Cass. civ., sez. V trib., sentenza 15/01/2014, n. 643
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Fatto
La società contribuente impugnò atti di contestazione di sanzioni irrogate per i ritardati versamenti di accise sul gas metano per l'anno 2004, sostenendo l'inapplicabilità del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, in ragione dell'applicabilità della disciplina speciale stabilita dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 3, comma 4, recante il testo unico delle accise, essendo già stati irrogati dall'ufficio l'indennità di mora e gli interessi da tale ultima norma contemplati.
La commissione tributaria provinciale ha respinto il ricorso, con sentenza che la commissione tributaria regionale ha ribaltato, affermando la specialità della norma del testo unico delle accise rispetto a quella del D.Lgs. n. 471 del 1997.
Ricorre l'Agenzia delle dogane per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a tre motivi.
La società resiste con controricorso, spiegando altresì ricorso incidentale.
Entrambe le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.
Diritto
1.- Va anzitutto dichiarata l'inammissibilità del terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, col quale l'Agenzia delle dogane lamenta l'insufficienza della motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per la mancata esplicitazione delle ragioni che hanno indotto la Commissione tributaria regionale ad escludere la coesistenza della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 con l'indennità di mora e gli interessi previsti dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 3, comma 4.
1.1.-Il motivo finisce col censurare argomentazioni e statuizioni della sentenza;al riguardo, giova rimarcare che questa stessa sezione ha stabilito che "il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali l'insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti" (Cass. 29 luglio 2011, n. 16655).
2.- Col primo e col secondo motivo di ricorso, entrambi proposti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, da esaminare congiuntamente, perchè logicamente avvinti, l'Agenzia delle dogane lamenta:
-la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, artt. 13 e 16, del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 26 e art. 3, comma 4, affermando la diversità della sanzione e dell'indennità di mora e degli interessi rispettivamente previste dalle norme in esame, che ne consente la cumulativa applicazione - primo motivo;
-la violazione e falsa applicazione dell'art. 15 c.p., dell'art. 12 preleggi, anche in relazione alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 39 e dei principi generali, quali costituenti diritto vivente, sulla interpretazione delle leggi, sui rapporti fra legge generale e legge speciale e sul principio del ne bis in idem, ritenendo che il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 si applica anche al ritardato pagamento delle accise, non operando il principio di specialità o quello del ne bis in idem - secondo motivo.
2.1.- La complessiva censura proposta, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società, è corredata di quesiti di diritto congrui e specifici, è fondata.
Anzitutto, quanto alle relazioni, in parte qua, fra D.Lgs. n. 471 del 1997 e testo unico delle accise, va ribadito l'orientamento già più volte affermato da questa Corte, secondo il quale il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, già in base al suo titolo, oltre a regolare le sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, disciplina le sanzioni amministrative in materia di riscossione dei tributi in generale, ossia per la riscossione di tutti i tributi: nel sistema sanzionatorio costruito con i tre decreti del 18 dicembre 1997 (il n. 471, il n. 472 ed il n. 473), non esiste alcun'altra disposizione normativa che preveda la reazione dell'ordinamento agli illeciti commessi in occasione della riscossione.
Il sistema sanzionatorio generale così prefigurato è, poi, integrato con le disposizioni normative speciali d'imposta, che, per quel che riguarda le accise, effettivamente sono contenute nel D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 3, comma 4, che stabilisce i presupposti e la misura di corresponsione dell'indennità di mora.
Le due norme (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e l'art. 3, comma 4, del testo unico delle accise) si applicano cumulativamente, in quanto in relazione al medesimo oggetto esse assumono un contenuto diverso.
Al loro diverso contenuto corrisponde una diversa funzione dell'imposizione della somma da pagare: afflittiva quella della sanzione e reintegrativa del patrimonio leso quella dell'indennità di mora;e la diversità della funzione esclude la specialità della seconda, che impedirebbe l'applicazione della prima, secondo quanto asserito dalla società (Cass., ord. 14 aprile 2011, n. 8553;Cass., ord. 4 agosto 2010, n. 18140;Cass. 19 giugno 2009, n. 14303;Cass. 12 settembre 2008, n. 23517, tutte in tema di accise).
2.2.- D'altronde, anche la legge delega invocata dalla società conforta questa conclusione: si consideri che la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 133, lett. q), programma l'"...adeguamento delle disposizioni sanzionatorie attualmente contenute nelle singole leggi di imposta ai principi e criteri direttivi dettati con il presente comma e revisione dell'entità delle sanzioni attualmente previste con loro migliore commisurazione all'effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni in modo da assicurare uniformità di disciplina per violazioni identiche anche se riferite a tributi diversi, lenendo conto al contempo delle previsioni punitive dettate dagli ordinamenti tributari dei Paesi membri dell'Unione europea", evidenziando in maniera inequivocabile l'intento di apprestare una disciplina sanzionatoria uniforme per tributi diversi.
E pure i passi dei lavori parlamentari citati in controricorso dalla società suffragano questa interpretazione, là dove si fa riferimento alla finalità assegnata ai decreti in esame (ossia ai decreti nn. 471, 472 e 473 del 18 dicembre 1997) di "riordinare" il sistema delle sanzioni tributarie non penali creando organicità e unicità dei principi del sistema sanzionatorio, cambiando la natura risarcitoria delle sanzioni in afflittiva.
Gli elementi addotti dalla società basati sui lavori preparatori che hanno condotto all'adozione dei decreti in questione evidenziano che:
-alle sanzioni da tali decreti ridisegnate è assegnata natura afflittiva e non risarcitoria;
-le disposizioni contenute nei singoli testi d'imposta hanno, invece, natura risarcitoria e comunque di reintegrazione;
-per conseguenza, il principio di specialità fra norme tende ad eliminare la duplicazione della sanzione. Duplicazione, dunque, in radice esclusa proprio in considerazione della diversa funzione, nel nostro caso, di sanzione e d'indennità di mora.
3.- Quanto agli argomenti addotti dalla società in controricorso a sostegno della natura sanzionatoria dell'indennità di mora prevista dall'art. 3, comma 4 del testo unico delle accise, è anzitutto inconferente l'argomento che intende evincere tale natura dalla circostanza che la norma in questione contempla il pagamento, in aggiunta all'indennità di mora, degli interessi "pari al tasso stabilito per il pagamento differito di diritti doganali".
E' bene sottolineare che il legislatore, nel richiamare la disciplina degli interessi per il pagamento differito dei diritti doganali, ha fatto riferimento alla sola applicazione del tasso per essi stabilito, senza definirli come moratori.
Gli interessi in questione, difatti, rispondono a definizione e funzione di interessi compensativi, che devono essere corrisposti a causa del ritardato conseguimento, da parte del fisco creditore, delle somme dovute, con vantaggio del creditore, che non paga subito, di guisa che essi non rappresentano una duplicazione rispetto all'indennità di mora, in relazione alla finalità rispettivamente perseguita;e ciò in quanto la caratteristica di questi interessi, secondo quanto si evince dalle regole generali del diritto civile (l'esempio classico è fissato dall'art. 1499 c.c.) è che essi decorrono indipendentemente dall'imputabilità del ritardo al debitore.
3.1.-Nè a diverse conclusioni si può pervenire in considerazione dell'omessa graduazione dell'indennità di mora, il cui ammontare è dunque disancorato dal danno effettivamente subito.
L'ordinamento conosce numerose ipotesi di predeterminazione legale e forfettaria del danno, che non escludono la natura risarcitoria delle corrispondenti somme, anche se non graduate in relazione all'effettiva entità dei danni subiti: è la stessa contribuente a citare una di queste ipotesi, data dalla predeterminazione del danno fissata dall'art. 18 dello statuto dei lavoratori, cui si può aggiungere, in via d'esempio, la predeterminazione del danno stabilita dall'art. 1591 c.c. nel caso di ritardata restituzione della cosa da parte del conduttore in mora. D'altronde, anche le parti, nell'esercizio dell'autonomia privata, possono liquidare preventivamente e forfettariamente il danno, indipendentemente da specifici riferimenti alla concreta entità del pregiudizio effettivamente subito, mediante la pattuizione di clausole penali.
4.- La disciplina è dunque chiara, coerente e non presenta manifesti vizi di illegittimità costituzionale.
La chiarezza della disciplina e la sua uniforme applicazione da parte della giurisprudenza di questa Corte esclude la configurabilità della condizione di obiettiva incertezza prospettata dalla società nonchè l'applicabilità dell'art. 10 dello statuto del contribuente, che non può escludere l'applicabilità di sanzioni espressamente previste, ricorrendone i presupposti.
5. - Ne consegue l'accoglimento del ricorso, con assorbimento del ricorso incidentale, col quale la società ha chiesto di cassare la sentenza nella parte in cui ha affermato la portata generale estesa alla disciplina di tutti i tributi della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e con la cassazione della sentenza impugnata.
Non occorrendo accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto delle impugnazioni originariamente proposte dalla società.
Le particolarità della controversia, tuttavia, comportano la compensazione di tutte le voci di spesa.