Cass. civ., SS.UU., sentenza 19/09/2005, n. 18450

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Il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all'art. 1358 cod. civ., che impone alle parti l'obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione , e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo della condizione mista.(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l'applicabilità dell'art. 1358 cod. civ. ad un contratto di progettazione di un'opera pubblica in cui il professionista aveva accettato di condizionare il diritto al compenso al conseguimento,da parte dell'amministrazione pubblica, del finanziamento dell'opera, ed ha rinviato la causa al giudice di merito affinchè proceda ad un penetrante esame della clausola recante la condizione e del comportamento delle parti, al fine di verificare alla stregua degli elementi probatori acquisiti, se corrispondano ad uno standard esigibile di buona fede le iniziative poste in essere dall'ente locale onde ottenere il finanziamento).

La clausola con cui, in una convenzione tra un ente pubblico territoriale e un ingegnere al quale il primo abbia affidato la progettazione di un'opera pubblica, il pagamento del compenso per la prestazione resa è condizionato alla concessione di un finanziamento per la realizzazione dell'opera è valida in quanto non si pone in contrasto col principio di inderogabilità dei minimi tariffari, previsto dalla legge 5 maggio 1976, n. 340, come interpretata autenticamente dall'art.6, primo comma, della legge 1° luglio 1977, n. 404, normativa cui ha fatto seguito l'art. 4 comma 12 bis del d.l. 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1989, n. 155; nè tale clausola, espressione dell'autonomia negoziale delle parti, viene a snaturare la causa della prestazione, incidendo sul sinallagma contrattuale.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 19/09/2005, n. 18450
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18450
Data del deposito : 19 settembre 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente aggiunto -
Dott. N G - Presidente di sezione -
Dott. S S - Presidente di sezione -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. C A - rel. Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. L P M - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C A elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CHELINI

5, presso lo studio dell'avvocato V F che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato M C, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
COMUNE DI ISOLA DEL GIGLIO, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. B.

VICO

31, presso lo studio dell'avvocato S E che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato A A, giusta delega in calce al controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 1310/00 della Corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 17/07/00;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 19/05/05 dal Consigliere Dott. A C;

udito l'Avvocato M C;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA

Vincenzo che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso, accoglimento per quanto di ragione degli altri motivi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con convenzione stipulata il 27 marzo 1987 tra il Comune di Isola del Giglio e ring. Alessandro C l'ente territoriale affidò al professionista la redazione del progetto dei lavori per la costruzione di una rete idrica relativa ai centri abitati di Giglio Castello, Giglio Porto e Giglio Campese. Nella convenzione fa pattuito che il pagamento del compenso al professionista restasse subordinato alla condizione che il Comune ottenesse dagli enti competenti il finanziamento dell'opera. Espletato l'incarico l'ing. C, non avendo ottenuto il compenso, promosse il procedimento arbitrale (previsto dalla convenzione d'incarico) al fine di ottenere la condanna del Comune al pagamento di lire 100.954.726, con i relativi interessi, a titolo di onorari e rimborso spese per l'attività professionale espletata.
Il Comune contestò la domanda, in quanto il pagamento del compenso era subordinato alla condizione, non avveratasi, del finanziamento dell'opera.
La parte privata replicò che la condizione doveva ritenersi inefficace, in quanto meramente potestativa, e comunque contraria al principio d'inderogabilità della tariffa professionale. Addusse, inoltre, che la condizione, se valida, si sarebbe dovuta ritenere avverata essendo mancata per fatto imputabile al Comune, tenuto comunque al risarcimento del danno, e che l'opera almeno in parte era stata finanziata. Il collegio arbitrale, espletata una consulenza tecnica ed acquisita agli atti la documentazione prodotta, con lodo del 9 ottobre 1998 condannò l'ente territoriale a pagare all'ing. C la somma di lire 65.000.000=, con i relativi interessi, nonché i 2/3 delle spese di lite. Il collegio pervenne a tale statuizione ritenendo non configurabile la fattispecie di cui all'art. 1359 c.c. (dato l'interesse di entrambe le parti all'avveramento della condizione), considerando valida la clausola che prevedeva la condizione medesima ed osservando, tuttavia, che il Comune non si era attivato con la dovuta diligenza nella richiesta di finanziamento, onde risultava inadempiente ai sensi dell'art. 1358 c.c. con conseguente obbligo risarcitorio a suo carico, liquidato in
misura pari al compenso spettante al professionista e ridotto del 20%. Con citazione notificata il 15 febbraio 1999 il Comune di Isola del Giglio impugnò il lodo davanti alla Corte di appello di Firenze, adducendone la nullità per violazione degli artt. 1358 e 1359 c.c. per contraddittorietà, per violazione del principio di diritto secondo cui il giudice deve pronunciare "iuxta alligata et probata", per carente esame della documentazione prodotta e per mancata ammissione delle prove richieste in ordine all'impossibilità di ottenere un mutuo comunitario o di ricorrere a soluzioni alternative. Il C si costituì per resistere all'impugnazione, proponendo a sua volta impugnazione incidentale diretta a censurare il lodo nella parte in cui avrebbe illegittimamente decurtato il compenso minimo del 20% e deducendo l'errata interpretazione ed applicazione dell'art. 1359 c.c. nonché la nullità del lodo medesimo per carenza di motivazione sulle deduzioni proposte. La Corte di appello fiorentina, con sentenza depositata il 17 luglio 2000, dichiarò la nullità del lodo e dichiarò che nulla era dovuto dal Comune al professionista in virtù del contratto stipulato tra le parti, compensando integralmente tutte le spese del giudizio, comprese quelle del procedimento arbitrale. La Corte territoriale richiamò il principio (già affermato da questa Corte) secondo cui, qualora le parti abbiano subordinato gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito - patto valido perché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge - la relativa condizione è qualificabile come "mista", in quanto la concessione del mutuo dipende anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la relativa pratica. La mancata concessione del mutuo, peraltro, comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi (ai sensi dell'art. 1359 c.c.), un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte, tenuta condizionatamente ad una data prestazione, abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione, sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un obbligo siffatto deve essere esclusa per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo di una condizione mista.
Nel quadro di tale principio, ritenuto applicabile alla fattispecie, la sentenza impugnata escluse l'applicabilità al caso in esame sia dell'art. 1359 c.c., attinente all'avveramento della condizione per il comportamento della parte dalla cui condotta l'avveramento stesso anche dipende, sia dell'art. 1358 c.c., relativo alla responsabilità nascente in capo a detta parte per comportamento non conforme a buona fede, in ciò ravvisò causa di nullità del lodo, in accoglimento della doglianza proposta dall'impugnante principale. La Corte di merito, poi, rilevò che il contratto de quo prevedeva la concessione di un mutuo per l'esecuzione dell'opera la cui progettazione era stata affidata al C, in assenza del quale nessun compenso era previsto per quest'ultimo, e ne dedusse che ai fini di causa il Comune era tenuto alla richiesta del detto mutuo e ciò, com'era pacifico, era stato fatto, sicché l'ente territoriale aveva adempiuto agli obblighi derivanti dal contratto, non essendo obbligato in forza del contratto stesso ad ulteriori comportamenti. Pertanto, ad avviso della Corte fiorentina, dichiarato nullo il lodo per errore di diritto, andava altresì dichiarato che nulla era dovuto al C dal Comune medesimo, restando assorbita ogni altra domanda proposta dalle parti.
Avverso tale sentenza ring. C ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi illustrati con due memorie. Il Comune di Isola del Giglio ha resistito con controricorso. La prima sezione civile di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza depositata il 5 giugno 2004 ha rilevato che, con il primo motivo del ricorso stesso, si poneva la questione della validità della clausola - apposta alla convenzione con la quale il Comune affida ad un privato l'attività professionale di progettazione di un'opera pubblica - che subordina il diritto al compenso all'ottenimento del finanziamento dell'opera progettata. Ha osservato, quindi, che su tale questione sussiste un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, perché in alcune sentenze si è affermato che il principio d'inderogabilità delle tariffe professionali (operante anche con riguardo alle prestazioni rese da ingegneri ed architetti allo Stato e agli altri enti pubblici, nei limiti indicati dall'art. 4, comma 12 bis, del d.l. n. 65 del 1989, introdotto dalla legge di conversione n. 155 del 1989) attiene al momento di liquidazione del compenso, ma non esclude che il professionista possa validamente sottoporre il suo diritto a riscuotere il compenso stesso a termine o a condizione, o anche a prestare la propria opera gratuitamente per i motivi più vari, che possono essere ispirati da mera liberalità ovvero da considerazioni di ordine sociale o di convenienza o, ancora, da prospettive di opportunità in relazione a personali ed indiretti vantaggi. Mentre nella sentenza n. 7538 del 2002 si è deciso che deve essere ritenuta nulla la clausola, contenuta in un capitolato, la quale condizioni il pagamento del compenso a finanziamenti futuri e incerti, ancorché l'ente pubblico abbia ricevuto l'intera prestazione professionale, in quanto in contrasto con la causa normalmente onerosa della prestazione. In presenza di tale contrasto l'ordinanza ha ravvisato l'opportunità di rimettere gli atti al Primo Presidente per eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite, considerato anche che era già all'esame di queste la questione (ritenuta connessa) concernente la validità dell'atto negoziale di conferimento dell'incarico al professionista nell'ipotesi in cui la relativa delibera dell'ente territoriale sia priva della previsione di spesa, in violazione dell'art. 284 del r. d. 3 marzo 1934, n. 383 (relativamente a fattispecie contrattuali realizzate nel vigore di detta normativa). Il ricorso, quindi, è stato assegnato alle sezioni unite di questa Corte ed è stato chiamato all'udienza di discussione.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Il resistente ha addotto l'inammissibilità del ricorso per Cassazione, ritenendolo tardivo in quanto non sarebbe possibile cumulare due sospensioni dei termini per il periodo feriale. Tale eccezione (in senso lato, in quanto attinente a profilo rilevabile anche d'ufficio) non è fondata. La sentenza impugnata fu depositata il 17 luglio 2000. Da tale data prese a decorrere il termine annuale di decadenza ex art 327 c.p.c. (in quanto essa non risulta notificata, com'è incontroverso), termine da calcolare ex nominatione dierum. cioè prescindendo dal numero dei giorni da cui è composto ogni singolo mese o anno, ai sensi dell'art. 155, comma 2, del codice di rito civile (Cass., 11 agosto 2004, n. 15530;
3 giugno 2003, n. 8850;
7 luglio 2000, n. 9068
). n detto termine, dunque, veniva a scadere il 17 luglio 2001, ma esso doveva essere prolungato di 46 giorni (calcolati ex numeratione dierum. ai sensi del combinato disposto degli artt. 155, comma 1, c.p.c. e 1 comma 1, L. n. 742 del 1969: v. giurisprudenza ora cit.) per la sospensione durante il periodo feriale. Pertanto, dopo i primi 14 giorni (17/31 luglio 2001), i residui 32 giorni non giunsero a compimento il 1 Settembre 2001 (ricadente nel c.d. periodo feriale) ma presero a decorrere dopo la detta sospensione, cioè dal 16 settembre 2001 (incluso), giungendo a compimento il 17 ottobre 2001. Poiché il ricorso per Cassazione risulta notificato il 10 ottobre 2001, l'impugnazione si rivela tempestiva.
La tesi del resistente, secondo cui non sarebbe possibile cumulare due periodi di sospensione, non può essere condivisa. Essa non trova riscontro nel dettato normativo ed anzi contrasta con la ratio della legge n. 742 del 1969, che - salve le eccezioni previste - ha comunque inteso evitare il decorso dei termini processuali nell'arco di tempo considerato da tale legge. Il punto, del resto, è stato già trattato da questa Corte, la quale ha affermato il principio secondo cui il termine annuale di decadenza dall'impugnazione che, qualora sia iniziato a decorrere prima della sospensione dei termini durante il periodo feriale, deve essere prolungato di 46 giorni (non dovendosi tenere conto del periodo compreso tra il 1 agosto e il 15 settembre di ciascun anno) è suscettibile di ulteriore analogo prolungamento quando l'ultimo giorno di detta proroga venga a cadere dopo l'inizio del nuovo periodo feriale dell'anno successivo (Cass., 8 gennaio 2001, n. 200;
20 marzo 1998, n. 2978
). Ed a tale principio il collegio intende dare continuità, essendo esso conforme alla lettera ed alla ratio della citata legge n. 742 del 1969. 2. Con il primo mezzo di Cassazione il ricorrente denunzia "omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia prospettato dalla parte o rilevabile d'ufficio. Violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c.. Violazione degli arti 36 Cost, 2233, 2 comma, c.c. dell'articolo unico della legge 5. 5. 1976 n. 340, degli artt 1418 e 1419, 2 comma, c.c.".
Con il secondo motivo dell'impugnazione incidentale avverso il lodo ring. C avrebbe riproposto - sotto il profilo della nullità del lodo per violazione di norme di diritto - la questione concernente la nullità della clausola che subordina la riscossione del compenso da parte del professionista al fatto, futuro e incerto, dell'avvenuto finanziamento dell'opera progettata. Con il primo motivo avrebbe già impugnato il lodo, sotto il medesimo profilo di parziale nullità per contrasto con le norme imperative stabilite dall'art. unico della l. 5 maggio 1976, n. 340, concernente la riduzione del 20% sui minimi tariffali.
Tali questioni avrebbero avuto indubbio carattere preliminare perché, se la condizione fosse stata dichiarata nulla e/o inefficace (sia per contrasto con le norme relative all'inderogabilità dei minimi tariffali, sia per contrasto con gli artt. 36 Cost e 2233, 2 comma, c.c.), sarebbe stato inutile porsi il problema della operatività o meno degli artt. 1358 e 1359 c.c. (addotti invece dalla Corte di merito a motivo unico della propria decisione). La Corte territoriale avrebbe omesso del tutto l'esame di tali censure, inserendole frettolosamente tra quelle "assorbite", laddove, poiché la questione circa la validità della condizione apposta avrebbe costituito un prius rispetto all'incidenza (agli effetti degli artt. 1359 e 1358 c.c.) del mancato avveramento della condizione stessa, la Corte distrettuale avrebbe avuto 40 l'obbligo di pronunciarsi e di motivare sul punto. Peraltro, qualora si dovesse considerare il rigetto della questione di nullità o inefficacia della clausola contenente la condizione come motivato per implicito, la sentenza impugnata si esporrebbe comunque a censura per violazione di legge. Infatti, se l'art. unico della legge n. 340 del 1976 impone l'inderogabilità dei minimi tariffari tra privati (mentre, ai sensi dell'art. 4, comma 12 bis, del d.l. 2 marzo 1989 n. 65, aggiunto dalla legge di conversione n. 155 del 26 aprile 1989, per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato e agli altri enti pubblici relativamente alla realizzazione di opere pubbliche o comunque d'interesse pubblico, il cui onere è in tutto o in parte a carico dello Stato e degli altri enti pubblici, la riduzione dei minimi di tariffa non può superare il 20%), sarebbe erroneo il giudizio espresso dal collegio arbitrale, tacitamente avallato dalla Corte di appello, circa la rilevanza meramente disciplinare della deroga accettata dal professionista e la validità tra le parti della clausola condizionante la riscossione del compenso alla concessione del finanziamento dell'opera. In presenza di una norma imperativa, la nullità della clausola di deroga sarebbe automatica in forza del combinato disposto degli artt. 1418 e 1419 c.c. senza necessità di specifica comminatoria di questa sanzione.
Tale principio sarebbe confortato non soltanto dall'art. 36 Cost. ma anche dall'art. 2233, comma 2, c.c. che, stabilendo in modo tassativo che in ogni caso spetta al professionista un compenso in misura adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione, escluderebbe l'ammissibilità di pattuizioni dirette addirittura a mettere a rischio la possibilità di ottenere qualsiasi compenso. Sarebbe vero che al professionista è consentito prestare gratuitamente la propria opera per vari motivi sociali o di convenienza, ma sarebbe anche vero che, come affermato da questa Corte (Cass., n. 10393 del 1994), al di fuori di questa ipotesi i patti in deroga ai minimi della tariffa professionale sono nulli. Errato e contraddittorio, quindi, sarebbe il giudizio del collegio arbitrale, condiviso per implicito dalla Corte di appello, che -dopo avere esattamente affermato l'inderogabilità della tariffa e la insussistenza (ormai non più revocabile in dubbio, concernendo accertamenti e valutazoni sul fatto non impugnabili e non impugnate) di motivi idonei a giustificare la volontà del C di prestare gratuitamente la propria opera, avrebbe poi escluso il diritto del professionista a conseguire il compenso, certamente non ravvisabile nella irrisoria somma per spese di lire 2.000.000, peraltro neppure pagata dal Comune contrariamente a quanto da questo dedotto, sicché la sentenza impugnata sarebbe viziata per omissione di pronuncia nella parte in cui avrebbe escluso totalmente il diritto al compenso anche per la somma ora citata, in ogni caso dovuta.

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