle misure di rimpatrio previste dalla Direttiva U.E. 2008/115/CE non vengono ritardate o in altro modo ostacolate dalla circostanza che è pendente un'azione penale come quella prevista dal Testo unico in materia di immigrazione, dal momento che il rimpatrio previsto agli artt. 13 e 14 del citato Testo unico può essere realizzato indipendentemente da tale azione penale e senza che quest'ultima debba essere stata accolta;il fatto che l'azione penale conduca all'applicazione della pena dell'ammenda non è di per sé fatto idoneo ad ostacolare la procedura di rimpatrio sancita dalla direttiva, non impedendo in alcun modo l'applicazione di una pena pecuniaria che una decisione di rimpatrio sia adottata ed attuata nella piena osservanza delle condizioni enunciate agli artt. 6 - 8 Direttiva U.E. 2008/115/CE, né pregiudica le norme comuni in materia di adozione di provvedimenti restrittivi della libertà enunciate agli artt. 15 e 16 di tale direttiva;infine la direttiva non osta alla normativa di uno Stato membro che sanzioni il soggiorno irregolare di cittadini di paesi terzi con un'ammenda sostituibile con la pena dell'espulsione, ma tale facoltà di sostituzione può essere esercitata solo se ( la situazione dell'interessato corrisponde a una di quelle previste dall'art. 7, par. 4, di tale direttiva. Conformandosi al contenuto di tali pronunzie, la giurisprudenza di legittimità formatasi dopo tali modificazioni al Testo unico in materia di immigrazione recate dal d.l. n. 89 del 2011 ha avuto quindi modo di precisare che la sostituzione della pena dell'ammenda con l'espulsione coattiva ai sensi dell'art. 16 T.U. imm. è consentita ad eccezione che: a) emerga dagli atti il concreto rischio di fuga da parte dello straniero, che dovrà essere apprezzato caso per caso dal giudice in base a un esame individuale della situazione dello straniero, giacché, ove tale rischio non sussista, lo straniero ha diritto a una decisione di rimpatrio che gli riconosca, ai sensi dell'art. 7 della direttiva, un termine per la partenza volontaria, che non è in facoltà del giudice di pace concedergli;b) risulti accertato che è effettivamente possibile l'esecuzione immediata dell'espulsione e che non sussiste alcuna delle condizioni ostative di cui all'art. 14, comma 1, T.U. imm. Entro tali limiti, la fattispecie contravvenzionale non può però essere oggetto di disapplicazione (Sez. 1, n. 45544 del 15 settembre 2015, Ahmed, Rv. 265233). In conclusione, in tema di disciplina penale dell'immigrazione clandestina, la previsione di una sanzione penale pecuniaria per la contravvenzione di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato di cui all'art. 10-bis T.U. imm. non contrasta con la Direttiva del Parlamento e del Consiglio dell'Unione Europea in materia di rimpatri del 16 dicembre 2008, n. 115, non costituendo ostacolo alla procedura di rimpatrio prevista dalla stessa, e, pertanto, non può essere disapplicata dal giudice (Sez. 1, n. 12130 del 20/02/2019, Nyassi, Rv. 275049).
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