Cass. pen., sez. II, sentenza 04/05/2023, n. 18687

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 04/05/2023, n. 18687
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18687
Data del deposito : 4 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MEFFE FABIO nato a ROMA il 28/03/1965 avverso la sentenza del 13/04/2022 della Corte di Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria conclusiva delle parti civili;
udita la relazione svolta dal Consigliere E C;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L G, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Udito il difensore delle parti civili P M ed A M, Avv. L B, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso e ha prodotto memorie conclusive e nota spese. udito il difensore del ricorrente, Avv. F P, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso ed il conseguente annullamento della sentenza.

RITENUTO IN FATTO

1. F M, a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello di Roma, in data 13 aprile 2022, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Roma, in data 19 giugno 2020, ha condannato l'imputato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 800,00 di multa in relazione al reato di cui all'art. 640 cod. pen.

2. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo di impugnazione, la mancata assunzione di una prova decisiva. La Corte territoriale avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di acquisizione della documentazione bancaria inerente alle deleghe ad operare sul conto corrente intestato alla Cooperativa Raffaello, documentazione che avrebbe dimostrato che il MEFFE non poteva operare sul predetto conto corrente e che non era coinvolto nell'attività gestoria della predetta compagine societaria. L'assunzione di tale prova avrebbe anche dimostrato che il testimone Y avrebbe falsamente negato di aver rivestito la carica di rappresentante legale della Cooperativa Raffaello all'epoca dei fatti.

3. Il ricorrente lamenta, con il secondo motivo di impugnazione la violazione dell'art. 192, cod. proc. pen, e la carenza ed illogicità della motivazione. La sentenza di primo grado sarebbe illogica e contraddittoria in quanto il giudice di prime cure, dopo aver affermato che il MEFFE era il reale dominus della società, escludeva la partecipazione del ricorrente alla trattativa con la persona offesa in considerazione del fatto che, all'epoca dei fatti, lo Y era il legale rappresentante della Cooperativa Raffaello. Tale contraddizione non sarebbe stata sanata dai giudici di appello che nulla avrebbe motivato sul punto.

4. Il ricorrente lamenta, con il terzo motivo di impugnazione, la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa. Le risultanze processuali dimostrerebbero che il MEFFE non ricopriva la carica di Presidente della Cooperativa Raffaello, non possedeva deleghe e poteri decisionali nell'ambito della cooperativa, non poteva trasferire la licenza in quanto la stessa era conferita in favore della cooperativa, non aveva ceduto la licenza al MEZZACAPA e non guadagnava nulla nella vicenda oggetto di giudizio. La sentenza di condanna sarebbe, quindi, stata deliberata in violazione del principio del ragionevole dubbio in quanto la motivazione sarebbe fondata sulle dichiarazioni accusatorie di un soggetto portatore di interesse contrapposti a quelli dell'imputato e carente in ordine al ruolo svolto dal MEFFE all'interno della cooperativa Raffaello.

5. Il difensore della parte civile ha depositato memoria conclusiva con la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. La difesa ha evidenziato che la richiesta di acquisizione della documentazione della Banca Unicredit era stata proposta dalla difesa dell'imputato nel corso giudizio ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen. e respinta dal primo giudice in quanto ritenuta non necessaria ai fini della decisione (pag. 1 della sentenza di primo grado) con conseguente non deducibilità in sede di legittimità. La difesa ha, inoltre, evidenziato la mancanza del requisito della decisività della prova invocata dal ricorrente nonché la manifesta infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso in quanto articolati esclusivamente in fatto e, quindi, non rientranti nel giudizio di legittimità, traducendosi in una mera prospettazione alternativa delle circostanze fattuali definite con una pronuncia in doppia conforme.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.

2. Il primo motivo è dedotto per motivi non consentiti e manifestamente infondato.

2.1. L'accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova, infatti, che la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria avanzata con l'atto di appello è reiterativa della medesima richiesta di acquisizione della documentazione bancaria già avanzata dalla difesa ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen.;
richiesta rigettata dal primo giudice che ha ritenuto la richiesta acquisizione non necessaria ai fini della decisione (vedi verbale dell'udienza dibattimentale del 19 giugno 2020). Il ricorrente non ha, quindi, tenuto conto del fatto che il motivo di ricorso per cassazione consistente nella deduzione di mancata assunzione di una prova decisiva può essere proposto, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495, comma secondo, c.p.p., sicché esso non può essere validamente invocato quando il mezzo di prova, sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 stesso codice, non sia stato dal giudice ritenuto necessario ai fini della decisione (Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, Fiaschetti, Rv. 269270-01;
Sez. 5, n. 45095 del 04/10/2022, Teodori, non massimata;
Sez. 5, n. 859 del 02/12/2022, Cocozza, non massimata).
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