Cass. pen., sez. V, sentenza 25/05/2018, n. 23600

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 25/05/2018, n. 23600
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23600
Data del deposito : 25 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: B E nato il 18/01/1963 a PADERNO DUGNANO avverso la sentenza del 30/11/2016 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere

FRANCESCA MORELLI

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore M D N che ha concluso per Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' Udito il difensore I

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Milano ha parzialmente riformato, escludendo la continuazione e riducendo la pena, la sentenza del Tribunale di Monza che aveva condannato B E alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, fallimento LABEM s.r.I., in quanto responsabile di bancarotta fraudolenta e semplice.

1.1. In particolare, B è stato ritenuto colpevole, in esito ai due gradi di giudizio, di avere, nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione prima e di amministratore unico poi, della s.r.l. LABEM, dichiarata fallita l'1.3.11, distratto a proprio profitto la somma di 30.000 euro mediante l'incasso senza titolo di assegni tratti sul conto corrente della società ed avere aggravato lo stato di dissesto astenendosi dal chiedere tempestivamente il fallimento della società.

1.2. La Corte d'Appello, quanto alla prima condotta, ritiene che sia documentalmente provata e che, a fronte dell'accertata fuoriuscita di liquidità dalle casse sociali senza contropartita, l'imputato non abbia offerto la prova liberatoria che gli incombeva. Quanto alla seconda condotta, si evidenzia che la società aveva omesso i versamenti delle imposte, dei contributi, dei tributi e degli oneri previdenziali relativi agli esercizi dal 2003 al 2008. Si era preferito impiegare le risorse nell'autofinanziamento dell'attività, diminuendo il debito nei confronti dei fornitori e delle banche piuttosto che adempiere ai pagamenti dovuti all'Erario e agli Enti previdenziali, situazione che avrebbe certamente condotto al dissesto. A giudizio della Corte, l'amministratore avrebbe dovuto prendere atto della situazione ed attivarsi con la procedura di liquidazione o la richiesta di fallimento.
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