Cass. civ., sez. II, sentenza 16/09/2004, n. 18652

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 16/09/2004, n. 18652
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18652
Data del deposito : 16 settembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S M - Presidente -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. D J R - Consigliere -
Dott. S G - rel. Consigliere -
Dott. M V - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R E, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA ARCHIMEDE

44, presso lo studio dell'avvocato S C, che lo difende unitamente all'avvocato E V, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
COMUNE PORCIA in persona del Sindaco pro tempore N Z;



- intimato -


e sul 2^ ricorso n. 11332/01 proposto da:
COMUNE PORCIA, in persona del Sindaco pro tempore N Z, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA FONTANELLA BORGHESE

72, c/o Avv. VOLTAGGIO LUCCHESI F rappresentato e difeso dagli avvocati A S, FRANCO VOLTAGGIO LUCCHESI, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
R E, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA ARCHIMEDE

44, presso lo studio dell'avvocato S C, che lo difende unitamente all'avvocato E V, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 313/00 della Corte d'Appello di TRIESTE, depositata il 13/07/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/05/04 dal Consigliere Dott. Giovanni SETTIMJ;

udito l'Avvocato COEN, difensore del ricorrente che ha chiesto accoglimento ricorso principale e rigetto ricorso incidentale;

udito l'Avvocato Paolo VOLTAGGIO con delega dell'Avvocato F VOLTAGGIO, difensore del resistente che ha chiesto accoglimento ricorso incidentale e rigetto ricorso principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO

Rosario che ha concluso, previa riunione;
per il rigetto del ricorso principale;
rigetto dei primi due motivi, ed assorbimento del 3^ motivo del ricorso itmcidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'ing. Ernesto R, assumendo d'avere svolto attività professionale in favore del Comune di Porcia senza aver conseguito il compenso spettantegli, il 2.11.82 otteneva dal presidente del tribunale di Pordenone decreto ingiuntivo nei confronti del cliente per un ammontare di L. 20.678.831.
Con citazione 16.12.82 il Comune di Porcia proponeva opposizione e, sulla premessa che al professionista fossero stati conferiti due distinti incarichi, l'uno per la redazione del progetto d'un asilo e l'altro per la direzione dei lavori di realizzazione del progetto stesso, sosteneva che, quanto al primo incarico, quegli fosse stato integralmente compensato nell'ammontare di L.

5.896.987 e che, quanto all'altro incarico, la domanda fosse d'importo superiore alla pretesa a suo tempo parcellata e, comunque, nulla fosse dovuto, in quanto lo stesso professionista, essendosi reso gravemente inadempiente all'obbligazione assunta ed avendo con tale comportamento determinato per esso committente la necessità d'addivenire con l'appaltatore ad un'onerosa transazione, gli aveva cagionato danni ingenti, per il ristoro dei quali, infatti, contestualmente proponeva domanda riconvenzionale.
Costituendosi, l'ing. R contestava quanto ex adverso dedotto e richiesto evidenziando il carattere unitario dell'incarico ricevuto, quindi come tale da retribuirgli, e la correttezza del proprio operato, per il che era da escludere a suo carico l'addebitabilità di qualsivoglia danno.
Con sentenza 4.10.95, l'adito tribunale revocava il decreto opposto e condannava l'ing. R al risarcimento dei danni in favore del Comune di Porcia nella misura di L. 114.095.347, al netto del compenso professionale riconosciuto in L. 4.18 9.653, stante l'accertato inadempimento del professionista agli impegni derivanti dall'assunzione dell'incarico di direttore dei lavori, cui erano conseguiti, in pregiudizio del cliente, i maggiori oneri di L. 50.000.000 per vizi riscontrati nell'immobile, di L. 61.885.000 per interessi da ritardo nell'emissione dei certificati d'acconto, di L.

6.400.000 per canone d'affitto temporaneo d'un immobile sostitutivo in pendenza del ritardato collaudo, mentre non riteneva addebitabili al professionista medesimo altri oneri connessi alla tacitazione delle riserve, all'adeguamento agli standard di sicurezza, alla perdita del contributo regionale.
Avverso tale decisione l'ing. R proponeva gravame cui resisteva il Comune di Porcia contestualmente proponendo, a sua volta, gravame incidentale.
D'entrambi decideva, con sentenza 13.7.00, la corte d'appello di Trieste che, parzialmente accogliendo il primo e rigettando il secondo, riduceva l'ammontare pecuniario dei danni da rimborsarsi dal R al Comune di Porcia a L. 64.095.347, sulla considerazione che, disattese le istanze di mezzi istruttori non necessari e ritenuta conforme a diritto la liquidazione del compenso professionale operata con l'impugnata sentenza attese le carenze riscontrate nell'attività resa dal professionista, gli elementi di giudizio acquisiti consentissero di confermare i vari capi della sentenza stessa in tema di danni con esclusione soltanto di quello relativo all'addebito della somma di L. 50.000.000 per vizi dell'opera.
Anche detta decisione veniva impugnata dall'ing. R, che proponeva ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi. Resisteva il Comune di Porcia con controricorso, contestualmente proponendo ricorso incidentale affidato a tre motivi. L'ing. R resisteva, a sua volta, al ricorso incidentale con controricorso.
Entrambe le parti depositavano memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza e tra loro connessi, vanno riuniti ex art, 335 CPC ma trattati separatamente attesa la diversità delle questioni prospettate.


1 - RICORSO PRINCIPALE.
Con il primo motivo, il ricorrente - denunziando violazione degli artt. 2697 CC, 210, 213, 214 ss., 181, 187 CPC nonché vizi di motivazione - si duole che la corte territoriale non abbia accolto le istanze istruttorie ch'egli aveva proposte, precisamente l'ordine d'esibizione della documentazione comunale relativa ai lavori, l'ammissione di prove testimoniali, l'espletamento di nuova consulenza tecnica d'ufficio.
Il motivo non merita accoglimento sotto alcuno dei prospettati profili.
Anzi tutto, va rilevato che il vizio della sentenza previsto dall'art. 360 n. 3 CPC dev'esser dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, come questa Corte ha ripetutamente evidenziato, mediante "specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti" intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla prevalente dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione d'adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.
Ond'è che, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso dedotto ai sensi della disposizione in esame, risulta inidoneamente formulata - come nel motivo di ricorso che ne occupa - la critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito, nel decidere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata dal ricorrente non mediante puntuali contestazioni delle soluzioni stesse nell'ambito d'una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate dal ricorrente, bensì mediante la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.
Nella specie, in vero, all'enunciazione iniziale della violazione d'una pluralità di norme disparate non fa, poi, seguito una trattazione puntuale nella quale, per ciascuna di esse, vengano sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto degli artt. 360 n. 3 e 366 n. 4 CPC perché al motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'uno, possa essere riconosciuto il requisito della specificità, imposto dall'altro, che ne consente la valutazione ad opera di questa Corte;
parte ricorrente non ha, infatti, sviluppato nell'esposizione argomento alcuno in diritto, inteso nel senso sopra precisato, per contestare, con specifico riferimento a ciascuna delle tante norme assuntivamente violate singolarmente considerata, in relazione a quale determinato convincimento espresso dal giudice del merito possa essere ravvisata un'altrettanto determinata applicazione erronea o falsa di quella singola norma, onde il motivo, sotto l'esaminato profilo, è da considerare inammissibile per assoluto difetto della necessaria specificità.
Il che non stupisce ove si consideri come, in realtà, le ragioni addotte con il motivo siano intese a far valere non questioni di diritto, come avrebbe indotto a credere l'intestazione del motivo stesso, ma questioni relative alla valutazione effettuata dal giudice a quo in ordine alla rilevanza ed alla decisività dei mezzi istruttori in discussione, id est assunti vizi della motivazione;

peraltro, anche sotto tale profilo le censure risultano inidoneamente formulate.
Devesi, infatti, considerare come, allorché sia denunziato con il ricorso per cassazione ex art. 360 n. 5 CPC un vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla mancata ammissione di mezzi istruttori richiesti, sia anzi tutto necessario che il ricorrente indichi puntualmente, da un lato, il contenuto di questi ultimi mediante loro sintetica ma esauriente esposizione ed all'occorrenza integrale trascrizione nel ricorso, non essendo all'uopo idonei la semplice prospettazione del valore probatorio di essi quale inteso soggettivamente dalla parte od inammissibili richiami per relationem agli atti della precedente fase del giudizio, dall'altro, le specifiche ragioni per le quali l'assunzione di quei mezzi avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella impugnata. Ciò in quanto il principio d'autosufficienza del ricorso per cassazione comporta, quale condizione d'ammissibilità del motivo, il consentire al giudice di legittimità d'effettuare la valutazione della decisività dei mezzi istruttori richiesti ma non ammessi (nel caso di prove per interpello o per testi, le circostanze oggetto dell'indagine con la specificazione dei capitoli e l'indicazione dei soggetti da interrogare od escutere con le ragioni della qualificazione di ciascuno a rispondere;
nel caso di c.t.u., i quesiti da porre al consulente ed, ove trattisi di ulteriore c.t.u., le ragioni dell'inadeguatezza o dell'erroneità della precedente;
nel caso d'esibizione di documenti, la loro natura ed il loro noto o quanto meno presumibile specifico contenuto) in relazione alla prospettata pretesa d'una soluzione della controversia difforme da quella adottata dal giudice a quo, valutazione da compiere ancor prima di procedere a quella del merito della censura, dacché l'una è logicamente preliminare ed il suo solo esito positivo può dare ingresso all'altra.
Nella specie, parte ricorrente non ha riportato, neppure per sommi capi, il contenuto dei mezzi istruttori richiesti, ne' ha esplicitato se non con generiche soggettive affermazioni sotto quali aspetti dagli stessi sarebbero stati desumibili elementi di giudizio tali da consentire una decisione della controversia difforme da quella adottata dal giudice a quo, onde l'esame di quanto dedotto non consente di valutare se ed in quale misura sussistesse un'effettiva rilevanza delle indagini istruttorie alle quali è fatto riferimento e mancano, quindi, elementi di giudizio idonei a fornire qualsivoglia supporto al controllo di questa Corte sulla decisività, sia pure in astratto, d'un eventuale loro espletamento in sede di rinvio. Con il secondo motivo, il ricorrente - denunziando violazione degli artt. 1304 e 1965 CC nonché carente motivazione - si duole che la corte territoriale, erroneamente ravvisando nella transazione intercorsa tra Comune committente ed impresa appaltatrice solo una rinunzia di quest'ultima alle riserve esplicitate ed alla svalutazione monetaria laddove v'era stata anche una rinunzia del primo a far valere le proprie ragioni nei confronti della controparte, abbia, del pari erroneamente, negato poter egli trarre vantaggio dalla transazione intercorsa tra Comune ed impresa non avendo considerato come la transazione intervenuta tra il creditore ed uno dei debitori solidali giovi anche agli altri debitori solidali i quali intendano trame profitto
Il motivo non merita accoglimento.
Poiché, infatti, l'argomentazione prende le mosse dalla tesi per cui una lettura della transazione tra Comune ed impresa conforme a quella da prospettata (rinunzia non solo dell'impresa alle riserve ed alla svalutazione ma anche del Comune a far valere tutte le proprie ragioni) avrebbe condotto ad una diversa soluzione della controversia, avrebbe dovuto il ricorrente prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, in relazione a specifiche censure d'erronea interpretazione od applicazione della convenzione stessa con puntuale riferimento ai criteri legali d'ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. CC, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l'errore nel quale fosse eventualmente incorso il giudice del merito al riguardo, il ricorrente avrebbe potuto procedere ad un'utile prospettazione delle ulteriori questioni, pur ove ammissibili, d'erronea od inesatta applicazione delle norme specificamente indicate in tema di estensibilità degli effetti della transazione ai condebitori solidali (CC 1304) e di transazione (CC 1965 ss.), dacché la disamina di tali questioni necessariamente presuppone l'intervenuto accertamento dell'errore sull'interpretazione della volontà contrattuale e non può, pertanto, aver luogo ove manchi tale previo accertamento d'un vizio che inficerebbe sul punto ab origine l'impugnata pronunzia, obiettivamente costituendo tale interpretazione il presupposto logico giuridico delle conclusioni alle quali il giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa.
Peraltro, quand'anche si volesse ravvisare nel motivo una, se pure irrituale, implicita denunzia d'errore interpretativo, questa sarebbe, comunque, inidoneamente formulata ed insuscettibile d'accoglimento.
L'opera dell'interprete, in vero, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale posti dalla specifica normativa codicistica, oltre che per vizi di motivazione ma pur sempre con puntuale riferimento all'applicazione delle dette prescrizioni normative;
pertanto, onde far valere una violazione sotto l'uno e/o l'altro dei due cennati profili, il ricorrente per cassazione non solo, come già visto, deve fare riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto altresì a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati.
Di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea la mera critica del convincimento cui sia pervenuto il giudice del merito, operata, come nella specie, non mediante la puntuale contestazione del denunziato vizio nel raffronto tra il significato dell'atto quale sarebbe dovuto emergere con la corretta applicazione dei criteri legali d'interpretazione e quello ritenuto invece dal detto giudice a causa dell'erronea applicazione dei criteri medesimi, bensì mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione, quale operata dalla parte secondo la propria soggettiva valutazione del contenuto dell'atto, a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità.
Inoltre, nel ricorso non è ritualmente trascritto il testo integrale della transazione de qua - ne', attesa la complessità della valutazione richiesta, sarebbe stata sufficiente la riproduzione della sola parte di essa più propriamente relativa alle sole singole pattuizioni considerate, essendo palese la rilevanza anche delle premesse e delle altre pattuizioni particolarmente in ordine all'individuazione dell'aliquid datum e dell'aliquid retentum - della correttezza o meno della cui valutazione da parte del giudice del merito questa Corte avrebbe dovuto decidere, ciò che costituisce per altro verso una patente ragione d'inammissibilità delle censure in tema d'interpretazione, in quanto, in violazione dell'espresso disposto dell'art. 366 n. 3 CPC, ne' nell'esposizione in fatto ne' nel testo dei motivi si riportano proprio quegli elementi obiettivi in considerazione dei quali la disamina ed il vaglio, sia della conformità a diritto dell'interpretazione operatane dalla corte territoriale, sia della coerenza e sufficienza delle argomentazioni motivazionali sviluppate a sostegno della detta interpretazione, avrebbero dovuto aver luogo;
non senza considerare, altresì, come l'impossibilità di rapportare le svolte censure in ordine al contenuto ravvisato dalla corte territoriale nella scrittura de qua all'esatto dato testuale della stessa, ovviamente non surrogabile dalla lettura soggettiva datane dalla parte, comporti anche una violazione dell'art. 366 n. 4 CPC sotto il diverso profilo del difetto di specificità del motivo per inottemperanza al principio d'autosufficienza del ricorso per Cassazione.
Per il quale, infatti, ove applicato all'ipotesi di censura della pronunzia del giudice del merito per violazione dei canoni legali d'ermeneutica e per vizio di motivazione nell'indagine sulla comune volontà contrattuale delle parti, è indispensabile che il ricorrente riporti con l'atto introduttivo, nell'esposizione in fatto o nello svolgimento del motivo, il testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto nella sua originaria formulazione, o della parte di esso in contestazione se ed in quanto sufficiente in relazione alla questione esaminanda, diversamente non ponendosi il giudice di legittimità - cui, salva l'ipotesi di denunzia di errores in procedendo, nel qual caso il richiesto giudizio sul fatto processuale consente un'autonoma disamina degli atti, non è consentito desumere ottunde, neppure dalla stessa sentenza impugnata, gli elementi di giudizio necessari alla decisione che non risultino dal ricorso - in condizione di svolgere il suo compito istituzionale e dandosi luogo alla sopra rilevata inammissibilità del motivo ex art. 366 nn. 3 e 4 CPC (e pluribus, da ultimo, Cass. 24.7.01 n. 10041, 19.3.01 n. 3912, 30.8.00 n. 11408, 13.9.99 n. 9734, 29.1.99 n. 802). Tanto basterebbe, essendo rimasta indimostrata la tesi che ne rappresenta il necessario presupposto, alla reiezione del motivo, il quale, d'altronde, risulta infondato anche nella sua argomentazione consequenziale.
L'estensibilità degli effetti della transazione ai condebitori solidali ex art. 1304 CC, infatti, presuppone l'unicità del titolo in forza del quale più soggetti siano tenuti alla medesima prestazione nei confronti del medesimo creditore, fattispecie che, all'evidenza, non ricorre nel caso in esame.
In vero, una volta esclusa dalla corte territoriale la responsabilità del R per i danni subiti dal Comune in ragione dei vizi dell'opera, ipotesi nella quale poteva effettivamente ravvisarsi un'obbligazione risarcitoria solidale del direttore dei lavori e dell'appaltatore nei confronti del committente, le rimanenti ipotesi di danno addebitate al R, id est gli aggravi di spesa affrontati dal Comune per interessi sui certificati d'acconto e per locazione provvisoria d'un immobile sostitutivo a causa dei ritardi verificatisi nell'espletamento delle attività demandate al direttore dei lavori, costituiscono titolo d'obbligazione risarcitoria del tutto autonomo e distinto rispetto a quello od a quelli propri all'appaltatore per altre cause, in quanto esclusivamente correlato all'inadempimento e/o all'inesatto adempimento del R al contratto d'opera intellettuale stipulato con il Comune, onde non sussiste il presupposto per l'applicazione dell'art. 1304 CC con riferimento alla transazione intervenuta tra Comune ed appaltatore in relazione alle obbligazioni risarcitorie del secondo verso il primo. Con il terzo motivo, il ricorrente - denunziando violazione degli artt. 2233 e 2234 CC nonché vizi di motivazione - si duole che la corte territoriale abbia erroneamente ritenuto ch'egli avesse ricevuto non un incarico unitario ma due incarichi distinti, ed, inoltre, abbia ritenuto che il compenso dovutogli fosse stato correttamente calcolato, nonostante l'esclusione del compenso per la compilazione di documenti contabili, senza spiegare le carenze contabili e tecniche poste alla base di tale esclusione. Il motivo non merita accoglimento sotto alcuno dei prospettati profili.
La censura relativa al preteso vizio di violazione degli artt. 2233 e 2234 CC non è in alcun modo argomentata in diritto e sulle conseguenze di tale constatazione si rinvia a quanto già esposto nell'esame del primo motivo di ricorso riguardo ad analoghe censure. La censura relativa all'assunta erronea individuazione di due distinti ed autonomi rapporti di prestazione d'opera intellettuale è del tutto generica, laddove avrebbe dovuto investire, anzi tutto, ex art. 1362 ss. CC e con le modalità già richiamate nell'esame del secondo motivo di ricorso, l'interpretazione data dalla corte territoriale alle deliberazioni d'incarico ed alla connessa documentazione ed, in secondo luogo, le considerazioni motivazionali che, facendo riferimento al differente oggetto degli incarichi, all'esaurimento del primo anche sotto il profilo della controprestazione, alla successione nel tempo, appaiono, per converso, del tutto logiche ed idonee a supportare la decisione sul punto.
La censura relativa alla mancata dimostrazione delle carenze nell'attività amministrativa e contabile, in ragione delle quali la corte territoriale ha ritenuto non fosse possibile riconoscere un compenso per l'attività stessa in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum, non ha alcun fondamento, non solo perché non vi è dimostrato il corretto adempimento della prestazione per la quale è preteso il compenso, ma soprattutto perché non tiene conto dei ripetuti riferimenti contenuti in vari passi dell'impugnata sentenza alle molteplici prove documentali, compresa la relazione d'un terzo estraneo quale il collaudatore, dei colpevoli ritardi e delle inadempienze del R in contrasto con i doveri su di lui incombenti quale direttore dei lavori in genere e d'opera pubblica in particolare.
Con il quarto motivo, il ricorrente - denunziando violazione dell'art. 1304 CC e vizio di motivazione - si duole che la corte territoriale abbia respinto il suo motivo d'appello in ordine alla condanna a rivalere il Comune di quanto versato all'appaltatore per interessi da ritardato pagamento imputando al giudice a quo la mancata applicazione dell'invocato art. 1304 CC e l'erronea valutazione ed interpretazione della documentazione acquisita in istruttoria.
Il motivo non merita accoglimento.
Si è già evidenziato, nell'esame del secondo motivo, che in questa sede non possono essere prese in considerazione questioni relative alla transazione intervenuta tra Comune ed impresa appaltatrice, non essendone stati ne' adeguatamente impugnata l'interpretazione fornita dalla corte territoriale ne' riportato il contenuto, le due distinte ragioni per le quali nella specie, e che, comunque, non ricorrono i presupposti per l'applicazione della norma invocata. Quanto al preteso vizio di motivazione per erronea valutazione di documenti in atti, devesi rilevare come, da costante insegnamento di questa Corte, il motivo di ricorso per cassazione con il quale alla sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione ex art. 360 n. 5 CPC debba essere inteso a far valere, a pena d'inammissibilità ex art. 366 n. 4 CPC in difetto di loro specifica indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi;
come non possa, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione del fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame;

diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe - com'è, appunto, per quello di cui trattasi - in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità. Nè, com'è del pari da tralaticio insegnamento di questa Corte, può imputarsi al detto giudice d'aver omesse l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché ne' l'una nè l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa all'esigenza d'adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti - come è dato, appunto, rilevare nel caso di specie - da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo;
in altri termini, perché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell'art. 132 n. 4 e degli artt. 115 e 116 CPC, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell'esito dell'avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell'adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.
Devesi, inoltre, considerare come, allorché sia denunziato, con il ricorso per cassazione ex art. 360 n. 5 CPC, un vizio di motivazione della sentenza impugnata, della quale si deducano l'incongruità e/o l'insufficienza delle argomentazioni svoltevi in ordine alle prove/ per asserita omessa od erronea valutazione delle risultanze processuali, sia necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività degli elementi di giudizio assuntivamente non valutati od erroneamente valutati, che il ricorrente indichi puntualmente ciascuna delle risultanze istruttorie alle quali fa riferimento e ne specifichi il contenuto mediante loro sintetica ma esauriente esposizione ed, all'occorrenza, integrale trascrizione nel ricorso, non essendo idonei all'uopo il semplice richiamo di documenti prodotti nella fase di merito e la prospettazione del valore probatorio di essi quale inteso soggettivamente dalla parte in contrapposizione alle valutazioni effettuate dal giudice di quella fase con la sentenza impugnata in ordine al complesso delle acquisizioni probatorie e/o a quelle di esse ritenute rilevanti ai fini dell'adottata decisione e, tanto meno, inammissibili richiami per relationem agli atti della precedente fase del giudizio.
Nella specie, il motivo, già non inteso a censurare la ratio decidendi ma a prospettare una diversa interpretazione degli accertamenti in fatto estranea alle valutazioni rimesse al giudice della legittimità e per ciò solo inammissibile, neppure risulta adeguatamente specifico in ordine alle risultanze istruttorie delle quali denunzia l'erronea od insufficiente valutazione, e tale inottemperanza al principio d'autosufficienza del ricorso per Cassazione ne è ulteriore motivo d'inammissibilità. Dall'esame di quanto dedotto non è dato, infatti, desumere non solo l'effettiva rilevanza delle prove documentali alle quali 11 ricorrente ha fatto riferimento ma neppure l'esatto significato delle stesse, giacché del materiale probatorio acquisito in fase di merito, indicato con inammissibili rinvii per relationem, non è riportato l'integrale contenuto bensì una frammentaria ricostruzione, basata sull'estrapolazione di talune componenti o sulla prospettazione per riassunto del loro significato quale dal ricorrente soggettivamente inteso, cosicché le singole risultanze istruttorie, avulse dal loro contesto e dal complesso delle emergenze istruttorie e collegate con altri singoli elementi del pari riassunti od estrapolati , vengono utilizzate al fine d'estrarne significati verosimilmente favorevoli alle tesi sostenute dal ricorrente stesso, ma non risultano, all'evidenza, suscettibili di adeguato riscontro e, quindi, costituiscono elementi di giudizio inidonei a fornire qualsivoglia supporto al controllo di questa Corte sulla decisività d'un eventuale loro riesame ai fini d'una soluzione dei punti salienti in controversia difforme da quella adottata dal giudice a quo.
Non senza tenere, comunque, nel debito conto che, come già accennato, la motivazione fornita dal detto giudice all'assunta decisione risulta basata su considerazioni logiche e sufficienti in ordine all'oggettivo valore probatorio attribuibile a quelli, tra i vari elementi di giudizio desumibili dagli atti, ritenuti idonei a giustificare la decisione, onde questa risulta a sua volta coerente e consequenziale alla razionale valutazione di essi;
un giudizio, dunque, operato nell'ambito dei poteri discrezionali del giudice del merito ed a fronte del quale, in quanto obiettivamente immune dalle censure ipotizzabili in forza dell'art. 360 n. 5 CPC, la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le conseguenze previste dalla norma stessa.

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