Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/10/2005, n. 20119
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In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, la ricorrenza di un illecito disciplinare, ai sensi dell'art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, non può essere configurata per effetto della semplice violazione di una norma di legge, richiedendosi, invece, che l'inosservanza della norma sia frutto di dolo o colpa grave, e cioè tale da evidenziare un comportamento di scarsa ponderazione, approssimazione, frettolosità o limitata diligenza, suscettibile di incidere negativamente, in concreto, sulla credibilità del magistrato ovvero sul prestigio dell'ordine giudiziario. (Nell'enunciare siffatto principio, le S.U. hanno rigettato il ricorso proposto dal Ministro della giustizia avverso la sentenza della Sez.disc. del Cons. Sup. Magistratura, che aveva dichiarato non farsi luogo a dibattimento nei confronti di una magistrato che svolgeva funzioni di giudice delegato, in riferimento alla appropriazione da parte di un curatore fallimentare di somme di pertinenza di alcune procedure fallimentari mediante la predisposizione di falsi mandati di pagamento ed il mancato versamento di somme ricavate con la liquidazione dei beni, in quanto era stata esclusa l'esistenza di rapporti non trasparenti tra il curatore e l'incolpato, era stato accertato che a quest'ultimo non poteva farsi carico dell'organizzazione dei servizi della cancelleria e dello svolgimento dei compiti da parte degli ausiliari, non risultando neppure costituita una sezione fallimentare, mentre dalla stessa relazione ispettiva emergeva l'esistenza di un carico di lavoro eccedente la capacità operativa dell'ufficio, nonchè lo svolgimento di plurime funzioni da parte del magistrato, il quale aveva avuto una produttività molto elevata ed aveva anche segnalato al Presidente del Tribunale ed al Consiglio giudiziario la allarmante carenza strutturale dell'ufficio).
In materia di procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordinari, l'art. 60 del d.P.R. n. 916 del 1958 va interpretato ritenendo che il Ministro della giustizia è direttamente legittimato a proporre ricorso avanti le Sezioni Unite della Corte di cassazione contro le decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, anche quando l'azione sia stata esercitata dal P.G. della Repubblica presso la Corte di cassazione e la Sezione disciplinare abbia accolto la richiesta, da questi formulata, di dichiarare in camera di consiglio di "non farsi luogo a dibattimento", in quanto l'art. 59 di detto d.P.R., stabilendo la scissione tra titolarità dell'azione disciplinare ed esercizio della medesima, persegue l'esigenza di evitare che l'esercizio dell'azione sia attribuita ad un organo amministrativo, che viene meno una volta che la Sezione disciplinare abbia pronunciato sentenza, avverso la quale il Ministro della giustizia può direttamente proporre ricorso, avvalendosi della rappresentanza e difesa 'ex legè dell'Avvocatura dello Stato.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. I G - Primo Presidente f.f. -
Dott. C O F - Presidente di sezione -
Dott. V A - Presidente di sezione -
Dott. P V - rel. Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
Dott. V G - Consigliere -
Dott. F G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro-tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
- ricorrente -
contro
N, elettivamente domiciliato in LOCALITA1,
presso lo studio dell'avvocato N, rappresentato e difeso dall'Avvocato N giusta delega a margine del
controricorso;
- controricorrente -
e contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimato -
avverso la sentenza n. 77/04 del Consiglio Superiore della Magistratura, depositata il 27/01/05;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/10/05 dal Consigliere Dott. V P;
uditi gli Avvocati ALBENZIO Giuseppe dell'Avvocatura Generale dello Stato e N;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 22 maggio 2002 la Dott.a NOME4, commercialista
alla quale erano stati affidati numerosi incarichi fallimentari dal Tribunale di LOCALITA2, si autoaccusò di essersi appropriata, in concorso con il coniuge NOME5, di oltre otto miliardi di lire di pertinenza di alcune procedure concorsuali, sia mediante la predisposizione di falsi mandati di pagamento, sia omettendo di versare somme derivanti dalla liquidazione dei relativi beni, sia attraverso ingiustificati prelievi.
Disposta un'inchiesta amministrativa, questa rilevò l'esistenza di un'organizzazione talmente fatiscente da avere comportato la costante e totale assenza della possibilità stessa di controlli ad opera dei giudici delegati circa l'operato dei curatori e dei coadiutori in genere. Il Procuratore Generale presso questa Corte promosse, quindi, l'azione disciplinare nei confronti del Dott. N, incolpato, ai sensi dell'art. 18 del r.d. 31 maggio 1946 n. 511, di avere gravemente mancato ai propri doveri, avendo, in particolare, svolto le funzioni di giudice delegato ai fallimenti presso il Tribunale LOCALITA2 con modalità tali da porsi, di fatto, nella impossibilità di esercitare i delicati controlli previsti dalla disciplina del settore, abdicandovi passivamente, non considerando peraltro che già la mera astratta possibilità di verifica della condotta dei curatori e dei coadiutori fallimentari avrebbe potuto dissuaderli dall'intraprendere iniziative criminose, quali quelle poste in essere, nella specie, dalla NOME4. In sede di interrogatorio il Dott. N contestò la sussistenza degli addebiti.
All'esito dell'istruttoria sommaria il Procuratore Generale chiese che la Sezione disciplinare del C.S.M. dichiarasse in Camera di consiglio "non farsi luogo a dibattimento" per tutti i capi di incolpazione, ad eccezione di alcuni profili, in ordine ai quali sollecitò la discussione orale. All'udienza del 7 settembre 2004, la Sezione dichiarò, conformandosi alla richiesta dell'inquirente, "non farsi luogo a dibattimento", essendo "risultati esclusi gli addebiti, in relazione ai capi di incolpazione 1, 2, 3 (prima parte), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 al fallimento NOME6, al concordato
preventivo NOME7, ai fallimenti NOME8, NOME9, N0 s.p.a.": capi di incolpazione concernenti, nell'ordine, la mancata formazione nei fascicoli fallimentari di un indice con un cronologico (1);
la mancata puntuale osservanza dell'obbligo degli istituti bancari depositari di restituire alla cancelleria copia dei mandati di pagamento (2), della relazione cui è tenuto il curatore a norma dell'art. 33 l. fall. (3), della verifica dei libri giornali tenuti dai curatori e dei libretti dei depositi bancari (4);
le insufficienti modalità nel deposito dei rendiconti (5);
la mancanza di riscontro nei fascicoli fallimentari dell'attività di liquidazione (6);
la frequente intestazione dei libretti di deposito ai curatori e ai commissari (anziché alle procedure) (7);
la custodia dei libretti presso i curatori, anziché presso l'ufficio (8);
l'emissione dei mandati di pagamento a favore dei curatori personalmente (9);
il mancato deposito delle firme autografe del g.d. e del cancelliere (10);
nonché (nell'ambito di tali fatti) quello di aver conferito alla NOME4, in una procedura di concordato preventivo, cumulativamente la duplice funzione di commissario giudiziale e di liquidatore. La Sezione disciplinare - rilevato che la stessa relazione ispettiva aveva escluso ipotesi di illeciti o di non trasparenti rapporti tra l'incolpato e la NOME4 ed aveva poi concluso che il carico di lavoro eccedeva la capacità operativa dell'ufficio in funzione delle