Cass. pen., sez. VI, sentenza 13/03/2023, n. 10684
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Testo completo
seguente SENTENZA sul ricorso proposto da EL GA AN, nato il [...] a [...] avverso la sentenza del 10/02/2022 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Gaetano De Amicis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Simone Perelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile Comune di Castellammare di Stabia, Avv. Ennidio Matteis, che si è riportato alle conclusioni depositate in udienza, chiedendo la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado;
uditi i difensori dell'imputato, Avv. Franco Carlo Coppi e Avv. Pasquale Giro Sepe, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10 febbraio 2022 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza pronunciata il 28 novembre 2019 dal Tribunale di Torre Annunziata, che riconosceva AN EL GA - funzionario capo dell'ufficio di edilizia privata del settore urbanistico del Comune di Castellammare di Stabia - colpevole del reato di cui all'art. 319-quater cod. pen., così qualificati i fatti inizialmente contestati ex artt. 81, secondo comma, 317 cod. pen., condannandolo alla pena di anni quattro di reclusione e alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, con il risarcimento dei danni in favore del Comune di Castellammare di Stabia, costituitosi parte civile, e la confisca di quanto in sequestro ai sensi dell'art. 240-bis cod. pen.
2. Avverso la su indicata decisione hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di fiducia dell'imputato, censurando, con un primo motivo, violazioni di legge ai sensi degli artt. 63, 234, 266, 267, 268, 271 cod. proc. pen. e vizi della motivazione con riferimento alla possibilità di utilizzazione ex art. 234 cod. proc. pen. delle registrazioni dei presunti colloqui intervenuti fra l'imputato e la persona offesa Donato SE. Al riguardo si deduce, anche sulla base delle dichiarazioni del SE nell'udienza dibattimentale del 15 gennaio 2015: a) che le registrazioni sono state illegittimamente effettuate attraverso uno strumento fornito dagli organi investigativi e d'intesa con essi;
b) che, nonostante un'espressa richiesta del Tribunale, il supporto originario con il quale sono state realizzate non è mai stato consegnato al perito e al consulente di parte ai fini della relativa opera di trascrizione, con la conseguente impossibilità di controllare la genuinità e l'attendibilità del contenuto delle registrazioni;
c) che il perito nominato dal Tribunale, di conseguenza, ha effettuato le trascrizioni di files copiati dallo stesso SE, senza alcun preventivo controllo della corrispondenza tra quelli copiati e quelli originari;
d) che nel corso del dibattimento, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, erano emersi precisi indizi di inattendibilità e possibile manipolazione del contenuto delle registrazioni. Si pone altresì in evidenza: a) che il Tribunale ha illegittimamente ritenuto la inutilizzabilità delle dichiarazioni del SE in dibattimento, sul rilievo che le stesse erano state rese in difetto delle garanze previste dall'art. 210 cod. proc. pen., sebbene tali dichiarazioni fossero prive di carattere auto-indiziante, tanto che il relativo esame dibattimentale non è mai stato sospeso;
b) che il predetto dichiarante, infatti, non aveva mai assunto la qualità di indagato ovvero di imputato.
2.1. Con un secondo motivo, inoltre, si deduce la violazione del principio di correlazione ex art. 521 cod. proc. pen., atteso che la modifica del titolo del reato è avvenuta solamente in sentenza, con la conseguente declaratoria di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal SE, privando la difesa dei concreti elementi a discarico emersi nel corso della sua escussione dibattimentale, allorquando la suddetta persona offesa ebbe ad affermare di non aver mai promesso somme di denaro all'imputato, così escludendo qualsiasi condotta di costrizione o induzione in suo danno.
2.2. Con un terzo motivo si lamentano violazioni di legge ex artt. 56, 319- quater cod. pen. e correlati vizi della motivazione, anche per travisamento dei fatti, con riferimento alla correttezza dell'iter procedurale relativo al permesso di costruire rilasciato alla persona offesa il 13 aprile 2013, là dove la sentenza impugnata, senza mettere in discussione la legittimità del provvedimento di sospensione della "d.i.a.", ha illogicamente ritenuto di individuarvi una sorta di pressione indiretta nei confronti del SE, senza considerare che tale atto non solo non sortiva alcun effetto in ordine all'eventuale dazione, ma nemmeno ostacolava il rilascio del titolo abilitativo, avvenuto qualche giorno dopo. Si assume, al riguardo: a) che la persona offesa non ha effettuato alcun esborso di somme in favore dell'imputato, non essendo stata indotta o coartata dall'adozione del predetto provvedimento di sospensione: b) che, pur a prescindere dalle dichiarazioni del SE, erroneamente dichiarate inutilizzabili, non è mai emersa la circostanza che la sospensione della "d.i.a.", imposta dall'esigenza di rispetto della pertinente normativa amministrativa, lo abbia condizionato a dare o promettere somme di denaro in favore dell'imputato;
c) che se la condotta induttiva fosse stata determinata, nella prospettiva seguita dalla sentenza impugnata, dall'andamento dell'iter amministrativo, ne risulterebbe con evidenza la diversa ipotesi di un delitto solo tentato.
2.3. Con un quarto motivo si deduce, in via subordinata, che il corretto inquadramento normativo della fattispecie in esame dovrebbe individuarsi nello schema descrittivo del reato di cui all'art. 318 cod. pen., poiché la sentenza impugnata fa coincidere il patto corruttivo o la condotta di induzione con l'adozione del provvedimento, del tutto legittimo, di sospensione della "d.i.a.".
2.4. Con un quinto motivo si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione alla sussistenza dei presupposti per l'applicazione della confisca di cui all'art. 240-bis cod. pen., avendo la Corte distrettuale erroneamente determinato, sulla base di una non corretta impostazione metodologica seguita dalla consulenza tecnica d'ufficio, sia il valore del patrimonio sequestrato, sia quello della ritenuta sproporzione, senza considerare, segnatamente, gli elementi di seguito indicati: a) l'imputato ha assunto a tempo pieno la funzione pubblica oggetto della contestazione solo in data 21 luglio 2010, avendo in precedenza svolto attività libero-professionale e di gestione patrimoniale-finanziaria, con il progressivo accumulo di una notevole capacità reddituale, del tutto idonea a giustificare il patrimonio del quale è stata poi disposta la confisca;
b) nel segmento temporale riconnpreso fra gli anni 2010-2014, rilevante ai fini del tipo di reato in contestazione, il patrimonio del nucleo familiare non ha registrato alcun incremento di ordine patrimoniale, ma solo modifiche di carattere qualitativo;
c) il dato relativo alla complessiva entità degli importi guadagnati e non dichiarati dall'imputato (pari ad euro 1.660.370,00);
d) la circostanza che gli stessi risultati conclusivi della relazione peritale, depurati di taluni errori materiali o di calcolo, hanno evidenziato una condizione di piena compatibilità e proporzione tra le risorse finanziarie disponibili e le attività professionali e gli investimenti effettuati nel corso degli anni;
e) il fatto che la confisca è stata illegittimamente disposta in relazione all'intero patrimonio familiare (pari ad euro 3.425.385,27), sebbene l'esito della consulenza tecnica d'ufficio avesse indicato una indimostrata sproporzione di più limitata entità (pari al complessivo importo di euro 374.920,82);
f) le contrarie emergenze offerte dalla consulenza tecnica di parte, là dove ponevano in evidenza la circostanza, incontestata, che alla data del 1° gennaio 2000 il nucleo familiare dell'imputato era già in possesso dei beni indicati nelle tabelle della consulenza tecnica versata agli atti del processo di appello e di primo grado.
2.5. Con un sesto motivo si lamentano violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione alla eccessività della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, pur a fronte della incensuratezza dell'imputato e del suo corretto comportamento processuale.
2.6. Con un settimo motivo, infine, si deduce l'assenza e illogicità della motivazione riguardo alla statuizione di conferma della condanna generica al risarcimento dei danni, in considerazione della regolarità del procedimento amministrativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato e va pertanto accolto entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato, reiterando in questa Sede una doglianza che non tiene conto delle implicazioni sottese ai principi al riguardo affermati da questa Suprema Corte (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv. 225466), secondo cui la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d'iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, come tale utilizzabile in dibattimento secondo la disciplina prevista dall'art. 234 cod. proc. pen., e non intercettazione "ambientale" soggetta alla diversa disciplina degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., anche quando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest'ultima con la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio (Sez. 2, n. 12347 del 10/02/2021, D'Isanto, Rv. 280996;
Sez. 2, n. 3851 del 21/10/2016, dep. 2017, Spada, Rv. 269089;
Sez. 6, n. 31342 del 16/03/2011, Renzi, Rv. 250534;
Sez. 6, n. 16986 del 24/02/2009, Abis, Rv. 243256;
Sez. 1, n. 14829 del 19/02/2009, Foglia, Rv. 243741). Difettano, in questa ipotesi, come posto in rilievo nella richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, la compromissione del diritto