Cass. civ., sez. III, sentenza 13/11/2018, n. 29017

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 13/11/2018, n. 29017
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 29017
Data del deposito : 13 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso 12289-2016 proposto da: CENTER STOCK SRL in persona del legale rappresentante pro tempore A P, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA ADRIANA

5, presso lo studio dell'avvocato L O, rappresentata e difesa dall'avvocato C P giusta procura speciale in calce al ricorso;372

- ricorrente -

contro

UNICREDIT LEASING SPA e per essa DOBANK S.P.A. in persona del Dott. G M' nella sua qualità di quadro direttivo, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GALLONIO

18, presso lo studio dell'avvocato M F, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1953/2016 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 23/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2018 dal Consigliere Dott. S G G;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. I P che ha concluso per il rigetto;
udito l'Avvocato C P;
udito l'Avvocato V M per delega;

FATTI DI CAUSA

1. La società Center Stock S.r.l. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1953/16 del 23 marzo 2016, emessa dalla Corte di Appello di Roma, che - rigettando il gravame esperito dall'odierna ricorrente contro l'ordinanza del 17 giugno 2015, resa dal Tribunale di Roma all'esito di giudizio ex art. 702-bis cod. proc. civ. - ne ha confermato, previa declaratoria di risoluzione di diritto del contratto di leasing intercorso con la Unicredit Leasing S.p.a., la condanna al rilascio di un capannone industriale già oggetto del contratto.

2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di essere stata convenuta in giudizio - con ricorso depositato il 16 dicembre 2014 - dalla predetta Unicredit Leasing S.p.a. (già Locat S.p.a.) affinché fosse accertato il suo inadempimento all'obbligo di pagamento dei canoni relativi alla locazione finanziaria dell'immobile suddetto, con conseguente risoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ. (ovvero, alternativamente, ex art. 1453 cod. civ.) e condanna al rilascio del bene. Costituitasi in giudizio, Center Stock eccepiva l'inesistenza del credito indicato quale presupposto dell'azione di risoluzione, atteso che - a fronte di un corrispettivo globale di C 1.697.471,05 - i canoni sarebbero stati "per anni" regolarmente versati, presentandosi l'inadempimento invocato dall'attrice come di "scarsa importanza", avendo la stessa comunicato la risoluzione in forza dell'omesso versamento di di C 88.044,01 a titolo di canoni scaduti, oltre che interessi. Siffatta quantificazione, tuttavia, sarebbe stata - a dire dell'odierna ricorrente - frutto di un "macroscopico errore", essendo stata "effettuata in violazione della normativa di cui alla legge n. 108 del 1996, nonché degli artt. 1283 e 1284 cod. civ.", giacché gli interessi applicati, soprattutto quelli moratori, "superavano di gran lunga il tasso soglia", presentando quindi natura usuraria. All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale capitolino, accertava l'avvenuta risoluzione di diritto del contratto, condannando Center Stock alla restituzione immediata del bene e ponendo a suo carico le spese di lite. Proposto appello dall'odierna ricorrente, sul duplice presupposto che la domanda attorea fosse improcedibile, per mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatoria ex art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, ed inoltre che la clausola risolutiva espressa apposta al contratto fosse da ritenersi illegittima, la Corte di Appello rigettava il gravame, compensando le spese del grado.

3. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione la Center Stock, svolgendo quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo - proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - si ipotizza violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28 del 2010. Si censura la sentenza impugnata per non aver dichiarato improcedibile la domanda attorea, in difetto di esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, decisione motivata sul rilievo che la relativa eccezione avrebbe dovuto essere sollevata in primo grado, alla prima udienza. Si tratta - a dire della ricorrente - di affermazione che "viola apertamente" la lettera della norma sopra richiamata, che impone il rilievo officioso dell'improcedibilità della domanda, confermandone così il carattere obbligatorio e non discrezionale.

3.2. Il secondo motivo - proposto sempre ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - deduce "violazione e falsa applicazione in relazione all'art. 1455 cod. civ.". Assume la ricorrente che - diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, che avrebbe richiamato, sul punto, "pronunce particolarmente risalenti nel tempo" - anche in caso di risoluzione ex art. 1456 cod. civ., "l'inadempimento deve connotarsi del carattere della gravità", non potendo la stessa "essere considerata in re ipsa". Nella specie, poi, l'inadempimento di essa Center Stock non presenterebbe il carattere della gravità, tale non potendo ritenersi "il mancato pagamento da parte della stessa di un numero, a dir poco esiguo, di canoni di locazione, a fronte dell'esborso di oltre due milioni di Euro".

3.3. Il terzo motivo - proposto nuovamente ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - deduce "violazione e falsa applicazione in relazione agli artt. 1525 e 1526 cod. civ.". Sul presupposto che nel nostro ordinamento manchi una "regolamentazione organica del contratto di leasing", la ricorrente asume che "nei più recenti arresti giurisprudenziali si è ritenuto applicabile al leasing finanziario il disposto di cui all'art. 1526 cod. civ. con conseguente illegittimità delle clausole risolutive espresse per contrasto con la predetta disposizione normativa avente natura inderogabile". Quanto, invece, al cd. leasing "traslativo" (qual è quello ravvisabile, secondo il ricorrente, nell'ipotesi che qui occupa), si è ritenuto, sempre ai sensi del già citato art. 1526 cod. civ., che "nel caso in cui la risoluzione avvenga per inadempimento del compratore (nel leasing, utilizzatore), il venditore (nel leasing, concedente) sia tenuto a restituire le rate riscosse, ma abbia diritto a vedersi riconoscere un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno";
lo scopo, in altri termini, è di scongiurare "un ingiustificato arricchimento del concedente", ciò che si verificherebbe se l'utilizzatore fosse "tenuto a pagare tutte le somme dovute per i canoni scaduti e non soddisfatti, a versare a titolo di penale i canoni non ancora scaduti e l'eventuale prezzo del riscatto, nonché a restituire il bene". Orbene, nella specie, "l'esborso di oltre due milioni di euro a fronte di un numero esiguo di canoni non pagati e scaduti non può considerarsi grave inadempimento idoneo a legittimare la risoluzione del contratto".
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