Cass. civ., SS.UU., sentenza 20/03/2015, n. 5685
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In tema di impresa artigiana, i criteri richiesti dall'art. 2083 cod. civ., ed in genere dal codice civile, valgono per l'identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale (legge 8 agosto 1985 n. 443) sono, invece, necessari per fruire delle provvidenza previste dalla legislazione (regionale) di sostegno, sicché l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana, effettuata ai sensi dell'art. 5 della ricordata legge n. 443 del 1985, non spiega alcuna influenza ai fini dell'applicazione dell'art. 2751 bis, n. 5, cod. civ. - nel testo vigente "ratione temporis", prima della novella introdotta dal d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge n. 35 del 2012 - dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'art. 2083 cod. civ. Ne consegue che, per accertare la ricorrenza della qualità di piccolo imprenditore, occorre valutare l'attività svolta, il capitale impiegato, l'entità dell'impresa, il numero dei lavoratori, l'entità e la qualità della produzione, i finanziamenti ottenuti e tutti quegli elementi atti a verificare se l'attività venga svolta con la prevalenza del lavoro dell'imprenditore e della propria famiglia, mentre risulta irrilevante il superamento delle soglie di fallibilità, ex art. 1, secondo comma, legge fall., nel testo novellato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, non sussistendo più alcun collegamento tra la condizione di piccolo imprenditore e i presupposti per il fallimento.
In tema di privilegio generale sui mobili, l'art. 2751 bis, primo comma, n. 5, cod. civ., come sostituito dall'art. 36 del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, laddove accorda il privilegio ai crediti dell'impresa artigiana "definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti", non ha natura interpretativa e valore retroattivo, facendo difetto sia l'espressa previsione nel senso dell'interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l'adozione, sicché, riguardo al periodo anteriore all'entrata in vigore della novella, resta fermo che l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane ex art. 5 della legge 8 agosto 1985, n. 443, non spiega alcuna influenza sul riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di "impresa artigiana" dai criteri generali di cui all'art. 2083 cod. civ.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R L A - Primo Presidente f.f. -
Dott. C M - Presidente di Sez. -
Dott. R R - Presidente di Sez. -
Dott. R V - rel. Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
Dott. D I C - Consigliere -
Dott. P S - Consigliere -
Dott. F R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21470-2012 proposto da:
TERMOIDRAULICA BATTOCCHIA CLAUDIO ditta individuale, in persona del titolare B C, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato S G, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO EDIL 2000 COSTRUZIONI S.N.C. DI SPERA ALESSANDRO &IGINO, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VIGLIENA 2, presso lo studio dell'avvocato F A A, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato A C, per delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso il decreto n. 4 4/2012 del TRIBUNALE di VERONA, depositato il 17/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;
uditi gli avvocati Giuliano SOLENNI, Pino D'ALBERTO per delega dell'avvocato Alessandro Falconi Amorelli;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La ditta B C presentava insinuazione al passivo del fallimento della ditta Edil 2000 Costruzioni S.n.c. di Spera Alessandro ed Igino, in base ad un decreto ingiuntivo ottenuto per diverse fatture emesse a fronte di lavori effettuati negli anni 2000/2007 a favore della Società fallita.
Nell'istanza dell'insinuazione la ditta, odierna ricorrente, chiedeva il riconoscimento del privilegio sul proprio credito complessivo, pari ad Euro 362.802,79, essendo essa ditta artigiana e pertanto privilegiata ai sensi dell'art. 2751 bis c.c., n. 5. Veniva prodotta documentazione relativa al credito (fatture ed il decreto ingiuntivo esecutivo e definitivo) ed alla natura artigiana dell'impresa (iscrizione all'Albo speciale tenuto presso la CCAA di Verona, dichiarazioni di redditi dai quali emergeva, tra l'altro, l'assenza di qualunque personale dipendente).
Il Tribunale ammetteva il credito nell'importo richiesto, ma ne escludeva la natura privilegiata.
Veniva dalla ditta ricorrente proposta opposizione allo stato passivo, insistendo per il riconoscimento del privilegio, rimarcando la preponderanza dell'apporto di lavoro personale del titolare sig. Battocchia rispetto ai modesti apporti di capitale impiegati nell'azienda.
La Curatela fallimentare non si costituiva nel procedimento di opposizione, rimanendo contumace.
Il Tribunale di Verona, con decreto in data 17.4.2012, confermava il non riconoscimento del privilegio artigiano.
Il decreto motivava il mancato riconoscimento del richiesto privilegio sulla base del fatto che il ricorrente avesse superato, negli anni di imposta 2007 e 2009 il limite previsto dall'art. 1, comma 2, lett. b) L. Fall. avendo avuto un giro d'affari superiore sia pure di poco ai duecentomila Euro.
Avverso il detto provvedimento ricorre per cassazione la Termo idraulica Battocchia sulla base di due motivi, illustrati con memoria, cui resiste la curatela fallimentare.
La causa è stata assegnata a queste Sezioni Unite in accoglimento dell'istanza del ricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ditta ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2751 bis c.c., n. 5, così come novellato dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con L. n. 35 del 2012. In particolare, la ricorrente contesta il provvedimento impugnato laddove, al fine di accertare la natura di impresa artigiana, ha fatto applicazione dei criteri di cui all'art. 1 della L. Fall. ed all'art. 2083 c.c.. Secondo la ricorrente, invece, la natura artigiana dell'impresa andrebbe valutata esclusivamente in base alla legislazione speciale in materia contenuta nella L. Quadro n. 443 del 1985.
Con il secondo motivo contesta l'assunto della sentenza secondo cui il solo fatto che l'impresa avesse superato i limiti di fatturato di cui all'art. 1 L. Fall. la rendeva fallibile onde per tale fatto non poteva considerarsi artigiana.
Il primo motivo appare infondato e per certi versi inammissibile. Va innanzi tutto esaminata la questione della retroattività della nuova versione dell'art. 2751 bis c.c., n. 5 a seguito della modifica normativa operata dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 36, entrata in vigore il 10.2.12, dovendosi rilevare che la costante giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che la nuova norma conseguente alla modifica citata, laddove accorda il privilegio ai crediti dell'impresa artigiana "definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti", non ha natura interpretativa e valore retroattivo, facendo difetto sia l'espressa previsione nel senso dell'interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa che ne avrebbero giustificato l'adozione. Pertanto, riguardo al periodo anteriore all'entrata in vigore della novella, resta fermo che riscrizione all'albo delle imprese artigiane L. n. 443 del 1985, ex art. 5 non spiega alcuna influenza sul
riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di "impresa artigiana" dai criteri generali dell'art. 2083 cod. civ. (Cass 11154/12;Cass 11024/13;Cass 18966/13;Cass 1166/14). Nel caso di specie va rilevato che lo stato passivo della Edil 2000 Costruzioni s.n.c. è stato depositato in cancelleria il 28 ottobre 2011, mentre il suo fallimento è stato dichiarato con sentenza del Tribunale di Verona del 28 settembre 2010, prima dunque della citata modifica normativa con la conseguenza che deve trovare applicazione l'art. 2751 bis c.c., comma 1, n. 5 antecedente alla modifica più volte citata.
In tal senso si rivela erroneo l'assunto della società ricorrente secondo cui il tribunale di Verona avrebbe dovuto applicare la novella del 2012 in quanto entrata in vigore quattro mesi prima della emanazione del decreto impugnato.
Va infatti rilevato che le norme sui privilegi sono disposizioni di diritto civile che attengono alla qualità di alcuni crediti, consistente nella loro prelazione rispetto ad altri, per cui trova applicazione, salvo espressa deroga normativa, che nel caso di specie non sussiste, il principio generale di cui all'art. 11 preleggi, secondo cui le leggi non sono retroattive. Ne consegue che la modifica legislativa, che abbia introdotto un nuovo privilegio o abbia introdotto modifiche ad uno già esistente, si applica solo se il credito sia sorto nello stesso giorno o in un giorno successivo rispetto al momento in cui la legge entra in vigore e pertanto la gradazione dei crediti si individua avendo riguardo al momento in cui il credito sorge e non quando viene fatto valere.
In tal senso, è appena il caso di soggiungere, che, non trattandosi nel caso di specie di norme processuali, le stesse non sono suscettibili di applicazione come ius superveniens ai giudizi in corso.
Ciò posto, dovendosi dunque applicare la norma dell'art. 2751-bis c.c., comma 1, n. 5, secondo il vecchio testo antecedente alla
modifica dal D.L. n. 5 del 2012, art. 36, conv. in L. n. 35 del 2012, occorre rilevare che la unanime giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ripetuto che in tema di impresa artigiana, il coordinamento tra la disciplina codicistica e quella contenuta nella legge speciale (L. n. 443 del 1985) deve essere realizzato (tenuto conto che, alla luce delle rispettive normative, un'impresa può avere i requisiti previsti dalla L. n. 443 del 1985, e non essere purtuttavia conforme al modello delineato dall'art. 2083 cod. civ.) ritenendo che i criteri richiesti dall'art. 2083 cod. civ., ed in genere dal codice civile, valgano per la identificazione dell'impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale siano, invece, necessari per fruire delle provvidenza previste dalla legislazione (regionale) di sostegno, con la conseguenza che l'iscrizione all'albo di un'impresa artigiana, legittimamente effettuata ai sensi della ricordata L. n. 443 del 1985, art. 5, pur avendo natura costitutiva, nei limiti sopra
indicati, non spiega alcuna influenza, "ex se" - neppure quale presunzione "iuris tantum" della natura artigiana dell'impresa- ai fini dell'applicazione dell'art. 2751 bis c.c., n. 5, dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall'art. 2083 cod. civ. (ex plurimis Cass 7366/98 Cass 19508/05;Cass 11154/12.)
Tale interpretazione ha avuto anche l'avallo della Corte Costituzionale che ha rilevato che "le norme impugnate vadano interpretate nel senso di riconoscere che l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane, anche nell'ambito delle Regioni a statuto speciale o Province autonome, costituisce il presupposto per fruire delle agevolazioni previste dalla legge-quadro o da altre disposizioni, ma non vale a far sorgere una presunzione assoluta circa la qualifica artigiana dell'impresa stessa ai fini del riconoscimento del privilegio generale sui mobili previsto dal codice civile;al contrario, è consentito al giudice di sindacare la reale consistenza dell'impresa creditrice,....(omissis) (C. Cost 24 luglio 1996 n. 307). Venendo all'esame del secondo motivo di ricorso, lo stesso appare fondato.
Va infatti rammentato che questa Corte di cassazione ha chiarito che il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, comma 2, nel testo modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che stabilisce,ai fini della dichiarazione di fallimento, la necessità del superamento di alcuni parametri dimensionali, esclude la possibilità di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell'art. 2083 cod. civ., che ormai ai fini della fallibilità non spiega alcuna
rilevanza.
Il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell' imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all'organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull'altrui lavoro. (Cass 13086/10;Cass 23052/10). Dunque il collegamento effettuato nel decreto tra la condizione di piccolo imprenditore ed i criterio di cui all'art. 1 L. Fall. appare del tutto improprio non sussistendo più alcun rapporto tra la condizione di piccolo imprenditore e la condizione di fallibilità. Da ciò, a maggior ragione, si deve escludere ogni rapporto tra le disposizioni dell'art. 1 L. Fall. in tema di requisiti di fallibilità con la tutt'affatto diversa questione della sussistenza della natura di impresa artigiana, desumibile, in base alla normativa ratione temporis applicabile di cui si è dianzi detto, in ragione dei criteri stabiliti per l'individuazione del piccolo imprenditore. Ciò posto, si osserva che il decreto ha escluso la natura artigiana della impresa sulla base del suo volume di affari di oltre 200 mila Euro per l'anno 2007 e per quello successivo.
A tal proposito l'art. 2083 c.c. definisce piccolo imprenditore l'artigiano che esercita un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
L'artigiano peraltro va considerato un normale imprenditore commerciale, come tale sottoposto alle procedure concorsuali, allorché abbia organizzato la sua attività in guisa da costituire una base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo guadagno i connotati del profitto, avendo in tal modo organizzato una vera e propria struttura economica a carattere industriale con un'autonoma capacità produttiva, sicché l'opera di esso titolare non sia più ne' essenziale ne' principale (cfr. Cass. 22 dicembre 2000, n. 16157;Cass 12487/05). In tale ambito ai fini di accertare la ricorrenza della qualità di piccolo imprenditore occorre valutare alcuni criteri tra cui l'attività svolta, il capitale impiegato, l'entità dell'impresa, il numero dei lavoratori, l'entità e qualità della produzione, i finanziamenti ottenuti e tutti quegli elementi atti a verificare se l'attività venga svolta con la prevalenza del lavoro dell'imprenditore e della propria famiglia. La sentenza impugnata non si è attenuta ai criteri dianzi indicati. La stessa, infatti, si è limitata ad affermare che la natura artigiana della impresa doveva escludersi sulla base del suo volume di affari per l'anno 2007 e per quello successivo di oltre 200 mila Euro. Premesso che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 20, in materia di IVA, che è l'unica norma che da una definizione del volume d'affari, viene definito tale "l'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, registrate o soggette a registrazione con riferimento ad un anno solare" è agevole osservare che tale criterio di per sè solo non appare sufficiente per riscontrare od escludere la natura artigiana di un impresa. Quest'ultima va individuata, ai sensi dell'art. 2083 c.c., applicabile come detto ratione temporis, nella prevalenza del lavoro del titolare dell'impresa e della sua famiglia rispetto al capitale ed all'altrui lavoro.
Tale accertamento necessita necessariamente il riferimento ad altri parametri che nel loro complesso possono portare ad una adeguata valutazione.
In primo luogo sarebbe necessario accertare l'incidenza del lavoro del titolare dell'impresa ed eventualmente dei suoi familiari nello svolgimento dell'attività imprenditoriale in relazione ai dipendenti utilizzati.
In tal senso occorrerebbe conoscere quanti questi ultimi siano. È infatti evidente che un imprenditore che abbia alle sue dipendenze un grande numero di lavoratori non potrebbe comunque essere considerato artigiano poiché un consistente apporto esterno di forza lavoro comporterebbe l'esistenza di una organizzazione dell'impresa di dimensioni tali che farebbe escludere la prevalenza della attività lavorativa del solo titolare.
In secondo luogo, sarebbe necessario accertare il capitale investito nell'impresa sia in termini di strutture e macchinari che di materie prime poiché anche in tal caso un capitale di rilevante entità porterebbe ad escludere una prevalenza del lavoro umano del solo titolare dell'impresa.
Nessuno dei sovraindicati elementi si rinviene nel provvedimento impugnato.
In assenza di tali dati di riferimento, il solo elemento dell'ammontare del volume d'affari si presenta di per sè equivoco e,come tale, inidoneo ad accertare di per sè solo la natura artigiana o meno dell'impresa.
In primo luogo nell'ambito del volume d'affari occorrerebbe valutare il costo delle materie prime e del materiale utilizzato per produrre i beni.
Come correttamente osservato dal ricorrente, ad esempio, è evidente che un artigiano orafo,che per creare i propri gioielli utilizzi metalli e pietre preziose, avrà un volume d'affari di un certo rilievo dovuto al valore intrinseco degli oggetti creati e successivamente venduti, derivante dalle materie prime utilizzate anche se abbia svolto la propria attività di persona e senza dipendenti.
Il costo delle materiale utilizzato e successivamente ceduto ai clienti sarebbe indispensabile inoltre per valutare il guadagno effettivo dell'imprenditore che ovviamente a fronte di costi elevati di acquisto risulterebbe solo una parte limitata del volume d'affari non assurgendo così al livello di un vero e proprio profitto d'impresa.
Nel caso di specie non si rinviene nel provvedimento impugnato neppure una analisi di questo tipo.
In conclusione dunque la motivazione fornita dal Tribunale non appare conforme ai criteri stabiliti dall'art. 2083 c.c., onde il motivo va accolto.
Il decreto impugnato va di conseguenza cassato in relazione al motivo accolto con rinvio al Tribunale di Verona, in diversa composizione che si atterrà nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato e che provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.