Cass. pen., sez. I, sentenza 19/11/2021, n. 42442

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 19/11/2021, n. 42442
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 42442
Data del deposito : 19 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MORETTI ANTONIO nato a BARI il 17/04/1982 avverso la sentenza del 03/06/2020 della CORTE ASSISE APPELLO di BARIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere G R;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA CASELLA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. L'avv. BELSITO MARCELLO conclude, riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Bari confermava quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari di condanna di A M alla pena di anni venti di reclusione per i delitti di concorso in omicidio volontario pluriaggravato di C D e di detenzione e porto di una pistola cal. 7'65. Secondo l'imputazione, M aveva ucciso D il 28 agosto 2011 insieme a G C, successivamente deceduto, esplodendo nei suoi confronti numerosi colpi di arma da fuoco. Vengono contestati il metodo mafioso di cui all'art. 7 legge 203 del 1991 nonché l'aggravante di cui all'art. 71 d. I.vo 159 del 2011, essendo l'imputato, all'epoca del delitto, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. I due aggressori e la vittima facevano parte di due clan mafiosii e l'omicidio era stato compiuto per la necessità di consolidare il ruolo egemonico del clan F nel quartiere San Pasquale di Bari mediante l'eliminazione fisica delle propaggini del clan D che cercavano di estendere la supremazia di quel clan in quel quartiere;
il delitto era avvenuto con modalità plateali, in luogo pubblico davanti agli occhi di passanti e nell'ambito di uno scontro armato tra i due gruppi contrapposti, così avendo anche un effetto intimidatorio. Viene contestata anche la recidiva reiterata infraquinquennale. Il procedimento a carico di ignoti era stato archiviato per poi essere riaperto a seguito delle dichiarazioni del collaboratore Giuseppe S, cui si erano aggiunte quelle di Giacomo P e di G V. Secondo la ricostruzione resa possibile anche dall'esame delle riprese di alcune telecamere di sorveglianza, quando un gruppo di motoveicoli di appartenenti al clan D, capeggiato dalla moto su cui C D viaggiava come trasportato, aveva fatto ingresso in una determinata strada, C e M, che viaggiavano su un motoveicolo, se ne erano accorti;
M era sceso dal mezzo e aveva inseguito quelle moto che avevano svoltato in un'altra via;
era stato fatto segno di colpi di pistola da parte di Lorenzo Siciliani e aveva inseguito C D, a sua volta sceso dal motoveicolo, mentre si dava alla fuga;
successivamente era stato ripreso a bordo da C che aveva manovrato il mezzo a questo scopo, e i due si erano fuggiti;
D era stato caricato su una moto ma, poco dopo, era caduto per le ferite e ivi abbandonato dai compagni;
era morto alcune ore dopo in ospedale. L'atto di appello aveva sostenuto che le dichiarazioni utilizzate dal Giudice di primo grado erano generiche nonché intrinsecamente ed estrinsecamente inattendibili. La Corte territoriale, al contrario, le riteneva precise, coerenti, logiche ed immuni da contraddizioni, univoche, reciprocamente riscontrate e confermate da altri elementi probatori. Quanto a S, le circostanze da lui riferite erano verosimili e coerenti con la ricostruzione del delitto operata sulla base degli ulteriori elementi probatori. Il ruolo di intermediario assunto in una fase precedente al delitto rendeva verosimile che S fosse destinatario delle confidenze di M, che gli aveva riferito di essere il killer di D. Inoltre, egli aveva avuto le confidenze da D C, il conducente del motoveicolo su cui viaggiava D. Analogamente la Corte valutava le dichiarazioni di P - anch'egli aveva ricevuto confidenze da M - e di G V, che aveva appreso dal marito V F, capo del clan, che era stato M ad uccidere D. Le dichiarazioni, quindi, risultavano probanti e si riscontravano reciprocamente. Le differenze tra le diverse versioni apparivano secondarie. S e la V, inoltre, erano stati testimoni diretti di due fasi dell'azione: il primo. di quella iniziale, la seconda di quella finale, avendo ella visto C e M rientrare dopo l'omicidio a bordo della moto del primo, cambiarsi gli abiti e indossare caschi integrali al fine di evitare ogni controllo. I riscontri al narrato dei tre dichiaranti provenivano da un'intercettazione ambientale, nella quale S narrava quanto accaduto e, in particolare, della provocazione operata da D nei confronti di C e M, ai quali aveva mostrato la pistola mentre passava con la moto•, dalle riprese delle telecamere di sorveglianza - che, tra l'altro, avevano ripreso M che esplodeva almeno tre colpi di pistola nei confronti di D - e ,dietl riconoscimento dell'imputato, operato, con assoluta certezza, da parte di due operanti della Polizia di Stato, che lo conoscevano e avevano, inoltre, acquisito numerose sue immagini. Ancora, una testimone aveva visto il giovane poi identificato in M scendere dal motoveicolo su cui viaggiava e correre verso la strada che avevano imboccato i motoveicoli del gruppo D;
la donna, subito dopo, aveva sentito gli spari. La Corte territoriale riteneva equa la pena inflitta, confermava il diniego delle attenuanti generiche nonché dell'attenuante della provocazione e respingeva il motivo di appello con cui veniva chiesta la disapplicazione della recidiva;
riteneva sussistente, per le modalità del fatto, l'aggravante del metodo mafioso, oltre a quella derivante dalla sottoposizione dell'imputato, alla data del delitto, AkIla misura di prevenzione.
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