Cass. pen., sez. VI, sentenza 22/03/2023, n. 12071
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Segnala un errore nella sintesiIl provvedimento analizzato è una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, che ha esaminato il ricorso di un imputato contro la decisione della Corte di Appello di Bari. Le parti in causa erano l'imputato, che contestava la condanna per peculato, e la parte civile, rappresentata dall'ASL di Foggia, che chiedeva il rigetto del ricorso. L'imputato sosteneva l'illegittimità della sentenza di appello per omessa citazione e per la necessità di un esame diretto nel caso di ribaltamento della pronuncia assolutoria. La Corte ha accolto il secondo motivo di ricorso, evidenziando che, in caso di riforma di una sentenza assolutoria, è obbligatorio riassumere l'esame dell'imputato, in quanto le sue dichiarazioni sono state decisive per la valutazione del fatto. La Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata, ordinando un nuovo giudizio, sottolineando l'importanza di garantire il diritto di difesa e la necessità di una motivazione adeguata in caso di "overturning".
Sul provvedimento
Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da M A, nato a Manfredonia il 15/05/1952 avverso la sentenza del 19/10/2021 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere R A;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S S che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'avvocato A F, difensore della parte civile ASL di Foggia, che deposita memoria e nota spese e chiede l'inammissibilità o il rigetto del ricorso;
udito l'avvocato, V D S, difensore di A M che insiste per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Bari, in accoglimento degli appelli del Procuratore generale presso la Corte di appello e parte civile costituita, ASL Foggia, ha riformato la sentenza di assoluzione emessa in data 11 settembre 2018 dal Tribunale di Foggia, condannando il ricorrente A M per il reato ascrittogli di cui all'art. 314 cod. pen. alla pena di anni tre di reclusione, nonché risarcimento dei danni in favore della parte civile, da z liquidare in separata sede, con la pena accessorie e confisca della somma pari all'importo sottratto di euro 18.197, oltre spese e accessori di legge per entrambi i gradi di giudizio. Nel corso del giudizio di primo grado, l'imputato, sottoposto ad esame all'udienza del 29 maggio 2018, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, era stato assolto dalla imputazione ascrittagli relativa ad una ipotesi di peculato per essersi appropriato degli incassi relativi al pagamento delle spese sanitarie per conto dell'ASL di Foggia;
come incaricato di pubblico servizio avendo omesso di versare le somme incassate nei mesi di giugno, luglio e agosto 2014 per l'importo complessivo di euro 18.197. In estrema sintesi, il Tribunale ha assolto l'imputato con la formula per non aver commesso il fatto, ritenendo le deposizioni testimoniali del dirigente amministrativo Leone e del dipendente Armillotta, in servizio presso l'ASL di Foggia, insufficienti a dimostrare che l'ammanco di cassa fosse da imputarsi al predetto. Ciò perché il primo (Leone) aveva fatto riferimento a quanto espostogli dal secondo (Arrnillotta), mentre quest'ultimo essendo anch'esso coinvolto nel maneggio del denaro poteva essere stato lui stesso a sottrarre il denaro mancante. La Corte di appello, adita dalla parte civile soccombente e dal P.G., ha ribaltato la decisione del primo giudice, dopo aver disposto la riassunzione delle deposizioni dei due predetti testimoni, ravvisando la piena attendibilità di quanto riferito dall'Armillotta, per avere denunciato l'ammanco quale preposto al controllo della congruità delle somme versate e quelle riscosse, ed essendo la sua versione coerente sia alla procedura di consegna del denaro tra l'uno e l'altro, regolata dalla sottoscrizione di documenti in duplice copia necessari a documentare il passaggio del denaro, e sia a quanto riferito nell'immediatezza al proprio dirigente (Leone). Secondo il Giudice dell'appello le risultanze istruttorie di carattere documentale dimostrano con certezza la correttezza dell'operato di Armillotta, perché il primo Giudice ha omesso di considerare che le copie delle quietanze dovevano essere necessariamente conservate dall'imputato, e quindi la mancata disponibilità delle distinte firmate per la consegna del denaro ne prova la mancata effettuazione coerentemente a quanto denunciato da Armillotta.
2. Tramite il proprio difensore di fiducia, avv. V D S, A M ha proposto ricorso, articolando i motivi di seguito indic:ati.
2.1. Con il
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere R A;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S S che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'avvocato A F, difensore della parte civile ASL di Foggia, che deposita memoria e nota spese e chiede l'inammissibilità o il rigetto del ricorso;
udito l'avvocato, V D S, difensore di A M che insiste per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Bari, in accoglimento degli appelli del Procuratore generale presso la Corte di appello e parte civile costituita, ASL Foggia, ha riformato la sentenza di assoluzione emessa in data 11 settembre 2018 dal Tribunale di Foggia, condannando il ricorrente A M per il reato ascrittogli di cui all'art. 314 cod. pen. alla pena di anni tre di reclusione, nonché risarcimento dei danni in favore della parte civile, da z liquidare in separata sede, con la pena accessorie e confisca della somma pari all'importo sottratto di euro 18.197, oltre spese e accessori di legge per entrambi i gradi di giudizio. Nel corso del giudizio di primo grado, l'imputato, sottoposto ad esame all'udienza del 29 maggio 2018, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, era stato assolto dalla imputazione ascrittagli relativa ad una ipotesi di peculato per essersi appropriato degli incassi relativi al pagamento delle spese sanitarie per conto dell'ASL di Foggia;
come incaricato di pubblico servizio avendo omesso di versare le somme incassate nei mesi di giugno, luglio e agosto 2014 per l'importo complessivo di euro 18.197. In estrema sintesi, il Tribunale ha assolto l'imputato con la formula per non aver commesso il fatto, ritenendo le deposizioni testimoniali del dirigente amministrativo Leone e del dipendente Armillotta, in servizio presso l'ASL di Foggia, insufficienti a dimostrare che l'ammanco di cassa fosse da imputarsi al predetto. Ciò perché il primo (Leone) aveva fatto riferimento a quanto espostogli dal secondo (Arrnillotta), mentre quest'ultimo essendo anch'esso coinvolto nel maneggio del denaro poteva essere stato lui stesso a sottrarre il denaro mancante. La Corte di appello, adita dalla parte civile soccombente e dal P.G., ha ribaltato la decisione del primo giudice, dopo aver disposto la riassunzione delle deposizioni dei due predetti testimoni, ravvisando la piena attendibilità di quanto riferito dall'Armillotta, per avere denunciato l'ammanco quale preposto al controllo della congruità delle somme versate e quelle riscosse, ed essendo la sua versione coerente sia alla procedura di consegna del denaro tra l'uno e l'altro, regolata dalla sottoscrizione di documenti in duplice copia necessari a documentare il passaggio del denaro, e sia a quanto riferito nell'immediatezza al proprio dirigente (Leone). Secondo il Giudice dell'appello le risultanze istruttorie di carattere documentale dimostrano con certezza la correttezza dell'operato di Armillotta, perché il primo Giudice ha omesso di considerare che le copie delle quietanze dovevano essere necessariamente conservate dall'imputato, e quindi la mancata disponibilità delle distinte firmate per la consegna del denaro ne prova la mancata effettuazione coerentemente a quanto denunciato da Armillotta.
2. Tramite il proprio difensore di fiducia, avv. V D S, A M ha proposto ricorso, articolando i motivi di seguito indic:ati.
2.1. Con il
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