Cass. civ., sez. I, sentenza 27/11/2003, n. 18132

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 27/11/2003, n. 18132
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18132
Data del deposito : 27 novembre 2003

Testo completo

ESENTE DALL'IMPOSTA DI BOLLO, DI REGISTRO E DA OGNI ALTRA TASSA (Art.19 Legge 6 marzo 1987 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Ogge Seper SEZIONE PRIMA CIVILE personale Dott. M 1 8 132/03 Composta dagli Ill R.G.N. 15137/01 Cron.36358 Consigliere Dott. F M FTI Consigliere Dott. S D P Rep. Dott. S D A Consigliere Ud.20/06/03 Dott. L S Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente S ENT ENZA sul ricorso proposto da: FRAILE MONIQUE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

APPIA NUOVA

478, presso 1'avvocato L B, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso; - ricorrente contro RICCIONI FILIBERTO; intimato avverso la sentenza n. 3617/00 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 17/11/00; udita la relazione della causa svolta nella pubblica2003 1736 udienza del 20/06/2003 dal Consigliere Dott. Luigi -1- C S; udito per il ricorrente l'Avvocato B che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore concluso per Generale Dott. M P che ha in subordine, il rigetto dell'inammissibilità ܼܿܘ ricorso; -2- Sufficlost. Svolgimento del processo Il Tribunale di Roma, con sentenza del 16 ottobre 1998, dichiarava la separazione personale dei coniugi M F e F R, rigettava le domande di addebito proposte da entrambi, assegnava in uso la casa coniugale alla F, determinava in suo favore un assegno di mantenimento quantificato in lire 500.000 mensili, da rivalutarsi secondo le modalità indicate, dichiarava inammissibili le ulteriori domande proposte dalla stessa F e compensava tra le parti le spese del giudizio. Avverso detta pronuncia proponevano gravame entrambe le parti. Filiberto Ricciotti contestava il capo della decisione relativo alla fissazione a suo carico dell'obbligo di M Fcorrispondere l'assegno di mantenimento. insisteva invece nella domanda di pronunzia dell'addebito a carico del marito, chiedeva una più elevata quantificazione dell'assegno di mantenimento, nonché l'accoglimento della domanda di restituzione delle somme delle quali si sarebbe appropriato il coniuge. La Corte di appello di Roma, disposta la riunione degli appelli, con sentenza del 17 novembre 2000, rigettava entrambe le impugnazioni, compensando tra le parti le spese del secondo grado. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso M F, articolando un unico motivo di censura;
non ha 3 Reflete it. svolto attività difensiva l'intimato. Motivi della decisione 1. - M F, con un unico motivo, denuncia violazione ed errata applicazione dell'art. n. 360 n. 5 c.p.c. per insufficiente motivazione circa il punto decisivo della controversia costituito dalla domanda di addebito avanzata dalla F e violazione dell'art. 2697 C.C. e 112 c.p.c. in relazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. avendo la Corte di appello denegato la prova per testi, richiesta in primo grado, col conseguente non accoglimento anche delle ulteriori domande risarcitorie»>. A suo avviso, la sentenza impugnata sarebbe viziata, in quanto ha assunto quale «presupposto della reiezione della domanda di addebito>>>
la circostanza che sarebbe venuta meno l'affectio coniugalis, valorizzando l'accenno da lei fatto alla «assenza di interesse sessuale nei suoi confronti da parte del marito», operato al solo fine di «rafforzare la colpa del marito >>>
e senza considerare che detta affectio era da parte sua «immutata e perdurante ancora nei giorni successivi all'udienza presidenziale>>>
del giudizio di separazione. L'accenno alla mancanza di rapporti sessuali non poteva «quindi radicarsi nella elaborazione mentale della pronuncia del Giudicante quale sostegno alla tesi di un matrimonio già finito, alla luce di articolate richieste comprovanti»>
sia l'autentica sincera affezione della moglie ad un marito che, nonostante tradimenti Sapleto at. ed imposizioni di vita era comunque 'amato">>, sia la esclusiva "3 4 - m responsabilità del marito, in quanto egli aveva «posto fine ad un rapporto che seppure vissuto in tale maniera, era totalmente accettato dalla moglie»>, ed inoltre aveva tenuto una condotta censurabile «anche in sede di separazione e dopo». Secondo la ricorrente, le domande, corroborate da documentazioni scritte e per le quali viene avanzata circostanziata tutela probatoria» sarebbero state vanificate da una considerazione di fatto (assenza di rapporti intimi)»>, che avrebbe cancellato anni di dedizione e di sacrificio, essendosi ella trovata all'improvviso priva del marito che, nonostante tutto amava e per il quale aveva vissuto per ben trent'anni, e tradita» «non solo nel senso fisico della parola, ma nel senso morale». Pertanto, a suo avviso, sarebbe inesatto il ragionamento che ha indotto la Corte d'appello «a ritenere "non individuabile la causa del fallimento dell'unione in specifiche violazioni agli obblighi derivati dal matrimonio", nella certezza, derivante da nulla, perché nulla vi è in atti che lo provi, di "un progressivo deteriorarsi della situazione affettiva tra i coniugi"». Dunque, il marito dovrebbe essere penalizzato con la statuizione а suo carico dell' addebito, previa ammissione della F all'istruttoria richiesta>>, poiché egli avrebbe premeditato «l'abbandono definitivo di una situazione che forse per lui sarà stata sinceramente pesante, ma di cui era solo responsabile». In definitiva, conclude la ricorrente, la sentenza сармоя. 5 impugnata sarebbe viziata da una ricostruzione di fatti ipotetici e stereotipati, come se non fosse possibile attribuire mai la colpa della rottura del matrimonio in una coppia di coniugi "vecchi"», cosicché il giudice di secondo grado avrebbe «illogicamente e viziatamente negato» di «poter provare la colpa del marito con tutte le susseguenti conseguenze giuridiche ed economiche>>>. - Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 2. In linea preliminare, Occorre premettere che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle 6 Aufalilo est. ritenute idonee а dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova. L'art. 360 n. 5, cit., non conferisce, infatti, alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti. Alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può dunque giungere solo quando tale vizio emerga dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico, non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (per tutte, Cass., n. 350 del 2002;
n. 2869 del 2003). Relativamente al contenuto dell'onere motivazionale che grava sul giudice di appello, Va inoltre ricordato che la sentenza di secondo grado deve esplicitare gli elementi imprescindibili a rendere chiaro il percorso argomentativo che fonda la decisione (Cass., SS.UU., n. 10892 del 2001), ma l'onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni della parte, né che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle 0 condividerle, tutte le argomentazioni da questa svolte. E', infatti, sufficiente che egli esponga, anche in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della decisione 7 Aifoleto et. e le ragioni del suo convincimento, così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni incompatibili con esse e disattesi, per implicito, i rilievi e le tesi i quali, se pure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la conclusione affermata e con l'iter argomentativo svolto per affermarla (Cass., n. 696 del 2002;
n. 10569 del 2001;
n. 13342 del 1999). In riferimento ai presupposti che giustificano la pronuncia dell'addebito ai sensi dell'art. 151, secondo comma , cod. civ., questa Corte, con orientamento consolidato, ha più volte affermato che, ai fini dell' addebitabilità della separazione, è necessario accertare che uno dei coniugi abbia contrario ai doveri nascenti dal tenuto un comportamento matrimonio e che sussista un nesso di causalità tra detto comportamento ed il determinarsi dell'intollerabilità nella prosecuzione della convivenza (tra le molte, Cass., n. 14162 del 2001;
n. 12130 del 2001;
n. 2444 del 1999;
n. 279 del 2000). L'indagine sul punto non può basarsi sull'esame di singoli episodi (Cass., n. 5762 del 1997) e, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservata alla valutazione del giudice del merito, quindi censurabile in sede di legittimità soltanto qualora la motivazione che la sorregge sia inficiata da un vizio che dia luogo ad un'obiettiva deficienza del criterio logico seguito dal giudice nella formazione del suo convincimento, ovvero da una contraddittorietà fra le varie parti della pronuncia, oppure da 8 Kufellos. una totale omissione della motivazione su di un punto decisivo. Non sono, invece, proponibili quelle censure che contengano una autonoma valutazione dei fatti, sostitutiva rispetto a quella operata dal giudice del merito. Nel quadro di questi principi, il motivo di ricorso, in tutti i suoi profili, non può trovare accoglimento. Il nucleo fondante del ricorso, con il quale è stato peraltro denunciato esclusivamente il vizio di insufficiente motivazione, non 1'erronea interpretazione dell'art. 151, secondo comma, cod. civ., si incentra, in buona sostanza, nella considerazione che il giudice d'appello non avrebbe accolto la censura concernente il rigetto della domanda di addebito, valorizzando esclusivamente l'accenno fatto dalla ricorrente alla «assenza di interesse sessuale nei suoi confronti da parte del marito»>, omettendo di apprezzare compiutamente la sua autentica e sincera affezione», che risulterebbe dimostrata dalla circostanza che il rapporto era stato da lei «totalmente accettato». Questa censura è, però, infondata, in quanto la sentenza impugnata ha preso in esame le argomentazioni esposte con l'atto di appello, e con motivazione coerente e congrua, ha anzitutto precisato di ritenere irrilevanti i comportamenti del R, quali dedotti dalla ricorrente, concernenti la sfera dei rapporti economici, in considerazione della loro riferibilità ad un periodo concomitante (o immediatamente precedente) >>
l'inizio del giudizio di separazione e, perciò, 9 скуваль et. -- --- - privi (...) di efficienza causale». Sul punto, i giudici di secondo grado si sono dunque conformati al principio più volte affermato da questa Corte, secondo il quale, ai fini dell'addebitabilità della separazione giudiziale, deve sussistere un nesso causale tra i comportamenti costituenti violazione dei doveri coniugali e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, restando irrilevanti i comportamenti successivi al verificarsi di questa situazione (Cass., n. 10682 del 2000;
n. 279 del 2000), ovvero tenuti nelle more del giudizio di separazione (Cass., n. 12130 del 2001}, a meno che essi non posseggano autonomo rilievo nel giudizio sull'improseguibilità della convivenza (Cass., n. 12381 del 1998), circostanza da loro esclusa, con apprezzamento di fatto congruamente motivato. Relativamente alla dedotta violazione del dovere di fedeltà, la Corte d'appello ha in linea preliminare precisato legittima di per sé automaticamente, lache questa non pronunzia di separazione con addebito al coniuge infedele, dovendo invece il giudice valutare in quale misura la violazione di quel dovere abbia inciso sull'unità familiare, e si sia risolto, per le modalità concrete, per la frequenza dei fatti, per il tipo di ambiente in cui i fatti stessi si sono verificati, in una grave lesione ° menomazione della dignità dell'altro coniuge>>. Questa premessa correttamente ispirata all'orientamento di questa Corte, che ha più volte rimarcato come la violazione dell'obbligo di fedeltà che Affillo A. coniugale, 10 --- 143,costituisce prescrizione di condotta imperativa (art. secondo comma, cod. civ.), costituisca, di regola, causa che giustifica l'addebito, salvo che risulti, all'esito di una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, l'irrilevanza di siffatta violazione, per mancanza di un nesso di causalità con la crisi coniugale già in atto, nel contesto di una convivenza meramente formale, ovvero si tratti di comportamenti successivi a tale situazione (Cass., n. 7859 del 2000;
n. 9472 del 1999). La sentenza impugnata, con argomentazione logicamente incensurabile, ha quindi affermato che dalla stessa narrativa (...) risulta evidente un progressivo deteriorarsi della situazione affettiva tra i coniugi», precisando che appare difficile individuare la causa del fallimento dell'unione in specifiche violazioni agli obblighi derivanti dal matrimonio, ed in specie nelle pretese relazioni extraconiugali intrattenute dal marito, atteso che le medesime risulterebbero comunque il frutto e la conseguenza di una ormai già da tempo venuta meno "affectio coniugalis”». Dunque, i giudici di secondo grado hanno correttamente verificato se alla denunciata violazione potesse essere attribuita efficacia causale nella crisi del rapporto coniugale о se essa fosse invece intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza (ex multis, 279 del 2000;
n. Cass., n. 12130 del 2001;
n. 10682 del 2000;
n. 9472 del 1999), conformandosi altresì al principio, pure Lifeblo et. 11 enunciato da questa Corte, secondo il quale deve essere pronunciata la separazione senza addebito allorché non sia stata raggiunta la prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno o da entrambi i coniugi abbia concretamente causato il fallimento della convivenza>>> (Cass., n. 12130 del 2001;
n. 279 del 2000). Nel quadro delle argomentazioni svolte nella sentenza, l'accenno all'assenza di rapporti intimi assume, quindi, il rilievo di circostanza assunta con valore completivo e meramente sintomatico del venire meno della affectio coniugalis. Quanto, invece, all'atteggiamento di accettazione della F, va ricordato che, secondo questa Corte, la situazione di intollerabilità della convivenza non può neppure essere esclusa per il solo fatto che l'altra parte assuma un atteggiamento di accettazione e di disponibilità: potendo un tale atteggiamento sempre in tesi- trovare alternativa spiegazione in motivi di ordine pratico e materiale (se non di ritorsione) о nella prevalenza di concezioni di carattere etico, ovvero ancora in irreali prospettive di recupero del rapporto, che rendano quel coniuge, nell'un caso, indifferente e, nell'altro, eccezionalmente tollerante rispetto ad una situazione pur obiettivamente priva di quei contenuti minimi di reciproca affectio, che devono assistere una comunione non meramente materiale e comunque non coercibile, quale quella coniugale>> Kifolebat. d'appello non ha quindi (Cass. n. 7148 del 1992). La Corte 12 ritenuto sufficiente tale accettazione al fine di escludere presupposti della separazione, escludendo altresì, con congruente ed immune da vizi, che lamotivazione logicamente «unilateralità»>
della richiesta di separazione possa ex se fondarla, in difetto dell'accertamento della ascrivibilità al R di un comportamento contrario ai doveri coniugali, causalmente rilevante, nei termini sopra precisati. Relativamente al profilo con il quale la ricorrente censura la mancata ammissione «all'istruttoria richiesta>>>
e la violazione dell'art. «112 c.p.c. in relazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c., avendo la Corte di appello denegato la prove per testi, richiesta in primo grado», Va puntualizzato che, secondo un principio di recente enunciato dalle Sezioni unite civili di questa Corte, che il Collegio fa proprio, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112, cod. proc. civ. -rilevante peraltro ai fini di cui all'art. 360, n. 4, non n. 3, stesso codice- si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento di rigetto, non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l'omissione é denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., SS.UU., n. 15982 del 2001). Qualora siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito 13 Refelilo et. di dare ingresso ai mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha altresì l'onere di dimostrare sia l'esistenza di un nesso eziologico tra l'errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia emessa in concreto, senza quell'errore, sarebbe stata diversa, al fine di consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Cass., n. 7852 del 2001;
n. 2894 del 1999) secondo una valutazione che la Corte di Cassazione esprime sul piano astratto, in base a criteri di verosimiglianza. Inoltre, 1'ammissibilità della censura, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, richiede che la parte adempia l'onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che ne costituiscono oggetto di prova (tra le molte, Cass., 10493 del 2001;
n. 7852 del 2001;
n. 6023 del 2001;
di recente, in tal senso, V. anche Cass., n. 3284 del 2003;
n. 2527 del 2003), non potendo svolgere una funzione sostitutiva il riferimento per relationem ad atti 0 scritti difensivi depositati nel giudizio di merito (Cass., n. 7909 del 2001;
n. 2894 del 2001;
n. 10897 del 1998) Nel caso in esame questo onere non può ritenersi adempiuto, dato che la ricorrente si è limitata a sostenere la necessità della «previa ammmissione della F all'istruttoria richiesta», insistendo per la cassazione della sentenza impugnata «per l'espletamento delle prove richieste e formulate in appello e cioè le prove articolate e richieste in primo grado e formulate nelle conclusioni precisate all'udienza del 25/3/98 14 Kefaleto et. davanti al Tribunale civile di Roma», quindi formulando una censura ed una richiesta mediante un riferimento per relationem ad atti del giudizio di merito che, per quanto precisato, è insufficiente a fare ritenere soddisfatto l'onere pure supra indicato. Quanto, in particolare, alla prova per testi, la sola espressamente indicata nella esposizione preliminare e sintetica delle ragioni della censura, va osservato, in primo luogo, che la Corte d'appello ha esplicitato, con argomentazioni logicamente coerenti e congruenti, le ragioni per le quali ha ritenuto prive di rilievo decisivo le prove capitolate». con il principio diInoltre, la F, in contrasto autosufficienza del ricorso, neppure ha riprodotto in quest'ultimo i relativi capitoli di prova, tale non potendo ritenersi l'esposizione delle ragioni che sosterrebbero la propria tesi, non condivisa dal giudice del merito, con conseguente inammissibilità della censura. Quanto, infine, alla eccepita violazione «dell'art. 2697 e 112 c.p.c. in relazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c., avendo la Corte di appello denegato la prove per testi, richiesta in primo grado, col conseguente non accoglimento anche delle ulteriori domande risarcitorie»>, va osservato, in riferimento al profilo inerente a queste ultime domande, che indipendentemente dalle argomentazioni sopra svolte in ordine alle modalità con le quali è denunciabile il vizio di omessa pronuncia in relazione al mancato accoglimento delle istanze istruttorie- la sentenza 15 скравост impugnata le ha rigettate anche affermando che «l'addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento». L'argomentazione dimostra anzitutto che non vi è stata la denunciata omissione della pronuncia, ed inoltre che il rigetto risulta fondato su di una ratio decidendi ulteriore rispetto а quella correlata alla mancata dimostrazione dei presupposti per la pronuncia dell'addebito. Questa ratio decidendi non è stata affatto censurata con il ricorso e, conseguentemente, l'unico profilo svolto dalla ricorrente neppure risulta in grado di infirmare tutte le ragioni che, in parte qua, sorreggono la pronuncia presa in esame, con conseguente inaccoglibilità della censura. In definitiva, nessun vizio logico della motivazione può riscontrarsi nella sentenza impugnata e la ricorrente, con l'unico motivo di censura proposto, propugna un'interpretazione che configura un differente apprezzamento delle risultanze processuali esaminate e di quelle non considerate dalla Corte di appello e quindi, in buona sostanza, chiede una nuova valutazione dei fatti già esaminati, che si sostanzia in un riesame del merito non consentito in sede di legittimità. Nulla per le spese, non avendo l'intimato svolto attività difensiva. Refalbert. 16

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