Cass. pen., sez. IV, sentenza 26/10/2020, n. 29623
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: RUSSO VINCENZO nato a SEMINARA il 15/06/1971 avverso l'ordinanza del 12/12/2019 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIAudita la relazione svolta dal Consigliere D C;lette le conclusioni del PG dr.ssa M D M RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Reggio Calabria con ordinanza del 12 dicembre 2019 - 7 gennaio 2020 ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da V R a causa della custodia patita dal 12 agosto 2014 al 15 settembre 2016 prima di essere assolto dai reati di cui ai capi A), B) e C) (violazione della disciplina sul controllo delle armi da fuoco e ricettazione), essendo stato, invece, condannato per il reato di minaccia a pubblico ufficiale di cui all'art. 336 cod. pen. (capo D), a seguito dell'ordinanza di custodia cautelare che era stata emessa il 12 agosto 2014 dal G.i.p. del Tribunale di Palmi in relazione alle accuse, appunto, di concorso con i suoi fratelli nei reati di detenzione illegale di pistola con matricola abrasa e di cartucce (capo A), di detenzione di arma clandestina (capo B), di ricettazione dell'arma con matricola abrasà (capo C) e di minaccia a Carabinieri - ritenuta integrante la violazione dell'art. 336 cod. pen. (capo D). 2. Ricorre tempestivamente per la cassazione dell'ordinanza V R, tramite difensore di fiducia, che si affida ad un complessivo motivo con il quale deduce promiscuamente difetto motivazionale, per illogicità ed incoerenza, mancata e/o erronea valutazione dell'intero materiale probatorio e violazione di legge, per «errata valutazione della condotta del sig. R quale causa della custodia cautelare» (così alla p. 1 del ricorso). Richiamata la motivazione reiettiva della Corte di merito, si assume che la stessa presenterebbe profili di forte analogia con l'accusa inizialmente formulata nei confronti dell'imputato e che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto della complessiva vicenda processuale, all'esito della quale sarebbe «emersa la totale estraneità ai fatti del sig. R» (così alla p. 2 del ricorso). Rammenta l'intervenuta assoluzione dalle accuse di cui ai capi sub lett. A), B) e C) ed evidenzia che «tergiversare nell'aprire il portone di casa non costituiva contributo partecipativo - morale o materiale - alla condotta criminosa altrui. Né è stato dimostrato che la pistola fosse conservata nell'appartamento in cui viveva R Vincenzo» (così alla p. 3 del ricorso). I giudici della riparazione avrebbero attribuito erroneamente rilevanza, ai fini della determinazione della misura cautelare e, quindi, della partecipazione causale del comportamento di R, ad una mera circostanza di fatto, che, invece, ad avviso del ricorrente, nessun rilievo potrebbe avere ossia l'avere ritardato l'apertura della porta ai Carabinieri poiché doveva vestirsi, fatto del tutto ovvio e legittimo - si sottolinea - in quanto «i fatti sono si svolti nel mese di agosto ed è legittimo che in piena estate e nel pieno della notte ci si possa trovare non proprio vestiti o, comunque, in condizioni da non poter aprire immediatamente la porta» (così alla p. 4 del ricorso;v. anche p. 5). Ove tale situazione di fatto fosse stata attentamente valutata dai giudici, non sarebbe stato possibile attribuire efficacia concausale alla condotta di R. «Così come l'avere inveito contro le forze dell'ordine all'atto dell'arresto dei fratelli, sebbene comportamento riprovevole[,] non è stato tale da richiedere un immediato intervento. A tal fine si evidenzia, infatti, che l'arresto del R Vincenzo non avviene contestualmente a quello dei fratelli ma tre giorni dopo, ovvero in data 12.08.2014 ed in tale occasione non sono segnalati comportamenti violenti o comunque antisociali» (così alla p. 4 del ricorso). Si richiama al riguardo precedente di legittimità (sent. n. 27968 del 19/04/2017) ove si sottolinea la necessità, affinché una condotta dolosa o colposa possa costituire elemento ostativo al riconoscimento dell'equa riparazione, di un apprezzabile collegamento causale tra condotta e provvedimento che ha dato luogo alla privazione della libertà ed al mantenimento della privazione stessa. Quanto all'interrogatorio di garanzia, si sottolinea che l'imputato ha risposto e si è limitato a dire solo ciò che sapeva, ossia dichiarare la propria estraneità ai fatti e spiegare perché aveva aperto con ritardo la porta, sicché quanto affermato nell'occasione non può essere considerato «come un fattore condizionate per la produzione dell'evento detenzione, in quanto non hanno avuto la portata di rappresentare una falsa percezione della realtà tale da non evidenziare l'errore in cui stavano incorrendo le autorità giudiziarie [...] ne discende che la condotta tenuta dal sig. R non può essere considerata ostativa per il riconoscimento dell'indennizzo, in quanto non assume i caratteri della colpa grave» (così alla p. 5 del ricorso). In ultimo, si censura il provvedimento impugnato poiché la Corte di appello avrebbe dovuto, comunque, considerare la colpa dell'imputato lieve e, conseguentemente, riconoscere l'indennizzo, sia pure in forma ridotta. Si chiede, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
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