Cass. pen., sez. III, sentenza 29/05/2019, n. 23810

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 29/05/2019, n. 23810
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23810
Data del deposito : 29 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: VERSACI VALERIA nata a PALERMO il 13/09/1974 avverso la sentenza del 27/04/2017 della CORTE APPELLO di MESSINAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere A S;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale S T, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore presente, avv. P S, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 16.12.2011, la Corte d'appello di Messina confermava la sentenza 28.03.2017 del tribunale di Patti, appellata dalla V, che l'aveva condannata alla pena condizionalmente sospesa di 1 anno ed 8 mesi di reclusione, in quanto ritenuta colpevole del delitto di dichiarazione infedele in relazione ai periodi di imposta 2010 e 2011, commesso secondo le modalità esecutive e spazio - tem- porali meglio descritte nei capi di imputazione sub a) e sub b) della rubrica.

2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613, cod. proc. pen., articolando due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente ne- cessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tali motivi - che, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza mossi e l'intima connessione tra essi esistente, meritano congiunta illustrazione - la violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 4, d. Igs. n. 74 del 2000, 2, comma 8, d.P.R. n. 322 del 1998 e degli artt. 42, 47 e 62 bis, cod. pen. ed il correlato vizio di motivazione. In sintesi, si sostiene che il reato non possa considerarsi configurabile avendo l'imputata presentato nei termini una dichiarazione integrativa, con cui aveva emendato quanto invece indicato con l'originaria dichiarazione in cui era stato in- dicato un reddito imponibile pari a soli C 100,00. Si sostiene che le fattispecie tributarie hanno al proprio centro la condotta estrin- secantesi nella presentazione della dichiarazione tributaria da parte del contri- buente, donde sarebbe arduo giustificare la mancata considerazione dell'eventuale dichiarazione integrativa predisposta dal contribuente medesimo per correggere errori e/o omissioni presenti in quella originaria. Detta dichiarazione integrativa, dunque, non costituirebbe un post factum privo di effetti dal punto di vista della valutazione della condotta del contribuente, costituendo essa parte integrante della condotta, a prescindere o meno dal fatto che la stessa abbia rilevanza penale. In definitiva, quindi, l'art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000, quando si riferisce alle "dichia- razioni" aggancerebbe la sanzione penale ad un comportamento, ossia la presen- tazione della dichiarazione, che può consistere in una pluralità di atti da apprez- zarsi, non già singolarmente, ma nel loro complesso ed all'interno di un arco tem- porale che va dal momento della presentazione della prima dichiarazione a quello oltre il quale essa non è più suscettibile di essere integrata. Dunque, contemplando espressamente la norma tributaria la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa, ne discenderebbe che l'art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000 deve essere in- terpretato riferendo la "dichiarazione" non solo all'originaria ma anche a quella integrativa. Si aggiunge che l'imputata sarebbe stata costretta a presentare la prima dichiarazione "infedele" indicando un importo irreale per non incorrere in guai peggiori, ossia il reato di omessa dichiarazione, peraltro poi prevedendo a regolarizzare tutto nei tempi, attraverso la dichiarazione integrativa. Si sostiene poi che l'art. 4 citato sarebbe stato erroneamente applicato anche sotto altro profilo, attesa la mancanza del dolo specifico di evasione. Si osserva che l'imputata non avrebbe presentato una dichiarazione infedele volutamente al fine di evadere, tant'è che la stessa si sarebbe poi adoperata per presentare nei termini la dichiarazione integrativa, ma vi sarebbe stata costretta a seguito di problemi societari interni che non avevano consentito di approvare il bilancio, mancando la contabilità, e dunque non era a conoscenza dell'imputata quei dati che avrebbero dovuto essere dichiarati, come del resto confermato dalle dichiarazioni dei testi sentiti in dibattimento (R;
C). Si aggiunge, poi, che la circostanza per cui non siano state successivamente pagate le imposte non proverebbe che questo fosse il fine iniziale posto a fondamento della dichiarazione infedele, moti- vazioni emerse in dibattimento (gravi problemi economici sopravvenuti nello stesso periodo per la società;
consistenti mancati introiti, come provato dal fatto che era stato raggiunto un accordo per la ristrutturazione dei debiti societari;
pre- senza di ingenti crediti vantati dalla società verso clienti). Infine, si contesta per- ché illogica e contraddittoria l'affermazione della Corte d'appello secondo cui la vera finalità della presentazione della dichiarazione integrativa era quella di sot- trarsi al reato di omessa dichiarazione e di non incorrere nelle sanzioni ammini- strative. Ancora, si sostiene che in ogni caso dovrebbe trovare applicazione l'art. 47, cod. pen., atteso che l'imputata, nonostante avesse affidato ad un noto studio di con- sulenza commerciale il compito di provvedere alla presentazione della dichiara- zione (che, a suo dire, avrebbe anche disatteso le indicazioni della stessa), sarebbe stata palesemente indotta in errore dalla discrasia tra la disciplina penai-tributaria e quella tributaria, nella specie, l'art. 2, comma 8, D.P.R. n. 322 del 1998 posta in relazione agli artt. 43, d.P.R. n. 43 del 1973 e all'art. 1, comma 2, d. Igs. n. 471 del 1997), aventi ad oggetto la dichiarazione infedele e le sue dichiarazioni inte- grative. In sostanza, la contribuente avrebbe ritenuto che le dichiarazioni integra- tive con cui dichiarava al Fisco gli esatti elementi imponibili e l'imponibile dovuto in aumento, avessero effetti sul perfezionamento dell'illecito scaturente dalla di- chiarazione originaria, e per l'esattezza correggessero le mendaci e/o errate di- chiarazioni originali e di conseguenza sanassero l'illecito penale, eliminando così le sanzioni penali e lasciando in atto solo le sanzioni amministrative. Detto errore interpretativo sarebbe stato causato verosimilmente anche dalla palese comples- sità e disorganicità della normativa tributaria, oscura e di difficile interpretazione, nonché sulle obiettive condizioni di incertezza sulla portata delle norme tributarie e sul loro ambito di applicazione. Infine, si censura la sentenza impugnata per aver negato le circostanze attenuanti generiche, segnatamente valorizzando in senso ostativo l'importo delle imposte evase e la mancata resipiscenza dell'imputata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev'essere complessivamente rigettato. 4. È anzitutto affetto da genericità per aspecificità, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera pun- tuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive (che, vengono, per così dire "replicate" in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponen- dosi quindi al giudizio di inammissibilità. Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeter- minati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

5. Lo stesso è comunque da ritenersi infondato, atteso che la Corte d'appello ha spiegato, con motivazione adeguata e del tutto immune dai denunciati vizi, le ra- gioni per le quali ha ritenuto del tutto infondata la doglianza difensiva in ordine alla insussistenza del reato di dichiarazione infedele nonché in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi