Cass. civ., sez. III, sentenza 20/10/2005, n. 20322
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La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.
In relazione all'interpretazione della disciplina prevista nell'art. 2048 cod. civ., è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore. L'inadeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell'art. 147 cod. civ. Non è conforme a diritto, invece, per evidente incompatibilità logica, la valutazione reciproca, e cioè che dalle modalità del fatto illecito possa desumersi l'adeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata.
Nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dal provvedimento in concreto richiesto.
La responsabilità dei genitori a norma dell'art. 2048 cod .civ. (unitamente agli altri soggetti nella stessa disposizione normativa indicati) configura una forma di responsabilità diretta, per fatto proprio, cioé per non avere, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso, ed è fondata sulla loro colpa, peraltro presunta.
In relazione all'interpretazione della disciplina della norma di cui all'art. 2048 cod. civ., il conseguimento del titolo di abilitazione alla guida di motocicli o motoveicoli da parte di minori, con la corrispondente autorizzazione per legge degli stessi alla circolazione su strada con tali mezzi meccanici, non esonera i genitori, che con loro coabitino, dai loro doveri di vigilanza.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V P - Presidente -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. F G - Consigliere -
Dott. S A - rel. Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso proposto da:
C P, M C, elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell'avvocato A I che li difende unitamente all'avvocato T S, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
S F;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n.^ 28429/02 proposto da:
S F, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FILIPPO CORRIDONI 15, presso lo studio dell'avvocato P A, che lo difende unitamente all'avvocato C D, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
C P, M C, elettivamente domiciliati in ROMA PLE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell'avvocato I A, che li difende unitamente all'avvocato T S, giusta delega in atti;
- controricorrenti al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 744/01 della Corte d'Appello di GENOVA, sezione seconda civile, emessa il 2/05/01, depositata il 27/09/01, R.G. 418/98;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 27/09/05 dal Consigliere Dott. Antonio SEGRETO;
udito l'Avvocato Tiberio SARAGÒ;
udito l'Avvocato Paolo AGNINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 3.8.1990 Silvana Massa e Fabrizio S, rispettivamente quale proprietaria e conducente di un motoveicolo Honda, convenivano davanti al tribunale di Genova Palmiro Cherchi e Morichino Caterina per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'incidente stradale, verificatosi il 15.1.1987 in Genova a seguito della collisione con il ciclomotore condotto dalla minore R Cherchi. Si costituivano i convenuti, che eccepivano la prescrizione della domanda risarcitoria della Massa, contestavano la dinamica del sinistro e la responsabilità nello stesso della figlia minore R, proponendo domanda riconvenzionale per le spese mediche sostenute per la stessa. Il Tribunale, con sentenza depositata il 29.4.1997, rigettava la domanda della Massa e condannava i convenuti -quali proprietari del veicolo - al risarcimento del danno nei confronti dello S pari a L. 23.681.000, oltre rivalutazione, interessi e spese. Proponevano appello i convenuti, assumendo di non essere proprietari del veicolo, che era invece di proprietà della figlia maggiorenne Antonella e contestavano, altresì la ritenuta responsabilità esclusiva nell'incidente della figlia minore R. La Corte, di appello di Genova, con sentenza depositata il 27.9.2001, riteneva che non poteva affermarsi una responsabilità dei coniugi Cherchi, quali proprietari del motociclo;che dall'atto di citazione non risultava alcun accenno alla qualità degli stessi;che tuttavia gli stessi erano stati convenuti in giudizio anche quali genitori della minore danneggiante, come risultava implicitamente dal fatto che era avvenuta "la citazione congiunta dei coniugi al domicilio famigliare della minore";che quindi sussisteva una loro responsabilità a norma dell'art. 2048 c.c.;che non risultavano prove sufficienti per ascrivere l'incidente stradale a responsabilità esclusiva di uno dei conducenti;che, quindi, andava applicato il principio della presunzione del pari concorso di colpa. La corte territoriale, pertanto, condannava i convenuti in solido al risarcimento del danno in favore dello S nella misura di L. 10.559.900, oltre interessi e rivalutazione.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione Che. Palmiro e Morichino Caterina. Resiste con controricorso S Fabrizio, che ha anche proposto ricorso incidentale, nei cui confronti i ricorrenti hanno presentato controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi.
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 345 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l'omessa ed insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.. Assumono i ricorrenti che essi erano stati chiamati in giudizio nella qualità di proprietari del motociclo condotto dalla loro figlia;che solo con la comparsa di appello lo S dopo aver verificato che essi non erano proprietari del motociclo, aveva sostenuto che egli li avesse convenuti quali genitori esercenti la patria potestà sulla minore R;che tanto veniva a modificare il titolo di responsabilità dei convenuti e quindi veniva mutata la causa petendi, con violazione dell'art. 345 c.p.c.;che lo S aveva sempre impostato la sua difesa sulla dimostrazione della proprietà del motoveicolo da parte dei proprietari.
2. Con il terzo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione si esamina congiuntamente al primo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c.. Assumono i ricorrenti che la corte di appello, accogliendo la domanda sotto il diverso profilo della responsabilità a norma dell'art. 2048 c.c., a fronte di quella prospettata di proprietari del veicolo con
l'atto di citazione, ha violato il disposto dell'art. 112 c.p.c.. 3.1. Ritiene questa Corte che i due suddetti motivi sono infondati e che gli stessi vanno rigettati.
Va preliminarmente osservato che il principio secondo cui l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti da luogo a un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell'ambito dell'articolo 112 del c.p.c., a norma del quale il giudice deve pronunciare su tutta la
domanda e non oltre i limiti di essa. In tale caso, infatti, deducendosi un vizio in procedendo la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto e ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all'esame e all'interpretazione degli atti processuali (Cass. 25/11/2002, n. 16561;Cass. 05/02/2004, n. 2148;Cass. 08/08/2003, n. 12022;Cass. 24/01/2003, n. 1097;Cass. 25/11/2002, n.
16561).