Cass. pen., sez. VI, sentenza 16/02/2023, n. 06711
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: R V nato ad Augsburg (Germania) il 9/09/1982 avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 12101/2023 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere M S V;lette le conclusioni scritte dell'avvocato L C, che ha insistito nei motivi di ricorso;sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Scstituto Procuratore Generale, S S, che ha chiesto il rigetto del ricorso RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catanzaro ha accolto la richiesta di consegna di R V, a seguito di mandato di arresto europeo emesso dall'Autorità Giudiziaria tedesca in relazione alla condanna da parte della Corte distrettuale di Germania, con sentenza diveruta definitiva il 10 febbraio 2022, per due ipotesi di truffa, alla pena complessiva di anni due e mesi nove di reclusione. La Corte ha, in particolare, escluso la sussistenza dell'ipotesi di cui all'art. 18- bis, comma 2, I. 69/2005, essendo emerso che R risiedeva stabilmente in Germania, ove era stato ricoverato anche in comunità terapeutica per scontare parte della pena. Nella sentenza impugnata si è, in particolare, ritenuto che, sebbene R sia cittadino italiano, non risulta radicato in Italia stabilmente da cinque anni, né sono stati prodotti documenti che consentano di ritenerlo. Nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto, R non prestava il consenso alla consegna e chiedeva personalmente di scontare la pena in Italia. 2.Avverso la sentenza, R ricorre per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi: 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla pena residua indicata nel mandato di arresto europeo e violazione dell'art. 6, I. 69/2005. Il mandato di arresto europeo chiede la consegna di R per infliggergli una pena superiore a quella determinata dal giudice tedesco nella sentenza che costituisce titolo di emissione del mandato di arresto europeo. Inoltre, l'art. 6, I. 69/2005 prevede che il mandato di arresto contenga la descrizione delle circostanze di commissione del reato, compreso il grado di partecipazione del ricercato. Il mandato di arresto a carico di R descrive lo stesso come autore del medesimo, mentre avrebbe dovuto indicate il grado di compartecipazione nel reato del concorrente. 2.2. Violazione di legge in relazione all'art. 7, comma 4, I. 69/2005. Totale omissione della motivazione. Se si sottrae alla pena totale (trentatre mesi) comminata, il periodo già scontato (ventisette mesi), si arriva a una pena residua di sei mesi. Tuttavia, se ai restanti sei mesi si sottrae il periodo di restrizione al quale R è stato sottoposto in Italia a seguito dell'emanazione del mandato di arresto europeo (più di due mesi), si arriva a una pena residua inferiore ai quattro mesi e, per tale ragione, inidonea a giustificare l'esecuzione del mandato di arresto. Quanto al radicamento nello Stato Italiano, anche laddove la Corte avesse voluto disattendere gli elementi forniti da R, tramite le sue dichiarazioni del 15 novembre 2022, avrebbe dovuto fornire, sul punto, adeguata motivazione, ovvero avrebbe dovuto richiedere all'autorità giudiziaria estera ulteriori informazioni.La Corte d'appello non solo non ha motivato sulla attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, ma, altresì, ha omesso totalmerr:e di prendere atto delle medesime. La sentenza gravata ha affermato che "il ricorrente, sebbene cittadino italiano, non è radicato in Italia stabilmente, nè sono stati prodotti atti, documenti o altre prove o indizi di prova che consentano di ritenere siffatto radic:amento". Tale sentenza appare contraddittoria laddove, da un lato, riporta elementi inerenti alla condizione di radicamento del ricorrente in Italia e, dall'altro, afferma che nessun elemento relativo a tale condizione è stato fornito. 2.3. Violazione di legge in relazione all'art. 242 cod. proc. pen. Omesso esame della documentazione prodotta da R. La difesa ha depositato documentazione attestante il ricovero del R in una comunità terapeutica in lingua tedesca. La sentenza gravata censura il fatto che non era stata prodotta la traduzione in italiano di tale documentazione. Era, invece, onere della Corte di appello provvedere alla traduzione, trattandosi di scritto in lingua straniera con concreto rilievo rispetto ai fatti da provare.
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